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La presunta superiorità del metodo accademico come unica via della critica del fumetto nella teoria di Marco Pellitteri e nella pratica di Matteo Stefanelli
di Giorgio Messina
Moleskine #45
Appunti di viaggio nel mondo del fumetto, attraverso i suoi protagonisti e l’informazione di settore.
La presunta superiorità del metodo accademico come unica via della critica del fumetto nella teoria di Marco Pellitteri e nella pratica di Matteo Stefanelli
Marco Pellitteri è sociologo dei media e dei processi culturali, saggista, per Tunué dirige le collane di saggistica «Lapilli» e «Le virgole», Ha lavorato con l’università di Trento, il CERI di Parigi, l’Istituto IARD, l’AESVI. Pellitteri ospite del blog Conversazioni sul Fumetto, racconta al padrone di casa Andrea Queirolo che «i rari casi di buona critica del fumetto provengono quasi tutti da persone di seria formazione accademica o, al limite, di alto profilo culturale. In particolare, da persone che hanno chiaro cos’è la critica nel sistema delle arti e dunque si comportano di conseguenza.
Aver chiaro cos’è la critica nel sistema delle arti significa anche aver chiaro cos’è il sistema delle arti. Per arrivare a questo risultato (che è la base di partenza per esercitare consapevolmente un’attività critica in campo artistico) occorre leggere opere di teoria dell’arte, di estetica dell’arte e leggere tanta critica accreditata. Se non si è disposti a compiere questo tipo di studio preliminare, ci si improvvisa critici in nome della libertà d’espressione, ma non si potrà pretendere di essere definiti “critici” dal mondo della critica d’arte accademicamente intesa. Questo è quanto accade alla maggior parte dei critici del fumetto italiani, che il più delle volte sono giornalisti o pubblicisti che fanno informazione, divulgazione, pettegolezzo, polemica (non tutti e non contemporaneamente, com’è ovvio…) e a volte accenni di critica, spesso però svolti con molta approssimazione, basandosi più su una presunta sensibilità personale che non su quel metodo di cui sopra.»
Ovviamente anche la conclusione di Pellitteri sulla figura del critico del fumetto tira acqua a favore del mulino dell’estrazione accademica come unica via realmente percorribile dalla critica del fumetto:
«I bravi critici italiani di fumetto a cui riesco a pensare sono forse una ventina. La maggior parte sono accademici di professione o di formazione accademica superiore. Non è che in genere abbiano intelligenza, cultura generale o capacità superiori a quelle degli altri. Ma evidentemente il filtro della formazione accademica fornisce loro un metodo e un rigore nell’approccio alle tematiche che non sono attualmente raggiunti (o quantomeno esibiti) dagli altri, tranne rare eccezioni, per una semplice questione di iato educativo/formativo e di conoscenza di quelle precise regole di metodo che vanno rispettate in una corretta attività di critica d’arte perché tale critica sia riconoscibile come valida dai pari.»
E allora, ci permetterà il buon Marco, se noi “giornalisti” (l’ordine dei giornalisti andrebbe abolito...), noi fabbricanti felici di pezzulli che poco ci importa della patente di “critico” - proprio perché visceralmente più propensi all’informazione, alla divulgazione, alla polemica (e anche al pettegolezzo se necessario) e all’opinione (i maestri di giornalismo all’antica raccontano ancora che le notizie suscitano opinioni e che i fatti non si slegano dalle opinioni…) -, gli mostriamo il metodo critico che contraddistingue un suo illustre collega accademico, uno dei critici più rampanti ed emergenti del fumettomondo di ultima generazione.
Parliamo del ricercatore della Cattolica Matteo Stefanelli. Già nel recente passato avevamo sorpreso il “Professore” Stefanelli a scrivere sciocchezzuole sull'opera più famosa di Go Nagai, Goldrake, nel tentativo di confutare quanto scritto sul Corriere della Sera sulla cultura nipponica subito dopo il disastro naturale che ha coinvolto e sconvolto il Giappone qualche mese fa. Lo avevamo sorpreso anche a usare (male) delle fonti senza citarle per poi nascondersi sotto il tappeto tutta la faccenda, promettendo una rettifica che nei fatti non sarebbe mai avvenuta.
Sembra che il “Professore” continui ad applicare il metodo accademico alla scopiazzatura creativa. Infatti, il gioco proposto è semplice. Sulla "Settimana Enigmistica", edizione accademica, ci esercitiamo nel "cerca la differenza".
Ma elenchiamo fatti, date e blog.
Domenica 5 giugno, Andrea Mazzotta, direttore editoriale di Nicola Pesce Editore, scrive sul suo blog, Il Faro del Glifo, un post dove mette a paragone le campagne pubblicitarie a base di nuvolette disegnate delle Poste francesi e delle Poste Italiane. Insomma come è ormai prassi, i francesi sono più avanti perché chiamano il fumettista Lewis Trondheim a realizzare la campagna pubblicitaria fumettosa, mentre gli italiani affidano analogo progetto ad un illustre pubblicitario sconosciuto e dunque reo di non essere nome che conta. Ma non sono queste (solite) considerazioni esterofile il “quid” del “conquibus”. Proseguiamo nel gioco "cerca la differenza".
Martedi 7 giugno, Matteo Stefanelli sul suo blog Fumettologicamente, fa un post dove mette a paragone le campagne pubblicitarie a base di nuvolette disegnate delle Poste francesi e delle Poste Italiane. Di Andrea Mazzotta non v’è alcuna citazione e la conclusione è tutta dedicata al nostro amato Belpaese che come sempre rispetto ai cugini galletti ne esce ammaccato dai simpatizzanti d’oltralpe di casa nostra: «Ecco la brillante semantica, per la grande comunicazione istituzionale italiana: sognare. Ché poi la realtà arriva. E finisce che ti si piantano i sistemi informatici. E mezzo Paese ti maledice. Ma almeno, per quei 5 minuti/giorni/mesi, hai sognato. Se poi sei Il Grande Comunicatore, e governi il Paese con gli stessi sogni da 20 anni, magari capita che la realtà arrivi anche per te. In forma di voti.»
Se questo è la superiorità del metodo critico accademico, allora preferisco continuare a definirmi “giornalista”.
Ps: Una spiegazione plausibile dell’eccessiva somiglianza semantica dei due post a proposito di un argomento che prima di Stefanelli solo Mazzotta aveva affrontato nella blogosfera del fumetto mondo, potrebbe risiedere nella stessa idea che viene a due soggetti separati nel tempo e nello spazio. Ebbene, se così fosse, sarebbe la prova provata che il metodo critico accademico non è a prova di “Glifo”. Ovvero che le idee di Pellitteri in materia di metodo critico le mette in crisi anche un fine conoscitore, curioso e osservatore del medium come Andrea Mazzotta che non è ne un critico ne un giornalista. E ora, caro Marco, come la mettiamo?
Pps: da qualche parte ho letto che come la guerra non può essere affidata solo ai generali, così l'informazione non può essere affidata ai giornalisti. Aggiungo io, a similitudine, che forse è meglio non affidare la critica del fumetto solo agli accademici...
Nell'immagine, foto di gruppo degli accademici del fumetto italiano.