- Categoria: Osservatorio Tex
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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Fumetti fumosi
L'espressione di Bud Spencer nella sua prima scena in "Lo chiamavano Trinità"
rispecchia ciò che il lettore sente riguardo l'argomento trattato nell'articolo.
Ritratto di Lorenzo Barruscotto
Hola, amigos!
Vi starete giustamente chiedendo il significato del titolo. Ve lo spiego subito.
Non sempre le ciambelle escono col buco, lo sappiamo. Ed a volte il buco anche se “esce”, non può essere paragonato ad un cerchio tracciato da Giotto. Così avviene anche per i fumetti: si va da quello di qualità tremenda a quello di fattura estremamente pregevole. Purtroppo soprattutto recentemente anche quelli “belli” finiscono per contenere qualche imperfezione, perdonabile o che fa cadere le… braccia e che inficia la qualità dell'intero prodotto finito.
Io mi limiterò a parlare dei giornalini che ho acquistato, forse qualcuno in più del solito in seguito alle restrizioni imposte dalla pandemia, perciò sarà un discorso legato alle mie personali esperienze, sebbene sia convinto che molti di voi condivideranno le mie affermazioni magari vedendole collimare con le proprie, a seconda delle testate che man man tratteremo lungo questa conversazione. Vi invito a prendere tutto ciò facendo le dovute proporzioni dal momento che stiamo vivendo in un periodo tutt'altro che allegro e che chi vi scrive è perfettamente consapevole che i veri problemi delle persone (qualche rogna me la devo grattare anch'io quotidianamente da parecchi annetti) sono ben altri, rispetto a un paio di "papere" riscontrare su un "giornalino" o a qualche baggianata scritta qua e là. Ci tenevo a sottolinearlo al fine di considerare le cose secondo le sacrosante priorità.
Denzel Washington nel remake de "I Magnifici Sette" in un ritratto di Lorenzo Barruscotto
Diamo inizio alle danze.
Come primo esempio subito calzante della situazione indicata nella prefazione di questo articolo ritorniamo rapidamente su un discorso trito e ritrito già ampiamente affrontato anche in questa sede: disegni che si ispirano più o meno marcatamente a vignette comparse in numeri che precedono anche di diversi anni quelli dove sono presenti i “rifacimenti”. Che sia cosa voluta o non voluta (mmm...), spesso non si tratta di un'ispirazione ad uno stile, cosa che quando accade fa breccia nella malinconia di lettori non più giovani e conquista i meni attempati, ma è qualcosa che va un po' oltre e se in certe occasioni può trattarsi di un omaggio genuino altre sembra più una scelta dettata dal tempo che manca per la consegna delle tavole stesse. Non vogliamo pensare che sia un gesto equiparabile all'impettito e stereotipato maggiordomo che fa scivolare il mucchietto di polvere sotto il tappeto “tanto non se ne accorge nessuno” ma rimane il fatto che tali vignette riprese irregolarmente non solamente un paio di volte stonano anche nel continuum del racconto, come pezzi di puzzle incastonati un po' a forza. E ad ogni modo un ficcanaso come il sottoscritto se ne accorge. Presumo di non essere il solo, tra l'altro. Un professionista affermato che disegna per uno dei più prestigiosi fumetti del nostro Paese man mano che passa il tempo ritengo dovrebbe affrancarsi anche dalle tecniche dei suoi maestri per amalgamarle in una sua personale senza gettarsi a capofitto in scorciatoie facendo finta di nulla. Oppure lo si palesa, risultando anche onestamente apprezzabile ed umanamente "comprensibile". Altrimenti in tempi sicuramente lunghi ed in modo artigianale anch'io sarei in grado di creare una storia breve mettendo insieme parti di disegni che la mia mente riporta a galla magari metterci dentro due o tre ritratti meno "fumettosi". Questo lo si potrebbe anche fare, gratis - che ve lo dico a fare - per puro "gaudio interiore" o per rendersi conto delle reali difficoltà di realizzazione di una pagina. O per imparare, non a caso si chiamano maestri. Senza nulla togliere alla per me magica abilità di creare forme e volti dal nulla perchè io non sono capace di inventare di sana pianta, però credo abbiate afferrato il punto. Allo stesso modo risultano assai più credibili tavole diciamo "generiche" sul West, con una diligenza o un treno per capirci, rispetto a quelle dove compaiono i Nostri. Ma... ciancio alle bande e forniamo qualche “prova” a sostegno.
Per questo aspetto parliamo ovviamente di Tex.
In “Duri a morire” (numero 713) a pagina 34 c'è un chiaro riferimento al Villa delle origini (quello de “Il ranch degli uomini perduti”) nella quarta vignetta. A pagina 89 invece Carson rimane ferito leggermente ad una gamba. A parte il fatto che evidentemente (e diciamo in questo caso forse giustamente visto che chi ha esperienza si guadagna dei vantaggi) in certe storie il Vecchio Cammello può restare ferito mentre in altre no (...), non rimane traccia della pallottola, se non una macchiolina di sangue sul ginocchio ma i jeans restano intatti. Magia Navajo. A pagina 97 è ancora Carson che ci fa sovvenire in mente un altro disegno di Villa.
Nella storia di Tex che vede alle chine Biglia invece, quella dove tutta la famiglia lotta in una nazione straniera al fianco di Montales contro gli indios seguaci del “La Negra Muerte” in “Guatemala”, si toccano livelli altissimi sia per quel che riguarda la sceneggiatura ad opera di Ruju sia per la parte artistica. E proprio per questo spiccano le incongruenze, come un'ammaccatura sullo sportello di una Ferrari fiammante. A pagina 78 la seconda vignetta ripropone praticamente paro paro il primo piano di Tex che sorseggia un caffè davanti al bivacco che Villa aveva disegnato nella storia della nave perduta nel deserto (tra l'altro recentemente inserita in un “balenottero” quindi torna alla ribalta: pessimo tempismo). Nel numero successivo, mi spiace dovermi ripetere, ma è sempre Villa a farla da padrone perché la terza vignetta di pagina 19 (qualcosa di molto simile era accaduto anche nel primo albo della lunga storia) si ispira nsiderevolmente alla copertina di “Terrore a Silver Bell” sebbene con lo stile di Biglia stavolta.
Fa poi sorridere che il battello del cattivo si chiami “Commander” (so che può benissimo essere un semplice accostamento ad un grado marinaresco), come il nemico dei G.I. Joe , anch'egli una vera anima nera. Si vede che qualcuno degli autori ci giocava da ragazzino.
Quello che invece non va giù specie a chi come il sottoscritto ha passato diversi guai per via di una gamba rotta è che in “La Negra Muerte” Tex trovi un prigioniero a cui i suoi aguzzini hanno spezzato una gamba, come da lui stesso dichiarato indicando il femore, e che tale enorme, doloroso, invalidante deficit venga risolto con una fasciatura e per giunta che il tizio in questione non solo cammini nella giungla seppur sostenuto da uno dei Pards ma addirittura cavalchi. Galoppando! Va bene che doveva essere un duro per quanto mingherlino, tralasciamo anche la conseguente perdita di un litro e mezzo - due di sangue (che avviene con tale frattura) in un uomo debilitato dalla tortura e dalla sete... ma la fasciatura? Sarebbe stato molto più credibile se gli avessero, che so, rotto una caviglia alla “Misery non deve morire” o dato una semplice e più pulita botta in testa. Considerando anche la non poca difficoltà nell'infliggere tale danno fisico da fermi, ma non fatemi andare nei dettagli che mi vengono ancora i brividi a ricordare le mie di fratture, alla tibia. Evidentemente né lo sceneggiatore né il disegnatore si sono posti il problema non avendo per loro fortuna avuto, presumibilmente, mai grattacapi del genere, altrimenti non avrebbero commesso un errore così grossolano, che forse passa inosservato per molti ma non per chi ha vissuto qualcosa di seppur lontanamente simile. Spiacente, questo non funziona proprio (esempio pagina 60).
Inoltre anche in quell'avventura rispunta il volto di un attore che in più di un'occasione ha fatto capolino nelle storie recenti (per esempio anche nel cartonato “La Frustata” e nel ColorTex 17 “Gli amanti del Rio Grande” vale a dire Fernando Sancho, il capo banda per eccellenza contro cui si scontra Ringo/Giuliano Gemma): si potrebbe anche avanzare l'ipotesi che tale faccia sia ormai stata sfruttata abbastanza.
Un'ultima cosa: un colpo di striscio che sia ad un braccio, una gamba o a maggior ragione alla tempia, non ha solo la conseguenza di limitare i movimenti o tramortire. Dovrebbe per lo meno seguire qualche vignetta in cui si fascia, stavolta sì, la ferita, ed in cui si vede un po' di perdita di sangue dal “graffio”. Per tale motivo pur sapendo bene che Tiger Jack ha la testa dura, dopo che una pallottola di Winchester gli sfiora la zucca ci saremmo attesi una mezza medicazione alla buona con una righina che testimoniasse la faccenda, mentre invece il tutto si chiude con la dichiarazione del classico “nido di vipere nel cranio” che passerà. Bandana da bagnare nel primo ruscello o con una borraccia o in un abbeveratorio? Almeno. Invece nada.
Uno dei disegni di prova raffigurante Larry Scott, protagonista del romanzo "Buco nel cuore"
qui ispirato all'attore Gary Cooper,
in un ritratto di Lorenzo Barruscotto.
Una coincidenza coincidenzosa, per me, però pare nulla più, riguarda il fatto che i due gemelli della storia che inizia nell'albo “Scontro finale” disegnata da Font vengano indicati come Larry e Scott e che il fratello cattivo abbia praticamente le fattezze del protagonista del mio libro ancora in lavorazione intitolato “Buco nel cuore”, il cui protagonista si chiama Larry Scott. E ha la barba che gli circonda la bocca come reso dall'artista di questa avventura. E come la mia.
Voi direte: "Beh, e chi diavolo conosce il tuo libro?" Nessuno, ancora, per quanto avessi pubblicato anni fa e poi periodicamente anche in tempi assai più recenti in seguito sui social, sia la sinossi di presentazione sia qualche disegno di prova che ritraeva il mio protagonista, realizzato per aiutarmi a calarmi maggiormente nell'atmosfera (ok, io e i miei neuroni funzioniamo in modo strano). Queste anticipazioni sono reperibili online.
Larry Scott, il mio Larry Scott, una sola persona, per altro si chiama così riprendendo il mio nome, avendo il romanzo connotazioni anche autobiografiche. I casi della vita, a volte.
Ma "casi" è plurale, infatti volendo si può fare il bis. Anzi sommando una nuova "cosa", anche un tris, crepi l'avarizia.
Lo scorso anno il sottoscritto aveva proposto in modo del tutto innocente, trasparente, ingenuotto e motivato da puro spirito di condivisione e speranza di rendermi utile, un certo numero di "cartelli contro il Covid", sapete di quelli del tipo "Io resto a casa", in tema western e Texiano ovviamente, offrendoli ai "padroni" della testata affinchè magari anche solamente uno venisse condiviso, senza che fosse fatto il mio nome, che si prendessero il merito, non mi interessava, non era la ricerca di riconoscimenti o di fama per chissà che gesto il mio scopo, ma semplicemente avevo seguito il vecchio e conosciuto adagio secondo cui "un'immagine vale più di mille parole" e vedere il Ranger in posa epica con sotto "Resistete" o altre frasi ad effetto, a mio avviso poteva essere un'idea simpatica. Idea, figuratevi se non andava così, bocciata senza troppi giri di parole. Però, eccoci giunti al però, il giorno dopo, ripeto: il giorno dopo, è stato pubblicato un cartello con il medesimo apparente obiettivo, sebbene mi permetto di sostenere tutt'altro che significativo. Altra coincidenza veramente diabolica, da fare invidia a Mefisto ed usare la k alla Diabolik! Dopo una mia certa rimostranza per il fatto che mi era caduta la mandibola, diciamo la mandibola, avendo visto il candido post di pubblicazione e conoscendo i dietro le quinte, la risposta fu anche in quel caso che si era trattato per l'appunto di un caso e non c'era alcuna ragione di "pensar male". E va bene, non è inciso su nessuna pietra che non si possa avere la stessa pensata e se la ha avuta qualcuno in via Buonarroti per fare qualcosa di socialmente importante, ben venga. Ci mancherebbe.
Ah, il disegno scelto (che le malelingue, io in testa intendiamoci, potrebbero pensare selezionato un po' alla buona, era di Biglia e mi sento di affermare che non aveva assolutamente la grinta, l'efficacia, la forza che avrebbe potuto, e dovuto, avere, come sarebbe stato al contrario per una sfilza di altri esempi, dato che sembrava quasi sogghignare di fronte al problema, mentre invece serviva soprattutto allora una figura quasi imperativa, autorevole e sicura. Non certo un Tex pantofolaio che sembrava quasi giggioneggiare sminuendolo, quel problema. Anche perchè non è che adesso siamo proprio a posto, non è stata affatto una "pausa corroborante" e siamo, nonostante qualche mattoide dica che ormai è quasi finita, ben lontani dall'esserci liberati di "quel problemuccio". Va beh, ormai anche quella è andata. Dimenticavo: ne hanno fatto soltanto uno, di cartello (tralasciamo i pallidi tentativi anche di altre testate, sempre uno a... testa), e secondo me anche questo è indicativo: forse non è piaciuto neanche a loro il risultato finale. Per la cronaca non stava in piedi neanche l'eventuale giustificazione: "se lo fai tu, dobbiamo dare il permesso anche a chissà quanti." No, perchè intanto l'idea era mia e me ne occupavo io, secondo perchè i miei sono oggettivamente fatti anche in modo, mi sbilancerei a dire, abbastanza professionale, guardare un po' più in giu in questo articolo per giudicare.
Ma siamo a due: e non c'è due senza tre.
Sapete come si dice? Tre indizi fanno una prova. E tre coincidenze cosa fanno? Una perplessità? Un disorientamento? Un'espressione tra l'attonito e la risata isterica? A voi l'ardua sentenza. Premessa: questo piccolo intervento è stato inserito in un secondo momento rispetto alla realizzazione dell'articolo nella sua interezza e lo capirete dalle prossime righe.
E' stato annunciato che la Bonelli insieme a Storytel, cito testualmente, "prima piattaforma europea di audiolibri e podcast" si sono unite in una collaborazione (altra citazione) "volta a portare in formato audio le storie dei personaggi più amati del fumetto italiano." Si inizierà il 20 maggio 2021 con un racconto su Martin Mystere da giovane (non proprio il più famoserrimo per partire). Dunque, qui si tratta di audiolibri e presumibilmente ci saranno dialoghi sviluppati in diverse scene dato che si dichiara di voler "offrire una voce reale al personaggio". Ma a me sembra di aver già... sentito, scusate il gioco di parole, qualcosa del genere.
Dove... dove... Ah, sì! L'ho fatto io!
Da tre anni ho dato il via all'iniziativa chiamata "Una voce per te", atta a creare una sorta di ponte tra il mondo del Fumetto, ma anche della Storia e del Cinema, di stampo western perchè io sono appassionato di quell'universo (#chevelodicoafare), e la realtà delle persone ipo e non vedenti. Si tratta di letture declamate non da un mio lontano parente dopo due bicchieri di vino ma da doppiatori ed attori conosciuti, e riconoscibili, in tutta Italia, professionisti della voce (voce maschile e femminile chiaramente) che hanno sposato il progetto, assolutamente gratuito sia per chi lo crea che per chi ne usufruisce, indipendente dalle case editrici, salvo un'eccezione non bonelliana, sebbene più di un artista texiano abbia contribuito. Il prodotto finito consiste in uno dei "video che si ascoltano" che si trovano disponibili per tutti su Youtube, nel canale omonimo di questa rubrica, cioè "Osservatorio Tex". Se tutto va bene la lettura numero 25 avrà l'onore di essere recitata dalla doppiatrice dell'attrice Frances McDormand che ha vinto l'Oscar come miglior attrice nella recente premiazione degli Academy Awards, ma anche gli altri nomi sono eccellenze italiane. Se volete per curiosità saperne di più, questo è il link all'ultimo articolo in merito che contiene anche il link diretto per il canale Youtube: http://www.fumettodautore.com/index.php/magazine/osservatorio-tex/5616-una-voce-per-te-progetto-a-sostegno-della-disabilita-visiva .
Ora, la mia iniziativa non consiste in dialoghi e non ha grandi mezzi nè prevede interpretazioni corali quindi si potrebbe giustamente dire che sto blaterando a vanvera. Sicuro, probabilmente è così. Ma al tempo della mia prima visita, del mio primo pellegrinaggio alla Redazione, avevo già realizzato tre o quattro letture, pubblicate e diffuse, e ne avevo anche fatto ascoltare un estratto (beh, di una, la prima in assoluto) ai presenti, che non erano passanti qualunque fermatisi per caso ad ascoltare dalla finestra.
Anche in questo caso nulla vieta che si tratti di una coincidenza, facile che sia così, però dovete ammettere che nella mia vita le coincidenze si sprecano. E non ce n'è praticamente mai una in ambito chiamiamolo lavorativo o presunto tale (ma anche in altri ambiti), che mi faccia dire "Diavolo, che c...olpo di fortuna!". A differenza di qualcuno che non crede al caso, come si vedrà più avanti nel pezzo, io non posso non crederci, sostanzialmente ci vivo in mezzo.
Ecchecaso, però.
Un perplesso Duca in un ritratto di Lorenzo Barruscotto
Ci sarebbe poi parecchio da disquisire sulla storia della collana Tex Willer (serie che non inserisco nelle recensioni volutamente, altrimenti dovrei fare solo quello tutto il giorno ma nessuno purtroppo mi paga nemmeno per questi articoli o per quelli già proposti quindi ho dovuto effettuare una cernita, anzi in altre sedi mi hanno chiesto dei soldi per lavorare per loro... Dove? Diciamo non a Paperopoli e non c'entra la Disney. Fate due più due.) che ci porta a conoscere qualcuno dei “Texas Rangers”, alcuni sono nomi illustri, presentati come colleghi di un Kit Carson giovane ancora col pizzetto corvino: cosa dire sull'argomento? Dunque, si potrebbe precisare che io sono riuscito ad ottenere un'intervista esclusiva con l'ufficio dell'attuale capo dei veri Rangers, ad Austin, Chance Collins, e che tutte le mie domande hanno avuto risposta, perfino quella sulle loro armi di ordinanza, che dal medesimo ufficio mi hanno poi fatto tramite email perfino gli auguri per lo scorso Natale, che hanno apprezzato alcuni dei ritratti che avevo loro inviato, come del Chief per esempio, e che mi hanno ricordato che nel 2023 ci sarà il 200esimo anniversario della loro fondazione. Chissà magari farò qualche ritratto in maniera ufficiale, è ancora presto per pensarci.
Si potrebbe anche dire che avevo proposto alla Bonelli tale intervista, una volta tradotta sempre da me ovviamente, gratis (ma va), magari nella speranza che un trafiletto fosse perché no inserito in uno degli albi che trattavano di Rangers (anche il più recente cartonato è incentrato sulla figura di un portatore di stella d'argento) - ah, tra l'altro, nell'intervista mi hanno anche confermato la leggenda della moneta da cinque pesos legata ai distintivi - ma non ho ottenuto, manco a ribadirlo, nulla.
Forse dato che so distinguere i volti veri dei protagonisti della storia del West rispetto ai sosia che vengono spacciati per tali e pubblicati negli articoli da parte di non ben precisati esperti i quali in realtà risultano più essere membri onorari della tribù di pellerossa derivata dall'unione degli Inca con gli Apaches (...), non sono degno di considerazione, per lo meno di una considerazione concreta che vada oltre qualche parola.
Fa storcere un po' il naso, tutto ciò, specie dal momento che negli Stati Uniti invece, sulla principale rivista western degli USA relativa al “mondo western”, è stato pubblicato un articolo, piccolo niente di che, sulla mia intervista ai proprietari della casa dove Doc Holliday ha vissuto nell'infanzia, in Georgia, con tanto di miei ritratti del vero Doc ripresi dalle uniche due fotografie accreditate. E che nel numero in uscita a Giugno ci sarà un articolo molto più corposo che vede chi vi scrive come protagonista a sua volta di un'intervista sulla mia “arte del West” con qualcuno dei miei ritratti incluso nell'approfondimento. Ho visto l'anteprima, c'è un ritratto anche proprio sulla pagina interna di presentazione del numero: un articolo di due pagine con miei disegni a colori su un Magazine che viene venduto in tutti gli Stati Uniti è una grande soddisfazione per me. Ma "nemo profeta in patria".
E' strano e piuttosto deludente: il West mi conosce, eppure il mio naso rimane il bersaglio preferito per certe porte più nostrane che rimangono chiuse.
L'articoletto presente sulla rivista americana "Wild West" menzionato dall'autore
Ci sono poi state almeno un paio di copertine, un paio tra quelle che ho visto io ma posso essermene perse altre, che hanno sostanzialmente rappresentato un gigantesco spoiler per la trama del racconto contenuto nei rispettivi volumi. Sinceramente sono rimasto piuttosto stupito da tali autogol, i quali, almeno dal punto di vista dell'aspettativa o del pathos che potevano trasmettere le storie, hanno rovinato l'attesa e la curiosità dei lettori.
Una, la più eclatante, è quella di Dragonero numero 17 del nuovo corso: si chiama “Il sacrificio di Yannah”, il personaggio in questione viene raffigurato ormai esanime tra le braccia del titolare della testata, crivellata di frecce. Mmm, ma chissà cosa succederà, forse forse muore uno dei comprimari. Aspettate, mi butto in una congettura... potrei sbagliarmi, ma... dai, giusto così per giocare, secondo me è... Yannah (per chi non lo sapesse, è una “collega” scout di Ian Aranill, ebbene sì lo leggevo anch'io, quando aveva ancora una dignità, e oltretutto non vedeva come curatore voi sapete chi, prima di fare man bassa di scene da “Il signore degli anelli” o da film come “Robin Hood” con Kevin Costner). E lo stesso Monsieur Coiffeurs nella presentazione prende perfino in giro i lettori. Cito testualmente: “… vi lascio integro il piacere di iniziare la lettura e scoprire finalmente se copertina e titolo dell'albo sono stati un clamoroso spoiler oppure un semplice diversivo...”.
Cos'è che ci lasci integro, amigo? Scusa ma mi sfugge la battuta. Ti rispondo che la sola cosa che rimane integra davvero è l'assoluta mancanza di una sorpresa: nessun diversivo, è esattamente come sembra!
Cercano poi di creare un colpaccio di scena facendo resuscitare chi era già stato messo al centro di varie ipotesi in passato perché così si crea ancora più “brivido” verso uno dei cattivi: per lo meno qui, in altre occasioni non era stato così facile distinguerlo, è assai riconoscibile grazie agli splendidi disegni che cercano in tutti i modi di mettere una pezza allo scivolone. Per conto mio potevano anche farlo restare nel regno dei più, questo cattivo, dato che personalmente il fatto di trovarcelo nuovamente tra i piedi suscita emozioni di fastidio rispetto a stupore o coinvolgimento nella trama, ma presumo che ciò fosse voluto, in caso contrario avrei avuto semplicemente fortuna nel comprare l'albo dove viene eliminato, mentre invece tutto lascia presupporre che la tireranno ancora parecchio per le lunghe. Bisognerà analizzare più avanti se il finale sarà all'altezza della carica emotiva che vuole attirare o se, non paghi del completo ribaltamento (che di per sé era un'idea assai accattivante sebbene poi sia caduta fuori dal seminato), ci sarà un secondo sovvertimento per far ri-ripartire tutto da zero, visto che ogni tanto si era già buttato qua e là qualche dettaglio su una story-line nascosta e più “recente nel futuro”.
PS: Una seconda ed ultima "incursione dal futuro", a proposito. Nella presentazione di Dragonero numero 19 ("Il demone fuggiasco") si ricorda che nel 2021 la Casa Editrice Bonelli compie 80 anni. Impensabile traguardo per certi versi, al quale abbiamo contribuito anche tutti noi lettori ed appassionanti. (E forse era questo che si voleva esprimere.) E' vero che solo a pronunciare tale cifra ci si inumidiscono gli occhi per la commozione. Ma il bel momento di unione tra lettori e lavoratori dietro le quinte viene incrinato quando si trova aggiunto "e l'orgoglio". Punto. Non ad esempio orgoglio per avere questa immensa fortuna di far parte, una piccola e novella parte, del grande fantastico mondo che è il Fumetto Bonelliano, o orgoglio da lettore come si diceva prima, il quale tra l'altro viene poi sì chiamato in causa ma sempre con la dicitura "noi e voi". Ehm... spesso ci siamo chiesti se chi parla di orgoglio avesse letto le storie di cui scriveva, perciò, beh, "noi e noi" a questo punto. Ma messa così viene proprio da dire: orgoglio "de che"? Sarebbe troppo facile fare una battura incentrata sulla parola "nonostante" e la lascio incompiuta, per chi volesse completarla secondo il proprio gusto. A mio avviso sono ben altri coloro i quali devono essere orgogliosi di aver fatto i primi attori nel raggiungimento di tale traguardo, con alti e bassi perchè nessuno è infallibile: nomi illustri da Boselli a Burattini per dirne solo un paio tra i "capi di testate", anche perchè non posso stare qui a fare un lunghissimo elenco dal quale escludere quei due o tre nomi che si sentono gia "arrivati" sebbene abbiano appoggiato mezza chiappetta sul carro. Noi al massimo le testate le diamo al muro, leggendo certe cose.
Tributo a Dragonero ad opera di Lorenzo Barruscotto
L'altro spoiler palese è rappresentato dalla cover di Tex numero 724 “Colpo di stato”. In questo caso viene raffigurata la scena che vorrebbe essere il culmine dello scontro tra buoni e cattivi nella favolosa storia incentrata sulla trasferta in Guatemala dei Pards. Storia magnificamente disegnata sebbene non esente da errori anche banali, come detto, ma che aveva mantenuto alte le “voglie” dei lettori. Pertanto c'è da chiedersi come mai, ben conoscendo la cura che le scelte sulle copertine richiedono per quel che riguarda il Ranger, si sia poi inciampati in questo spettacolare cesto di banane, perché una sola buccia non basterebbe a rendere l'idea. Voglio dire, sappiamo tutti che in Tex faustamente il male viene sempre sconfitto e comunque nessuno nella cover ci racconta se il tizio che salta addosso ad Aquila della Notte con un machete se la cava perdendo solo qualche dente o con un buco in fronte, ma capiamoci, ammirando il dinamico disegno di Villa, non si può certo pensare “Uh, chissà chi è?!” sebbene il finale contenga un certo twist che richiede una lettura attenta e porti a tornare indietro di qualche pagina per apprezzare meglio certi dettagli.
La copertina dello speciale di Zagor numero 33 “Ritorno alla casa del terrore” per contro non anticipa nulla, ma diciamo che non rispecchia il tono piuttosto “fumettoso” e anche marcatamente comico che permea l'intero volume, la cui storia contiene sicuramente qualche momento divertente ma le scarse sparatorie o scazzottate inserite non riescono a distaccare dal clima che risulta ricalcare maggiormente quello degli albi dedicati a Cico, volutamente scanzonati. L'atmosfera di terrore legato ad apparizioni di spettri e misteri che attira con la cover non si sente per nulla durante la lettura. Non si può però non apprezzare la raffinata arte di Piccinelli, che in questa cover offre il meglio di sé così come in quella del numero di aprile nella serie regolare, riprendendo una posa classica dello Spirito con la Scure in omaggio all'epicità che aveva il disegno originale ad opera del maestro Gallieno Ferri. Non ditemi che non ve ne eravate accorti.
Nemmeno Il Comandante Mark è esente da sviste. Ed anche abbastanza “grossine”. Sul volume intitolati “I pirati”, il numero 43 della riproposizione a colori delle storie associate alla Gazzetta dello Sport dopo pagina 64 ecco che ci troviamo a pagina... 49. E da lì in po vengono ripetute fino alla "fine", senza sapere cosa succede nella parte conclusiva dell'albo che quindi rimane in sospeso sebbene collegandosi a quello successivo. Bisogna presumere, non voglio dire sperare, che se ne accorgano e come talvolta avvenuto in passato in altre testate alleghino le pagine mancanti in un futuro volume per recuperare la lacuna. Altrimenti Flok, il simpatico cane di Mister Bluff, dovrebbe inseguire chi si è occupato del controllo sull'impaginazione invece di Gufo Triste e i suoi polpacci.
Dago in un tributo ad opera di Lorenzo Barruscotto
Ma dato che stiamo parlando di nuvole parlanti, per l'appunto, spaziamo nell'universo fumettistico e non rimaniamo solo in ambito bonelliano.
Facciamo un salto in un'epoca di cappa e spada, più precisamente nel Sedicesimo secolo. Qualcuno di voi appassionati fumettari ha già sicuramente compreso che parleremo di Dago. Se un po' conoscete questa rubrica e chi la scrive, sapete bene che non è quasi mai successo che si siano giudicati negativamente i disegni e le tavole di un albo, specialmente considerandoli meramente dal lato artistico, essendo il sottoscritto consapevole del lavoro che c'è dietro ogni singola vignetta. Ci ho provato, prima di realizzare in modo più specifico ritratti, l'ho verificato. Ebbene, purtroppo siamo arrivati a dover fare un'eccezione.
I miei ultimi due albi di Dago della collana inedita sono stati veramente quasi incommentabili. Perchè ho detto “i miei ultimi”? Perchè dopo la tremenda doppietta o come l'ho soprannominata “dop-piatta”, ho deciso di smettere di acquistarli, restando solo su qualche saltuaria ristampa, quelle sì davvero degne del Giannizzero Nero, che si tratti della riedizione completa a colori o di numeri speciali.
Però sinceramente con gli inediti, cari amigos dell'Aurea, non mi prenderete più per il... naso.
Oltretutto avevo già scritto direttamente alla loro email più volte in passato: in un paio di occasioni altrettante mie lettere erano state perfino pubblicate sui volumi, ma si trattava di messaggi positivi e che lasciavano trasparire la mia passione per il personaggio. Poi quando si è trattato di rimediare, su modesti suggerimenti, alle numerose sventagliate di errori, dalla grammatica ai balloons, il risultato sono state o risposte spocchiose condite con sarcasmo che non faceva ridere, indirettamente messo anche nelle comunicazioni ai lettori in merito alle “sviste”, o proprio nessuna risposta: il clima è cambiato chiaramente.
Beh, direi che con gli albi di Gennaio e Febbraio 2021 avete raggiunto livelli veramente infimi, altro che “aurei”, simpaticoni.
Quando leggo Dago io voglio azione, storia, emozioni, intrighi, voglio arrivare a sentire il clangore delle lame che si incrociano nei duelli ed il fragore dei moschetti nelle battaglie, voglio l'arsura del deserto e il freddo dei cantoni svizzeri, voglio la cupa generosità del Rinnegato al servizio dei deboli o impegnato nel far cadere un malvagio dal suo trono. Non voglio vedere la brutta copia di un film anni 90. Per tutti i diavoli, in “La caduta degli idoli” sembra di essere sul set di “Rapa Nui”. Molti di voi se lo ricorderanno, ambientato sull'Isola di Pasqua, pellicola che contrappone le fazioni in lotta tra nobili e schiavi, “Lunghi orecchi e Corti orecchi”, tutto all'ombra dei grandi “testoni” caratteristici. Beh, voi ci vedete Dago lì in mezzo? Andiamo, se anche fosse, non sarebbe stato il caso di sforzarsi per deviare un tantino dalla storia del film invece di appiccicare scene a casaccio? Anche i disegni di un autore che solitamente apprezzo molto per il suo tratto risultano più stilizzati e conclusi velocemente come se ci fosse fretta di finire l'albo.
Guardate, sempre voi dell'Aurea, che per avere tra le mani risultati così ci va bene anche aspettare un mese in più ed avere poi qualcosa di meglio.
Non c'è più granchè da “recensire”: le reazioni vanno dalla risata semi-isterica proseguendo nello sfogliare le pagine ai crampi alle sopracciglia per quanto diventano corrucciate mentre cerchiamo di salvare il salvabile della storia, rappresentato solo dall'ultima tavola, per due ragioni. La prima è che finalmente ci fanno ammirare uno stupendo veliero e l'altra, ci siete già arrivati, è proprio perché si tratta dell'ultima tavola. Un saluto ai 3,50 euro andati nelle tasche di chi ridacchia prendendoci bellamente in giro.
Il mese dopo invece non si sa bene cosa avessero a suo tempo in testa gli sceneggiatori. Nel senso che non si capisce uno stramaledetto accidente di che diavolo voglia dire l'avventura intitolata “Il quinto moschettiere”: sembra un collage raffazzonato di appunti messi insieme alla rinfusa, scritti su post-it (per non dire di peggio) e ulteriormente rimescolati da una folata entrata dalla finestra dopo che un cane li ha masticati e un gatto ci si è rifatto le unghie. E potrei anche dire che un piccione entrato da quella stessa finestra... ci siamo intesi.
Ad intervalli quasi regolari che dovrebbero essere i cambi delle ambientazioni e della trama pare che inizi una nuova storia e tra l'altro i disegni stessi, che in altri contesti sarebbero apprezzabili (magari sapessi realizzare cose simili io, inventando, per quanto se li facessi io mi asfalterebbero con ogni sorta di critica, ma questa è un'altra musica), nello specifico non aiutano perché i volti sembrano tutti uguali, con più o meno ovunque baffoni e barbe. Fortunatamente Dago ha le sue cicatrici che lo caratterizzano altrimenti sarebbe complicato distinguere perfino lui.
Ci sono alcune vignette molto belle, ma si tratta di saltuari quadretti posticci, che si trovano lì senza motivo, qualche bel disegno staccato dalla continuità degli eventi. Eventi che lo stesso soggettista, prima ancora della sceneggiatura, ha forse partorito a tarda notte dopo difficoltà di digestione. Lo siento, amigos, niente più sorprese inedite per questo fan del guerriero che parla in egual modo a mendicanti e pontefici.
“Non vi basta?”, come dice con quel tono supponente un certo presentatore in una pubblicità. Beh, ho una chicca per voi: neanche la serie “I monografici” di Dago viene risparmiata dalla totale mancanza di cura per i dettagli e perciò mancanza di rispetto verso i lettori e verso ciò che è o dovrebbe essere il loro lavoro dei curatori della collana e della Casa Editrice: come si fa a sbagliare l'associazione tra titolo e copertina? Anzi ad invertirle dato che le storie sono due e non duecento? Eppure si fa. Perché lo hanno fatto.
Caro direttore dell'Aurea, forse quella mano che avevo proposto anche a compenso ben più basso del basso vi serve eccome se non sapete neanche riconoscere le cover delle vostre stesse storie, selezionate tra le più incisive del passato. Tra l'altro in questo caso specifico vi è anche andata male perché nel periodo delle celebrazioni in onore di Dante (sapete, 700 anni...), pubblicare “Il settimo cerchio” avrebbe potuto essere un colpo da maestro.
Un'avventura assurda, quasi un sogno, ma stupenda, con riferimenti alla “Divina Commedia” ovviamente e disegni favolosi, riproposta a colori. La copertina originale aveva perfino una delle Furie che attacca Dago immergendoci da subito, e senza spoiler, nell'atmosfera fantastica che si respira ad ogni pagina, quindi opera d'arte inconfondibile, indimenticabile... e voi non la mettete sulla copertina della raccolta e, cosa gravissima ed incredibile, non azzeccate l'associazione ponendola invece come cover della seconda storia, oggettivamente in secondo piano, sebbene di prim'ordine anche quella, scusate il gioco di parole, dato che si va sempre a ritroso negli anni quando le inedite erano ben fatte (“Oltre il buio”)? Forse oltre il buio e la nebbia dell'atteggiamento intriso di faciloneria e superbia dovrebbe andare chi commette queste leggerezze a discapito dei prezzo dell'albo (questo costa 6,90 euro) facendo un passo indietro, una salutare pausa e considerando dove e per cosa sta lavorando. Forse, eh.
Comunque sia, esatto, avete invertito le copertine, per farla breve.
Anche in questo caso, come vi eravate permessi di scrivere l'anno scorso prendendo per i fondelli i lettori e credendo così di giustificare i troppi errori (non di scusarvi, perché scusarsi è un'altra cosa), date la colpa al caldo estivo? Peccato che non sia ancora arrivata l'estate, men che meno quando sono usciti gli albi in questione. I brividi non ce li ha fatti venire la neve. Comunque, se più avanti avrete caldo, toglietevi la felpa e concentratevi, perché per agosto cosa dovremmo aspettarci? Unicorni rosa e alieni vestiti da cortigiani francesi?
Bisogna dire che ci sono anche errori più piccoli, diciamo ordinari. Per esempio anche nell'albo della Ristampa Dago uscito il 30 marzo in quarta copertina si annuncia che il numero successivo “Il regno di Pizzarro” uscirà il... 30 marzo. Capita.
Poteva andare peggio. Potevamo ritrovarci nella presentazione che precede le vignette con un approfondimento sulla differenza tra quattro stagioni e margherita. Da Pizzarro a pizza il passo è breve, come direbbe Jack Sparrow.
Ritratto del Capitan Jack Sparrow ad opera di Lorenzo Barruscotto
Torniamo a dire ancora qualche parola su Tex. Purtroppo.
Mi tolgo subito l'osservazione più rapida. La storia della collana inedita intitolata “Il monaco guerriero” (di Zamberletti-Candita) sebbene ben disegnata, che cosa vuole lasciare al lettore? Oltre al fatto che Tex e Carson vengono coinvolti, quasi inclusi, nella vicenda neanche per caso e non viene spiegato come facciano ad essere proprio lì proprio in quel determinato momento che fa partire la vicenda, neppure un minimo accenno, e sorvolando sul fatto che un dottore di una piccola cittadina del West sia al corrente di usanze e riti antichi che riguardano la formazione di un monaco Shaolin, si tratta di un'indagine per nulla coinvolgente dato che fin da subito si conosce l'identità della solita cricca di colpevoli: quindi argomentazioni incolori e una volta terminata la lettura non rimane alcuna emozione, alcun passaggio da rivedere, da rileggere, nulla. Completamente inconsistente. Un vero peccato.
Ma passiamo all'artiglieria pesante, dove anche in questo caso ci mette lo zampino qualcuno che sicuramente si ritiene, ma, e questo mi risulta incomprensibile più di tutti i Sudoku di tutte le settimane enigmistiche messe insieme, viene anche considerato da diverse persone un esperto di “cose del West” sebbene abbia già regalato al pubblico una notevole serie di pu...re perle, di ca...stronerie una dietro l'altra da far battere i denti anche ad un orso polare.
Ed infatti non è che stavolta si sia saltato un turno. Ormai diventa quasi una barzelletta, che non fa granchè sbellicare a dire il vero, scoprire quale coniglio riesca a tirare fuori dal cilindro, dopo le foto sbagliate, i commenti scollegati dalla storia che doveva commentare, i fatti non corrispondenti al vero quali ad esempio l'invenzione di una vita parallela di personaggi conosciuti da generazioni di Texiani fino ad arrivare all'insulto vero e proprio sul modo di disegnare di grandi artisti (vedi Galep), dimostrando così che quando hanno distribuito il rispetto per ciò che si fa e che per altro ti permette di mangiare tutti i giorni evidentemente in contemporanea doveva esserci un saldo sugli ombrelli...
Non solamente i Rangers, sebbene con nozioni mai troppo specifiche storiograficamente ma diciamo sufficienti a togliere un certo languorino di conoscenza, sono stati menzionati nelle avventure e nelle rubriche degli albi: spesso e volentieri ritroviamo anche le Giubbe Rosse canadesi, la Polizia a Cavallo o se vogliamo essere più affettuosi i Mounties, nomignolo che identifica la "Royal Mounted Police" a cui era affidato il compito di portare ordine e giustizia negli sterminati territori della Grande Regina Bianca.
Dovete sapere che anche loro sono stati contattati da chi vi scrive ed anche con loro sono riuscito ad ottenere un'intervista (che sarà pubblicata prossimamente qui su “Osservatorio Tex” come quella sui portatori di stella d'argento) con notevoli dettagli e “dietro le quinte” della formazione e delle regole che governano la vita dei poliziotti a cavallo. Inoltre anche dal quartier generale di Alberta mi sono giunti gli auguri prima per Natale 2020 e poi per la Pasqua recentemente trascorsa: proverbiale gentilezza canadese.
Saltiamo il fatto che senza alcun supporto, senza case editrici alle spalle, da solo, armato soltanto di curiosità, passione e un po' di cocciutaggine, io sia riuscito a contattare entrambi questi grandi simboli dell'epopea della Frontiera, i quali mi abbiano dato corda, risposto e per giunta risposto in modo sorprendentemente esaustivo mentre chi dovrebbe, anzi avrebbe dovuto, farlo per lavoro si inceppa su banalità senza nemmeno sognarsi di lasciar trasparire l'entusiasmo da fuochi d'artificio interiori che bisognerebbe espellere perfino dagli occhi potendo scrivere per e su Tex. Lasciamo pure perdere.
Ma se si fanno uscire due albi a distanza di non troppo tempo l'uno dall'altro (e uno dei due è già una ristampa di suo) sarebbe un segno di quella professionalità che latita non solo non ripetere gli argomenti negli articoli a corredo delle storie che sono legate tra loro dal fatto che in entrambe compaiono le Giubbe Rosse ma anche e soprattutto nella parte relativa al fumetto essere determinati come cecchini. Non c'è stato fortunatamente un copia-incolla ma un po' di ridondanza c'è, ammettiamolo.
I saluti e gli auguri da parte di Mounties e Rangers verso il curatore di questa rubrica
E non venitemi a dire la solita tiritera che nessuno mi obbliga a comprare niente. E' vero, ma nessuno mi obbliga neanche a fermi menare per il naso se lo faccio, anzi, quando lo faccio voglio essere appagato dalla mia scelta, voglio essere invogliato a rifare l'acquisto un'altra volta, voglio investire i miei soldi in emozioni o ricordi, voglio essere trattato da lettore di Tex.
Andiamo in ordine cronologico: a marzo 2020 è stata resa disponibile la ristampa in un unico albo della storia, ormai mitica, di G.L. Bonelli e Ticci intitolata “Sulle piste del Nord” comparsa sulla serie regolare negli anni 70 sui numeri dal 121 al 124.
Prima dell'avventura a fumetti troviamo un articolo di Graziano Frediani con sfumature piuttosto, e non era scontato, interessanti anche relative agli autori della storia: fornisce molti riferimenti alle varie “incursioni” oltre confine che i Pards hanno fatto per dare una mano al colonnello Jim Brandon o al trapper Gros Jean nel corso dell'intera saga texiana, non disdegnando di menzionare le tribù indigene che vivono nei territori del Nord e qualche spolverata di Storia che non fa mai male. Un gran bell'articolo, pulito, lineare, preciso, solido, ben scritto che nel poco spazio a disposizione riesce a dire e comunicare molto. Ci sono perfino citazioni letterarie davvero affascinanti e poco conosciute, oltre a quelle cinematografiche classiche ma sempre piacevoli. Anche le immagini seguono idealmente il filo del discorso, con le copertine della storia originale, un grande e splendido disegno di Galep, la cover di un libro, un fotogramma dal famoso film “Giubbe Rosse” con Preston Foster e gli altrettanto famosi baffetti di un sorridente Brandon disegnato da Ticci che ci sorride facendo il saluto militare. Aaahhh, che inizio scoppiettante.
Ancora, ne vogliamo ancora. Voltiamo pagina e troviamo come titolo “Il richiamo dell'avventura”. Va beh, viene subito in mente il mille volte menzionato Jack London ma mica ripeteranno sempre le stess... le ripetono.
Eh sì, l'autore del secondo ed inspiegabilmente lunghissimo (non serviva farlo così lungo giusto per riempire delle pagine) articolo è il nostro Monsieur Coiffeurs. Si parla di avventura, di neve quindi: puff, Jack London! Per tutti i diavolacci, altro che SemiNOIE (tribù di indiani annoiatissimi al centro di un saggio dello stesso autore, citata su queste pagine tempi addietro e così chiamata più volte dal medesimo scrittore).
No, dai, non siamo prevenuti, sicuramente si tratta solo di un rimando veloce, non ci saranno frasi stereotipate e sterili sui duri uomini della Frontiera, questo lo sanno anche le pietre, non si parlerà ancora di lupi feroci. Invece ci diranno come vivevano davvero a quell'epoca, impareremo trucchi per seguire le tracce, per sopravvivere al modo dei Mounties di una volta, ci saranno nomi di valorosi, notizie ben più approfondire di quelle di Wikipedia, retroscena sulla creazione di fumetti, sui film, sui libri di svariati scrittori... Ehm, no. O meglio non proprio. Però c'è Porky Pig vestito da giubba rossa, volete mettere? Peccato che tutte le foto, tutte, siano in bianco e nero. Ma se si chiamano Giubbe ROSSE! Ok, ok, lasciamo stare.
A parte il fatto che anche solo dando una scorsa veloce si evidenziano i nomi più noti di località o aree del Grande Nord che si sono trovate su copertine di Tex prima ancora che su mappe o atlanti, non intendo spandere troppo tempo e sudore nell'elencare cosa viene detto e cosa si sarebbe dovuto dire. Cioè non devo essere io a fare il suo lavoro, maledizione!
Ormai ogni lettore bonelliano con qualche pelo sul petto sa che Jack London era “il narratore che G.L. Bonelli aveva sempre ammirato e sentito più vicino”, come afferma Frediani nell'articolo precedente. Se qualcuno non lo sa lo impara con l'articolo dello stesso Frediani, pertanto quello è un altro motivo per cui non era necessario risottolineare subito dopo il concetto, mettendo sul piatto probabilmente il solo nominativo che si associa a tali ambientazioni. Con qualche spolverata di nozioni sulla vita dello scrittore di “Il richiamo della foresta” aggiunta in un moto d'orgoglio, probabilmente. Anche chi vi scrive concorda sul fatto che certe traduzioni in confronto alle versioni originali siano causa di deficit di significati o emozioni (come avviene per il titolo inglese del suddetto libro “The Call of the Wild”) ma un esempio di “fallacia”, termine usato nell'articolo, è proprio l'articolo stesso. Possibile che ci sia solo London da citare come autore di scritti avventurosi o quando si ha a che fare con terra canadese? E che spuntino lupi peggio che ci si trovi in una storia alla Cappuccetto Rosso strafatta di doping? Sempre di un vestito rosso si tratta ma a questo punto è il lettore a vedere... scarlatto quando si cade nuovamente sugli stessi stereotipi. Per lo meno fai una citazione veloce e non ogni singola volta, andiamo!
Se si vuole fare gli impegnati allora perché non citare “Into the Wild” (che tra l'altro mantiene anche da noi il suo titolo in lingua inglese), film tratto dal libro di Jon Krakauer in cui si racconta la storia vera di Christofer McCandless che dopo la laurea decide di viaggiare fino all'Alaska dalla Virginia? Oppure “Cercando Alaska” di John Greene che il "New York Times" ha messo al decimo posto nella sua classifica dei tascabili per ragazzi, uscito nel 2005, quindi relativamente recente rispetto ad altri?
Sono già due nomi che lasciano tranquillo il buon John Griffin Chaney, vero nome di battesimo di London.
Poi, se fate citazioni, per favore, fatele giuste e se non si sanno le lingue basta andare su internet per verificare. Il motto dei Mounties è “Mantiens le Droit”che si può effettivamente tradurre con “Sostieni il diritto” ma si scrive come l'ho scritto io e non come compare nell'articolo. E per la cronaca venne adottato come tale due anni dopo la fondazione del Corpo, avvenuta nel 1873.
Inoltre non so con che bastone da rabdomante si sia andato a cercare lo stemma “taroccato”, probabilmente preso da un sito che fa toppe per jeans o per zaini, perché presumibilmente la scritta sbagliata deriva da quell'immagine, pubblicata in bella vista nell'articolo. Bastava andare sul sito ufficiale (questo: https://www.rcmp-grc.gc.ca/en ), sui social o su Google per trovare quello corretto, con la scritta giusta. E ci ostiniamo a chiamare esperti chi invece ci prendicchia in giretto.
L'articolo, pensate, rischia invece di diventare interessante quando si accenna al significato del colore delle divise dei Mounties, sebbene sia relativamente logico che derivi da quelle che i soldati inglesi indossavano, anch'essi chiamati Giubbe Rosse (proprio quelle che lottavano contro i ribelli americani dei futuri Stati Uniti) dato che il Canada era anche al tempo del nostro West sotto il dominio di Sua Maestà. Però rischia e basta. Infatti non c'è solo “epicità” dietro la scelta di tale cromia. L'esercito britannico scelse divise rosse anche perché tale colore rappresentava una tintura “conveniente”, più facile da tenere pulita. Inoltre i reggimenti di cavalleria e fanteria erano vestiti così fin dal 1645 (restandoci fino al 1902) perché erano di facile individuazione e si doveva subito capire che si trattava di soldati inglesi. "Britannia imperat." Solo in tempi maggiormente recenti si comprese che lo stesso motivo di vanto ne faceva dei bersagli ed infatti nelle Guerre Boere la divisa tipica venne sostituita dal “cachi” riducendo l'uso dell'uniforme tradizionale (giubba rossa, pantaloni blu e casco bianco) alle parate ufficiali.
Eppure, invece di qualcosa di diverso e concreto, quale fatto storico tra i tantissimi troviamo citato? Beh, ovviamente quello che riguarda i Wolfers, che sappiamo essere realmente esistiti. "Esclusivamente” perché lo abbiamo letto su Tex, mica per nozioni di Storia.
Facciamo una breve digressione tanto serve anche per ciò che viene dopo. “Wolfers” era un termine generico usato per riferirsi a cacciatori di lupi sia pagati dai militari che civili che operavano in Nord America nel XIX secolo ed all'inizio del XX. Durante la corsa all'oro dagli anni Quaranta agli anni Ottanta dell'800, alcuni dei partecipanti si dedicarono alla caccia al lupo durante i rigidi inverni. Nel decennio del 1860 non riuscendo a fare fortuna nelle Grandi Pianure attraverso la ricerca di minerali, trasporti o coltivazione della terra, erano molti quelli che lavoravano come cacciatori in qualità di freelance diciamo, per un reddito extra. Le pelli venivano vendute ai commercianti per un massimo di due dollari ciascuna. Nei tre decenni successivi al 1865, i lupi vennero quasi sterminati tutti ad opera dei Wolfers dal Texas al Dakota, dal Missouri al Colorado. Costava circa 150 dollari attrezzarsi per una caccia invernale e quando le pelli erano eccellenti un “investimento” del genere poteva portare fino a tremila in pellicce nel corso di tre o quattro mesi. Non anni, mesi.
Le attività dei Wolfers raggiunsero il picco tra il 1875 e il 1895 quando gli allevatori attribuirono sempre più la colpa di tutte le carenze economiche alla depredazione del lupo. Un metodo tipico per catturare i quadrupedi prevedeva l'uccisione di un certo numero di ungulati, avvelenando le carcasse con stricnina e poi ritornando il giorno successivo per trovare i lupi intossicati. Giocavano sporco e senza regole anche nei confronti della legge, non solo degli uomini ma anche della natura. In alcuni casi, i cacciatori uccidevano i cuccioli e risparmiavano deliberatamente la madre per consentirle di riprodursi di nuovo l'anno successivo. Altri mostravano a un magistrato una parte del corpo di un lupo, mentre a un altro un'altra parte dello stesso animale, venendo pagati due volte per la stessa preda. Solo il 1 luglio 1915, il governo degli Stati Uniti assunse i suoi primi cacciatori di lupi governativi. A differenza dei cacciatori di taglie civili del secolo precedente, i cacciatori del governo si avvicinavano al loro lavoro in modo metodico. Prima di essere sciolti il 30 giugno 1942, si stima che eliminarono oltre 24mila lupi. In Canada, un programma di sterminio simile e sostenuto dal governo è stato avviato nel 1948 dopo un grave calo delle mandrie di caribù nei Territori del Nord ed una certa preoccupazione dovuta a fatto che branchi selvaggi migravano a sud vicino alle aree popolate. Vennero distribuite 106mila cartucce di cianuro e 628mila pallini di stricnina. Fino a 17500 lupi furono avvelenati in Canada tra il 1955 e il 1961. A metà degli anni '50, le taglie sul lupo furono abrogate nelle province occidentali a favore dell'assunzione di cacciatori locali. Le taglie nel Quebec terminarono nel 1971 ed in Ontario nel 1972. Complessivamente, circa 20mila lupi furono soppressi tra il 1935–1955 nella British Columbia, 12mila tra il 1942–1955 nell'Alberta e 33mila tra il 1947–1971 nell'Ontario.
Ecco, magari si poteva raccontare qualcosina del genere, mi azzardo a suggerire. Che poi con quell'appellativo si indicassero anche una manica di farabutti stanziati in un forte chiamato Fort Whoop-Up è cosa vera ma lì l'attività principale era il contrabbando di whisky e citeremo questi specifici balordi più avanti.
Finalmente sembriamo veleggiare su acque meno tempestose con citazioni (mica frasi partorite dall'autore, eh) di poeti e registi (e perché non ci viene detta una mezza news di più sul poeta citato, per esempio?). A noi appassionati avrebbe fatto piacere scoprire che tale Robert William Service pur essendo di origini inglesi si era trasferito in Canada, che fu influenzato dai racconti e dalle testimonianze delle corse all'oro e che era stato soprannominato il “bardo dello Yukon”. Potrebbe non interessare a nessuno, a me invece sì, che durante la Prima Guerra Mondiale fece l'autista di ambulanze per la Croce Rossa Americana, però questo serve a inquadrarlo come non semplice damerino che passava le giornate a sospirare e scrivere poemi. Tanto per dire.
"Terrore a Silver Bell": tributo a VILLA ad opera di Lorenzo Barruscotto.
Inoltre è bene ricordare qualche informazione, giusto una spolverata, proprio sui Mounties.
La "Royal Canadian Mounted Police" o se preferite in francese la Gendarmerie royale du Canada (Reale Polizia a cavallo canadese) venne istituita come correttamente si legge nell'articolo nel 1873. Fu il primo ministro dell'epoca, sir John MacDonald che tra un hamburger e l'altro (sì, è una battuta) si inventò questo Corpo con lo scopo di controllare, in origine, le praterie nella parte meridionale del Canada. Si doveva mantenere l'ordine, secondo le leggi britanniche, ovviamente. Ora i Mounties sono un'istituzione federale con giurisdizione in tutti i territori di quell'immenso paese.
Se l'autore fosse andato oltre le prime righe a leggere su Wikipedia o sul suo libro di storia avrebbe scoperto che non c'è stato solo il massacro di Cypress Hills subìto da una tribù di Assiniboine da parte dei criminali di "Fort Whoop-up”, già, proprio i Wolfers della storia di Tex che inizia con “La strage di Red Hill”. Certo, quel fatto di sangue diede il “la” alla creazione della Polizia a cavallo andando anche sull'onda del malcontento, chiamiamolo così, suscitato da parte degli ospiti americani, prima che si scatenasse una vera e propria guerra indiana.
Inutile sottolineare che i primi Monties fossero numericamente assai ridotti. Il primo nome ufficiale assegnato loro, poco più di trecento unità, fu North-West Mounted Police (Polizia a cavallo del Nord-Ovest), poi furono rinominati dal 1901 come Royal Mounted Police con competenza su tutto il Canada, ma ben presto gli appartenenti al Corpo divennero famosi come Mounties oppure come Red-coats (giubbe rosse).
Sarebbe stata una bella cosa fare chiarezza sull'evoluzione del nome, magari, dato che non si tratta di sinonimi e si è pure beccato lo stemma sbagliato, lo ricordiamo mestamente.
Il vero stemma della Royal Canadian Mounted Police
Ma a cos'altro dovettero far fronte i Mounties, prima di vederlo finire sui libri di Storia? Se non volete andare su internet basta ricordare qualche altra storia del Ranger.
- Lo sconfinamento dei Sioux di Toro Seduto: in circa 5600 cercavano di sfuggire alla vendetta delle truppe americane dopo la battaglia del Little Big Horn (1876). Le Giubbe Rosse avevano regole di ingaggio rigorose che non prevedevano attacchi diretti, così si accamparono ad un centinaio di miglia a Sud-Est di Fort Walsh e grazie al loro intervento i rapporti tra gli indiani e i canadesi della zona furono sempre buoni e pacifici, finché i Sioux tornarono negli Stati Uniti nel 1881.
- La ribellione dei Metis: nel 1885 i “sangue misto” e le tribù di Assiniboines e Crees guidate da Luois Riel e dai capi indiani Big Bear (che in Tex diventa un bianco violento e odioso) e Poundmaker si opposero al governo centrale. La rivolta venne repressa nel sangue e Riel, catturato a Batoche, sede dei ribelli, dopo un processo fu impiccato.
- La corsa all'oro, proprio quella di zio Paperone: con la scoperta dei giacimenti auriferi nel 1895 le regioni del Nord furono invase da cercatori e avventurieri. Il governo canadese inviò i Mounties per mantenere l'ordine. Le truppe percorsero ben quasi 5mila miglia e dal nuovo centro da loro costruito (Fort Cudahy, ora sito di interesse storico nello Yukon insieme a Fort Mile e Fort Constantine) esercitarono non solo attività di polizia, ma anche amministrativa e civile, stipulando le concessioni aurifere, appianando i contrasti tra i contendenti e cambiando l'oro in valuta.
Francamente rischia di tornarmi il mal di stomaco a scrivere questo resoconto (di "non cose") quindi direi che ho già ampiamente dato l'idea del modo in cui vengono trattati i lettori assetati di conoscenze e curiosità, i quali invece si trovano costretti a sbattere il grugno contro questo muro di inaccuratezze, banalità, piattume e mediocrità che comunque per assurdo non dovrebbe più stupire dato che è diventato il marchio di fabbrica di certi “scrittori”. Che vengono pagati, nel caso a qualcuno sfugga, perchè scrivere è ufficialmente il loro lavoro. Non si tratta di un hobby. Già, non si tratta di un hobby.
Anche Tex scruta l'orizzonte in cerca di professionalità,
in un tributo a VILLA ad opera di Lorenzo Barruscotto.
Ci sono addirittura ancora ben cinque pagine nell'articolo ma per il bene del mio apparato digerente nonché del sistema nervoso non solo mio, vi invito ad avventurarvi da soli volendo nella restante parte di questo “saggio” poco saggio nonché esageratamente lungo che fa da preludio alla storia a fumetti nel fuoriserie.
Proseguendo forse vi sembrerà che la mia affermazione sul fatto che si menzioni solo Jack London sia errata, trovandovi di fronte ad una specie di elenco in cui si sciorinano nomi di personaggi, autori o titoli qua e là ma in questo caso ci si inoltra nel mondo dei fumetti e lavorando in una “certa” Casa Editrice si spera che un minimo di storia del passato la si impari standoci dentro, oltre al fatto che credo ci si possa basare su archivi o semplicemente chiedere a “colleghi” più esperti che indirizzino eventuali ricerche in rete fornendo qualche indizio da verificare o da utilizzare come partenza.
Anche se, per dirne uno, il Sergente Preston lo conoscevo anch'io che sono una piccola formichina qualunque, così come andando a rispolverare la carriera del mitico Giolitti, si può “scoprire” che Ticci lo ha avuto come maestro e che quel maestro ha disegnato proprio i fumetti americani del Sergente Preston. Sarebbe stato simpatico leggere informazioni su qualche dietro le quinte oltre che ovviamente quelle basilari: “Sergeant Preston of the Yukon” è stata una serie televisiva statunitense trasmessa per la prima volta tra il 1955 e il 1958, adattamento televisivo della serie radiofonica “Challenge of the Yukon” andata in onda per il ventennio precedente. Incentrata sulle vicissitudini dell'omonimo protagonista, il suo cavallo Rex (il nome piace, evidentemente) ed il cane King. Il fumetto era realizzato proprio ispirandosi a tale serie e Giolitti vi lavorerà fino al 1958, alla sua chiusura, vivendo in America.
Per rispondere alla domanda inutilmente retorica che credo voglia essere una battuta (???), a chiusura dell'articolo: no, non è affatto una coincidenza che anche Brandon abbia i baffetti come il Sergente televisivo e non sarebbe stata una coincidenza neanche se a disegnarlo non fosse stato un “discepolo” del grande Giolitti.
E per di più cosa c'entra l'agente speciale Gibbs di NCIS con la Giubbe Rosse? Perchè è Gibbs che dice sempre “Io non credo alle coincidenze!” ma qui, come si dice dalle mie parti, ci sta come una barca in un bosco.
Vengono anche indicati vecchi fumetti quali “Giubba Rossa”, un giornalino a strisce adattato e tradotto per l'Italia proprio da G.L. Bonelli pubblicata da Edizioni Araldo dal 1959 al 1962, serie di origine inglese basata sulle avventure del Sergente Dick dei Mounties, ovviamente. Basta un po' di naso e nemmeno troppo da tartufo per le ricerche.
Oppure “Baldo. Se volete saperne di più su questo divertente personaggio, qui c'è il sito ufficiale: https://www.lucianobottaro.it/2010/03/11/baldo
Ritratto dell'agente speciale NCIS Leroy Jethro Gibbs, interpretato da Mark Harmon,
ad opera di Lorenzo Barruscotto.
L'ultimo volume a cui diamo un'occhiata è il Tex Magazine 2021. Già dopo poche pagine iniziamo a sentire il famoso sopracciglio da perplessità che freme: perché si fa pubblicità con un articolo di due pagine mirato ad un libro? Ok, la si fa anche a dei videogiochi ma questo è un libro scelto tra tanti, come già avvenuto in passato e sinceramente viene da chiedersi perché quello? Perchè non altri? Perché non i miei? (Eh!)
Le due storie a fumetti contenute nell'albo non sono mal fatte, anche se non sono nemmeno loro esenti da errori. Nella prima per esempio, disegnata da Mario Rossi su soggetto e sceneggiatura di Ruju, a pagina 82 si vede uno scambio di braccia quando Tex aiuta un personaggio a togliersi da una brutta situazione sul ciglio di un dirupo: in una vignetta è il braccio sinistro, poi in quella dopo il destro (per altro la scena viene “ripresa in primissimo piano”). I disegni passano dal particolareggiato allo stilizzato specialmente nelle visuali più ampie, con nasi schematici che diventano becchi, ma a parte qualche tavola meno curata il lavoro dell'artista è assai apprezzabile.
La seconda storia, la più “piccola”, propone Boselli ai testi e Biglia alle chine: i due ci rivelano tramite un racconto esposto dallo stesso Jim Brandon a Gros Jean in una notte d'inverno un episodio della giovinezza dell'allora agente della Polizia a cavallo, e re-introducono i famigerati Wolfers, che se le prendono già all'epoca prima di incontrare Tex e Carson. Bei disegni, bella storiella per il filone delle avventure in solitaria dei comprimari amici di Aquila della Notte.
Il fatto è che anche stavolta l'articolo di presentazione c'è e lo ha scritto voi sapete chi, ormai. Ok, un goccetto per farci coraggio e diamo uno sguardo alla traged… alla cosa.
A parte il fatto che nell'avventura a fumetti non compare Tex e quindi sarebbe stato forse sensato invertire tra questo albo e quello con la storia ristampata di cui ci siamo occupati prima, quest'articolo che chiude la serie di reportages caratterizzanti come sempre il Magazine (no, degli altri non parlerò, ci sono curiosità interessanti? Si. Ci sono ripetizioni? Certo.) costituisce una carrellata delle trasferte in terra canadese di Tex e dei suoi Pards.
A proposito, e questo vale anche per le storie, o si mettono le tribù tutte al plurale o tutte al singolare perché nello stesso balloon leggere “Comanche e Apaches” non ha granchè senso, sebbene il lavoro di lettering sia solitamente di qualità eccellente negli albi di Tex.
Per fortuna per lo meno qui non si dice più che il Ranger fa un giretto oltre confine perché gli piace fare il turista o perché gli piace la cucina locale. E stavolta i colori ci sono. Anche troppi. Mi spiegate il senso di pagine completamente gialle, ma così gialle che sembrano mura di un solarium o colorate con quel che resta delle uova strapazzate che si sarebbero potuti mangiare dei cowboys a colazione prima di riprendere il loro lavoro?
Toh, guarda cosa c'è qui. Il logo dei Mounties, quello giusto! Ma dai, allora è possibile trovare in rete o sui libri le informazioni corrette, volendo.
Riecco però la solfa generalizzata sugli “uomini tutti d'un pezzo” che vestivano la giubba scarlatta. Beh, ma qualcuno potrebbe non conoscere di cosa si parla quindi ci può stare. E poi un omaggio al coraggio di chi davvero ha vissuto basando la propria esistenza su valore e onore non fa mai male, oggettivamente.
Il commento sui baffi da “tombeur de femmes” invece fa cadere braccia insieme ad ogni cosa che può rotolare via: ma che c'entra! Non stiamo a ripeterlo ma i baffi hanno un'origine ben definita che adesso conosciamo per filo e per segno. Non avevano certo lo scopo di raffigurare Jim Brandon come una specie di Rodolfo Valentino o Dylan Dog tra i ghiacci. Ed infatti non ci facciamo mancare il riferimento cinematografico, ancora ad un “filmone” in bianco e nero intitolato proprio “Giubbe Rosse” dove il protagonista aveva gli stessi baffi. Ok, che sia il Sergente Preston o il Sergente Jim Brett (il cui interprete si chiamava Preston Foster) e inoltre Brandon si chiama per l'appunto Jim, i collegamenti quelli sono, andiamo avanti.
Faccio umilmente notare che non serve inserire qualche parola di francese a tutti i costi solo perchè in Canada ancora oggi si parla diffusamente tale lingua: tombeur de femmes non ha tutto quel senso in tale contesto, così come nessuno si sogna di rapportare il tipico “ugh” usato dagli indigeni come saluto (ci sarebbe da disquisire sul fatto che nella realtà non era poi così utilizzato) a “voulez vous coucher avec moi”. Per altro si era già toppato sul motto della Mounted Police in ambito poliglotta.
Fortunatamente ci si ricorda che non è stato Ticci ad inventare il Mountie ma Galep e dato che si tratta di un uomo forte e di oggettivo bell'aspetto non si indirizzano all'ideatore grafico di Tex altri complimenti come “ridicolo” al pari di come era avvenuto in modo del tutto incongruo in articoli precedenti, nello specifico quando ci si era riferiti al trapper canadese Gros Jean ed al suo naso. Tra il serio ed il faceto comunque si rievoca la primissima volta in cui Jim e Tex si incontrano ed il generoso sacrificio che la Giubba Rossa non esita a mettere in atto per salvare il piccolo Kit Willer prendendosi un paio (non una) di pallottole al suo posto. Dello spettacolare assedio di Fort Kinder, che non era fatto di cioccolato, malelingue!, anche se la situazione in quel frangente di tanti anni fa era talmente tragica da far pensare a..., non si parla ma c'era un disegno che lo ricordava nella ristampa, quindi amen. La storia proprio di quella ristampa viene naturalmente menzionata col proseguire dell'elenco dei racconti dove il Canada funge da ambientazione solo che con tutti i titoli storici che si possono attribuire a quel capolavoro, nell'unica volta in cui non si dovrebbe essere ligi, si sfoggia il titolo della prima, corta, parte dell'avventura suddivisa in più albi, “La croce tragica”, senza spiegare che per l'appunto era solo un titoletto iniziale.
Tra l'altro il numero 121, cioè quello in cui inizia la lunga storia, si intitola “Dugan, il bandito”ed è solo da pagina 87 a 114 che si presenta quella che si articolerà per altri tre albi: “Sulle piste del Nord”, “Tamburi di guerra” e “Giubbe Rosse”. E lo stesso viene fatto per la splendida storia con protagonista il duo Tex-Jim contro i ribelli Metis disegnata da Fusco universalmente nota come “I ribelli del Canada”, anch'essa occupante tre albi oltre all'inizio dopo la risoluzione di un'indagine precedente. E con le altre via dicendo. Scelta inconsueta e che può sicuramente sollevare confusioni tra i lettori di vecchia data, figuriamoci tra quelli di primo pelo.
Fortunatamente non vendono dimenticati gli speciali come il Texone “L'ultima frontiera” o il Maxi “Nei territori del Nord Ovest” (scritto tutto attaccato sebbene con la maiuscola per la O, grrr). Non ci facciamo mancare qualche erroruccio di battitura perché la “troppa perfezione” diventa stucchevole (PS: colonnello ha 2 N).
L'elenco è accurato e ben sviluppato, comunque, impreziosito da bellissimi disegni tratti dalle tavole delle avventure o realizzati ad arte, è proprio il caso di dirlo, da Ticci (ricompare Brandon che ci fa il saluto ma è un ritratto talmente piacevole ed allegro che hanno fatto bene a riproporlo) e Villa.
Ritratto di Galep ad opera di Lorenzo Barruscotto
Siamo quasi giunti alla fine di questa disamina. Ci tengo a sottolineare che non c'è niente di personale nella mia ironia, non conosco affatto gli autori degli articoli che, si sarà capito, non incontrano il mio gusto, e ogni mia dissertazione si limita a delinearsi in ambito puramente lavorativo.
Se in quell'ambito mi sembra che ci sia una ripetizione di un articolo casualmente sulla falsa riga di uno già scritto (anche da me) l'ho espresso come in passate analisi in questa rubrica, se percepisco una carenza verso la testata, i lettori o il proprio lavoro lo dico ma ciò non significa che io abbia qualcosa, lo ripeto, di personale contro chicchessia.
Specialmente in questo periodo abbiamo purtroppo preoccupazioni ben più gravi e pressanti di qualche articoletto o di cosa viene pubblicato sui fumetti che, anche in tempi normali ma ancora di più in momenti di crisi ed emergenza, sono e rimangono, per lo meno dovrebbero rimanere, uno svago per chi li legge, un modo per staccare la spina quella mezz'oretta e non pensare, se possibile, ai problemi che assediano le case di tutti noi quotidianamente.
A maggior ragione queste mie chiacchierate vogliono avere molto più in piccolo lo stesso obiettivo: una risata, un sorriso, una discussione leggera con una spruzzata di umorismo, un passatempo di cui usufruire stando in casa, sempre che la testa e il cuore non siano attanagliati da pensieri molto più opprimenti e pertanto mille volte più importanti di qualunque stupidaggine possa venire sputacchiata dal vostro fidato gestore di Trading Post o da chiunque altro. Quando c'è in ballo la salute, tutto il resto perde terreno, su questo non ci piove.
Qualcuno dei "cartelli contro il Covid" realizzati da Lorenzo Barruscotto
partendo da disegni personali o da altri reperiti online.
Il primo già utilizzato, gli altri mai pubblicati e mostrati solo qui a titolo di esempio.
Un'ultima riflessione relativa all'aumento del prezzo dei fumetti Bonelli che da Aprile 2021 costano 50 centesimi in più. Le “medaglie celebrative” con i volti dei principali personaggi possono anche risultare un'idea “carina”, non ne sentivamo il bisogno ma ok, però ormai sappiamo come vanno le cose e sappiamo che spunta un “gadget” ogni volta che c'è uno scalino da fare verso l'alto, quindi chiamarle omaggio o regalo non è più il caso. Davide Bonelli come da tradizione quando c'è un tema caldo manda una sorta di lettera aperta ai lettori, lettera presente su tutti i volumi di ogni testata nel mese di Aprile. Ci ricorda che quest'anno cade l'anniversario per gli 80 anni di vita della Bonelli, partita nel 1941 come “Audace”, per i quali pare ci sarà una mostra espositiva, così dice, attualmente in preparazione. Congiunzione sfortunata ma magari sarà una cosa online, staremo a vedere.
Comunque d'altra parte al festeggiato in una festa di compleanno si portano dei regali e loro ce li fanno portare sotto forma di prezzi maggiorati.
Oltre all'ottantennale generale anche Zagor e Nathan Never compiono gli anni nel 2021, rispettivamente 60 e 30. Scopriamo poi che Julia ha subìto una riduzione del numero delle pagine ma, da quel che si evince dalla lettera, non un aumento di prezzo (non so cosa sia meglio per i suoi lettori). Tale aumento viene menzionato quindi solamente insieme alle altre informazioni e perciò non si tratta di una comunicazione riferita esclusivamente a questa “nota più spiacevole” per citare lo stesso signor Bonelli. Incremento al quale si associa la già sentita frase sulla crisi del mondo dell'editoria e nulla più. Non credo che sia tutto da attribuire al fatto che le copertine sono state prodotte in modo da essere di maggior spessore per favorire una più duratura conservazione degli albi. Nel qual caso, verrebbe ironicamente da rispondere, tornate pure alla consistenza di prima che è andata bene per decenni.
A dire il vero Tex Classic almeno per Aprile non è aumentato ma ritengo sia un caso a parte perché si tratta di 3,50 euro bimestrali. Sebbene traspaia l'usuale classe, dalle parole di Davide Bonelli non arriva nessuna “nuova” spiegazione o news in merito, soltanto la breve presentazione delle summenzionate medaglie. Forse la indubbia serietà del capo della Fabbrica dei Sogni (che a volte ci fanno risvegliare madidi di sudore) viene rispecchiata proprio dall'assenza di scusanti cercate col lanternino ma nel dare la notizia così com'è, fatto compiuto senza scalate di specchi o troppi salamelecchi.
Diciamo che è una situazione in cui nessuno ha né completamente torto né ragione. Si possono comprendere le motivazioni di chi si lamenta per l'incremento delle spese e di chi sostiene che si tratti solo di pochi euro all'anno (anche se è inqualificabile che girino epiteti come “morti di fame” quando ci si rivolge a chi esprime il proprio disappunto per l'incremento), così come si può pensare di capire le difficoltà degli editori ma anche e soprattutto quelle di chi magari conta sull'hobby dei fumetti come unica scappatoia e diversivo.
Per conto mio mi permetto di avanzare due osservazioni: la prima è che è da parecchio che tutte le case editrici “piangono un po' miseria” (fulmini, trovatemi chi non si è mai visto rispondere che il lavoro sarebbe stato gratis. A me come più volte ribadito hanno anche chiesto, non la Bonelli, di pagare per scrivere gli articoli...) e sicuramente in una situazione come quella attuale non viene visto con simpatia tale aumento. Inoltre non si tratta di 10 o anche 20 centesimi e quindi fa maggior scalpore del solito leggere la parola “solo” davanti alla cifra.
A me sta anche bene che aumentiate certi prezzi, io non bevo e non fumo, non ho altre abitudini voluttuarie, chiamiamole cosi, però mi piacerebbe che la qualità rimanesse sempre allo stesso livello e che non si faccia tanto per fare, sforzandosi di buttar giù storie che risultano poi non all'altezza. E ci sono le prove, non lo dico per dare aria alla bocca.
Seconda osservazione: in questi tempi in cui molta gente è costretta volente o nolente a stare più ritirata magari verrebbe voglia di spingersi su altre testate, per curiosità o per diletto, ma con l'aumento indifferenziato è anche facile che tale “bramosia” venga meno, il che va a discapito dei fumetti meno noti, i quali rischiano comunque di chiudere o di vedere ulteriormente ridotta la loro esistenza o trovarsi coi tempi di produzione dilazionati andando a danneggiare il complesso delle uscite sulle quali si sono effettuati gli aumenti forse proprio per cercare di salvare specialmente quelle testate meno diffuse. Avrebbe potuto essere più accettabile e comprensibile, in periodi travagliati come questo per di più, un "sovraccarico" selettivo e scaglionato, ritoccando di poco almeno per qualche altro mese, solo i prezzi sulle colonne portanti della Bonelli, che so gli inediti e gli speciali, non le ristampe, di Tex, Zagor, Nathan Never (forse anche Dylan Dog, non so se chiamarlo colonna portante corrisponda ancora al vero), Dampyr. E' una mia opinione ma non mi pare del tutto campata in aria.
Tra l'altro Tex Classic e Tex Willer di Marzo a meno che non abbia preso io delle varianti con la copertina sbagliata, da 3,50 sono passati a 3,20 euro: forse in qualche modo hanno cercato di compensare dando un preventivo colpo al cerchio e uno alla botte. Ma non entusiasmatevi troppo: il numero 30 “Blizzard” è nuovamente a prezzo pieno: 3,50. Lo stesso per le ristampe a colori delle vecchie storie. In ogni caso non sono aumentati oltre, quindi qualcuno, non è da escludere, potrebbe aver pensato ad una strategia sovrapponibile alla mia ipotesi. Uno strano balletto, in ogni caso: potete verificare voi stessi anche sul sito ufficiale Bonelli. Zagor Classic, mi baso sugli ultimi volumi in edicola, da 3,50 è passato a 3,90 euro.
Ci pensa comunque il MaxiTex “Il segreto della missione spagnola” a far tornare alla carica chi non ha tollerato per nulla gli incrementi nei costi proponendo ai Texiani due storie che non sono sicuramente degne dell'Olimpo, entrambe non eccellono nemmeno dal punto di vista grafico, oltre al fatto che non si capisce perché nella copertina ci siano tutti e quattro i Pards (e questo fa sempre ben sperare in un'avventura in cui compaiono uniti) mentre la seconda avventura vede Tex perfino in solitaria. Pertanto non ci sarà una recensione relativa all'ultimo balenottero, aspettando occasioni più allettanti.
Bisogna anche dare a Cesare quel che è di Cesare: non ci sono solo albi sforacchiati come setacci. Per esempio gli inediti della serie regolare di Tex e della collana Tex Willer, seppur nell'abituale (e sempre confortante) bianco e nero, equivalgono ad un grandioso e limpido arcobaleno che rischiara la pista del lettori. “Sull'alto Missouri” (numero 29 di Tex Willer) è disegnato da Pasquale Del Vecchio, si aggancia al cartonato “Sfida nel Montana” ed è semplicemente bello. Era ora, finalmente: ci sediamo comodi comodi e leggiamo un'avventura che ci porta all'ultima pagina senza accorgercene e quando siamo lì ci dispiace che sia già finita. Il Vecchio Cammello aggiungerebbe anche "Grande Matusalemme!”
Idem come sopra per la continuazione (“Blizzard!”): in parallelo come già si sapeva dall'albo precedente seguiamo la pista del giovane Carson e l'acquolina non fa che aumentare. Un vero gioiello. C'è anche una bellissima citazione della storia che inevitabilmente viene in mente quando si legge quest'albo, vale a dire “Ultimo scontro a Bannock” dove sentiamo per la prima volta, in senso cronologico per i personaggi, pronunciata proprio da Ray Clemmons, la frase che diventerà il suo motto e che il non più trentenne Kit Carson ripeterà alla fine di quella tragica resa dei conti che pone la parola fine ad una pagina del suo passato. Eh, no, non ve la dico la frase! Il risultato è malinconico, coinvolgente e veramente “texiano”.
Lo stesso avviene per “Il pistolero Vudu”, Tex numero 726: altro artista dal tratto spettacolare, Bruno Ramella, che riportanelle nostre case la polvere della main street di una città di Frontiera quando si solleva il vento al tramonto e ci rigetta addosso la tensione dei duelli e di un'atmosfera cupa fatta di agguati e mistero. Proprio a partire dalle favolose copertine rispettivamente di Dotti e Villa, questi due albi centrano nettamente il bersaglio, a testimonianza del fatto che Tex è sempre Tex e se non ci sono in giro personaggi particolari a cui si lascia troppa libertà la qualità ne giova. Per Giove!
A volte ai lettori serve un po' di... Forza.
Darth Vader in un disegno di Lorenzo Barruscotto
Una nota merita il numero 359 di Nathan Never intitolato “Ritorno nel multiverso”. Se non si segue il continuum della saga dell'agente speciale Alfa talvolta, come in questo caso, non si colgono riferimenti a storie passate oltre a dover fare i conti con linguaggio “tecnologichesco” arricchito di aggettivi roboanti che sicuramente Sheldon di “Big Bang Theory” apprezzerebbe, senza menzionare il probabilmente voluto richiamo a “Matrix”.
I disegni sono a volte schematici ma tale tipo di racconto arriva a richiederlo. Però sparsi lungo l'avventura, proprio perché ci si sposta in “realtà parallele” si possono scovare divertenti “Easter eggs”, riferimenti più o meno velati ad altri protagonisti Bonelli: non ve li elenco per non togliervi l'eventuale piacere di scoprirli ma vi dico solo che due sono nomi, uno anche meno velato dell'altro, mentre il terzo è affidato ad un oggetto, e fa sorridere (positivamente) vedere l'ex poliziotto del futuro brandire una certa arma.
Non è la prima volta che in “altre” testate ci sono riferimenti a colleghi eroi, senza parlare direttamente di cross-over. Per esempio lo Spirito con la Scure una volta anni fa si era accampato per la notte durante un temporale su un isolotto dove sorgevano le rovine di quello che aveva tutta l'aria di essere stato un forte militare. E proprio Zagor spiega a Cico che “pare” fosse il quartier generale di una milizia capace ai suoi tempi di dare parecchio filo da torcere agli Inglesi durante la Guerra d'Indipendenza. Il lago è l'Ontario: a voi fare mente locale ma se vi serve un'oliatina alle meningi basta ricordare certi nomi: Mister Bluff, Gufo Triste, Betty, Flok e soprattutto Mark. Bravi, esatto: Il comandante Mark e i suoi Lupi dell'Ontario! Un altro caso illustre è avvenuto anch'esso parecchi anni fa sulle pagine di Zagor quando all'epoca della favolosa storia sulle “Sette città di Cibola” e le conseguenti peripezie durante le quali l'indiano Navajo Nakai si redime e diventa un capo per la sua gente leggiamo una profezia proprio sul popolo che i lettori di Tex ben conoscono: “un capo bianco li proteggerà dal male”. Beh, più chiaro di così.
Proprio su Nathan Never ho una specie di aneddoto da raccontarvi. Sul terzo volume dedicato a Legs Weaver, trilogia pubblicata qualche tempo fa per la collana “La Storie”, compare una citazione inerente l'Iliade. Sembra ci sia un errore perché viene affermato che Achille affronta Enea, mentre tutti sanno che il Pelide duella con Ettore sotto le mura di Troia, per vendicare la morte di Patroclo. Le parole invece riportate nell'albo si riferiscono al meno noto duello tra Achille e proprio Enea, avvenuto dopo la morte di Patroclo secondo il portavoce Bonelli della pagina ufficiale di Nathan.
Per sottolineare che l'errore sia stato “ammettere troppo presto il loro errore”, così mi hanno risposto, in modo sempre gentile come d'abitudine, dopo il mio commento su Facebook relativo proprio al travisamento dei duelli, viene riportato anche che si tratta del canto XX dell'Iliade. Confesso di non conoscere le poesie di Blake citate negli albi, mia lacuna. Ma vi riporto la mia risposta alla loro risposta e poi traete voi le vostre conclusioni: “Non siete riusciti a resistere nemmeno voi, mi avete preceduto di qualche ora (nell'andare a documentarmi meglio e controllare, intendevo)… Avete ragione, si affrontano Achille ed Enea, anche a me risultava strano che ci fosse una citazione del testo non corrispondente e quella frase sul leone (scritta nel fumetto) mi aveva spinto a controllare meglio. Avrei dovuto farlo prima, mea culpa, però qualcosa non mi quadrava ugualmente anche dopo (reminiscenze di mitologia, non legate solamente a Xena). Il fatto è che il “duello” tra Achille ed Enea non è un duello vero e proprio. Cioè si prendono a male parole e si tirano una lancia per uno. Enea non buca neanche lo scudo di Achille mentre rimane senza il suo perché Achille glielo trapassa come uno stuzzicadenti fa con un tramezzino. Ma prima che incrocino le lame in modo 'serio' Poseidone, che era a mangiare pop-corn e godersi lo spettacolo insieme agli altri dei e che non sopporta i Greci ma apprezza Enea, anche agli dei che facevano il tifo contro i Troiani piaceva Enea per via della sua devozione, annebbia tutti, prende con una manona Enea e lo sposta nelle retrovie a causa del suo < futuro destino per cui dovrà continuare la stirpe di Dardano > . Inoltre Enea non colleziona una gran figura perché pare che non avesse alcuna voglia di farsi malmenare da Achille e lo deve convincere Apollo. Quindi Achille rimasto a bocca asciutta durante la successiva battaglia fa fuori Polidoro (uno dei tanti Polidori della mitologia), fratello minore di Ettore, che alla fine scende in campo contro Brad… contro Achille. I personaggi, sto sul vago per non spoilerare, coinvolti nel duello nel fumetto invece vogliono prendersi allegramente a mazzate. A meno che il 'dottor Jeremy Irons' (un personaggio è chiaramente ispirato all'attore) non abbia un qualche ruolo assimilabile a Nettuno.”
Che dire: nettuno è perfetto...
Ritratto ad opera di Lorenzo Barruscotto dell'attrice Lucy Lawless con dedica,
ai tempi in cui impersonava Xena, la principessa guerriera.
Dato che siamo in clima di sassolini da togliere, direi di farlo del tutto.
Forse molti di voi conoscono i gruppi legati a Tex sui social. Ce ne sono due che per titolo hanno il nome ed il cognome del Ranger, scritti uno in stampatello minuscolo e uno maiuscolo. Io mi riferirò nelle prossime righe a quello scritto in minuscolo. Avevo già da parecchio avuto sentore che qualcosa non andasse, ma non avevo dato peso, sebbene abbia fatto svariati lavori, tutti gratuiti, utilizzati senza far trasparire grande riguardo verso il mio tempo ed il mio impegno (mi sovviene uno su tutti l'uso dei menù con i miei disegni per un pranzo a cui avevo partecipato, disegni che avevo adattato inserendo “tributo a” dato che quello erano, e che essendo stati rimaneggiati avevano sollevato le mie remore. E per altro non era stato fatto neanche il gesto di proporre che so uno sconto al pranzo, ma non soffermiamoci sulle bazzecole.
Io seguo sempre, e sottolineo sempre, le regole che si tratti della vita vera o di un gruppo social per l'appunto quindi esigo e mi aspetto lo stesso rispetto da parte non dico di chi lo frequenta ma per lo meno di chi lo gestisce soprattutto se mi conosce. Purtroppo invece capita spesso che chiunque acquisisca una seppur infima stilla di “potere” o controllo sugli altri finisca per esagerare, cancellando interventi (non solo miei) con la "complicità" di moderatori anche troppo zelanti, arrivando a zittire chi dice pacatamente la sua quando non si trova concorde alimentando astio verso chi non la pensa allo stesso modo, seguendo pertanto la propria materia grigia, che può essere di un grigio scuro o molto molto chiaro. In tutti i casi si deve usare il buon senso, cosa diventata merce piuttosto rara specialmente negli ultimi tempi in ogni situazione della vita, purtroppo.
Anche in questo caso propongo senza aggiungere altro il mio saluto a quel gruppo: “Buongiorno a tutti. Vorrei sapere chi e perché ha disattivato i commenti sotto al mio post sui ritratti personalizzati per i Texiani. Sono in questo gruppo da parecchio, se qualcosa non va mi aspetterei un messaggio privato o un commento diretto tipo 'ammonimento'. Avrei tolto io stesso il post se chi di dovere lo avesse giudicato inappropriato. Ok, sarà fuori tema, come lo sono diversi altri che non mi pare vengano 'boicottati', per lo meno il mio è un tentativo di aiutare la gente, e speravo che i Texiani come me lo capissero, ma rimane un atteggiamento poco simpatico. Mi aspetto una spiegazione se non è di troppo disturbo anche per non ripetere gli errori visto che direi che sono un lettore piuttosto attivo ed appassionato, interviste ufficiali a parte. E che mi sembra di andare d'accordo con tutti. Scusate per il disagio, non accadrà più. E probabilmente il messaggio è anche che non mi debba rivolgere a questo gruppo sperando di trovare 'compadres', evidentemente. Bel senso di comunità. Grazie e spero che stiate tutti bene in questo periodo di crisi. Se deve essere il mio ultimo post vi 'regalo' un Duca perplesso e un tributo a Villa. Ah, a proposito, Villa, Andreucci, Scascitelli, Filippucci mi hanno autorizzato a mettere a disposizione della mia vendita per la Croce Rossa (a questo si riferiva il post, vendita ufficiale per sostenere le raccolte fondi contro il Covid-19 che si è protratta per tutto l'anno passato da marzo 2020 chiamata "Ritratti per aiutare chi aiuta", menzionata anche da testate giornalistiche del Piemonte, la mia regione, e tutt'ora attiva su Instagram. Se volete cercate LORE1981DOC.) i ritratti che avevo fatto per loro. Lo dico così come news. Della cover originale di Dotti già lo sapete (messa a disposizione proprio per tale iniziativa e venduta). Posso anche andare via dal gruppo, basta dirlo, perché non è che mi si limitano le cose per volontà di un pellegrino che si sente il padreterno locale e che le fa di nascosto. Se no stiamo qui a pettinare le bambole e a continuare a dire che Galep faceva 'nasoni'. (Il fondatore del gruppo) si è sempre dimostrato gentile (prima). Hasta luego o adios, decidete voi.”
In realtà dato che non intendevo "elemosinare", ho deciso io e ho chiuso ogni contatto con tale gruppo, anche in seguito ad un paio di messaggi privati contenenti insulti, tra l'altro da persone che non avevo mai neanche non solo conosciuto ma nemmeno incrociato online. Pienissime di impegni, evidentemente. Potrei anche fornire le foto di tali messaggi dove compaiono i nomi ma evito. Bisogna dire che la sensazione derivante da questo “distacco” è stata un vero e proprio senso di leggerezza, nel significato di sollievo. Magari qualcuno di voi, come me, ha avuto esperienze simili, non unicamente in un determinato posto, virtuale o reale.
Anche per il gruppo relativo a Dago ho attuato una scelta simile e quello che segue lo inserisco per non apparire una prima donna che piagnucola quando invece si tratterebbe solo di trasparenza e senso comune di convivenza “normale” e civile.
Ci tengo a ribadire, permettetemelo, il fatto che la lunga sfilza di critiche, intese nel senso più letterale del termine e tutte sostenute da prove oggettive, qui proposta non è neanche lontanamente paragonabile, ma non ha neanche senso la comparazione, ad uno dei gravi problemi che specialmente in questo periodo sfortunato e difficile colpiscono o possono colpire la nostra quotidianità, quando non proprio arrivano a mettere a segno cazzottoni ferocemente crudeli: quando la salute è a rischio o viene minacciata niente altro ha importanza, soprattutto se la suddetta minaccia coinvolge qualcuno a cui vogliamo bene, più che noi stessi.
Volendo essere un po' severi d'altronde, proprio perché stiamo tutt'ora immersi fino al collo in qualcosa che sembra solo cioccolato... nelle occasioni in cui ci si riesce a ritagliare un'oretta, una mezz'oretta, dieci minuti tutti per noi, è/sarebbe imperativo, diviene quasi una missione eticamente necessaria trattandosi di mezzi non essenziali per la sopravvivenza (e lo dico da fumettaro accanito orgoglioso di esserlo e di rimanerlo) fornire un prodotto la cui qualità “voli in alto come un falco”: questa pandemia non ha purtroppo insegnato l'uguaglianza, che avrebbe già dovuto esistere, la quale comunque poteva ancora essere una chiave per ricavare qualcosa di costruttivo da tanta distruzione e spreco di vite, né ha fatto “crescere” il genere umano, tutt'altro. Siamo stati testimoni di egoismi, paure legittime insieme a reazioni dettate da una tracontante superbia che non sarebbero degne neanche di un coyote affamato, ignoranza (che diventa molto, troppo pericolosa perché si mescola con questioni in cui c'è in ballo la pellaccia) scambiata per competenza, superficialità scambiata per “pensiero illuminato”, assolutamente più marcati, forse perché maggiormente identificabili, rispetto a quando potevamo respirare senza sembrare tutti dei cattivi di “Guerre Stellari”.
Ad ogni livello della società, ovunque, sono spuntati come funghi “esperti” le cui affermazioni talvolta farebbero impallidire perfino il più incallito terrapiattista, con argomentazioni prive di fondamento, non intendo dire scientifico, banalmente mi riferisco a discorsi assai meno specifici, equivalenti a sperare di fermare una carica di bisonti incrociando le dita e brandendo uno spazzolino.
Cosa c'entra? Niente! Per l'appunto.
Anche se dopo mesi e mesi di sangue, sudore e lacrime quando si sentono certe cose vengono gli occhi rossi come quando capitava a Kenshiro di arrabbiarsi, sfortunatamente ci sono sempre state ignobili, assurde situazioni che coinvolgono tutti e di fronte alle quali si rimane allibiti, decisioni che sembrano talmente incomprensibili e palesemente controproducenti da farci pensare per un attimo, solo per un attimo, che deve per forza essere una candid camera... Solo che qui si “scherza” con la vita di interi popoli, di intere generazioni. D'altra parte c'è ancora chi nega l'evidenza di eventi storici di portata globale, perché non dovrebbe esserci chi dice che basta una caramellina per l'alito e poi tutti a dimenarsi pigiati come sardine in discoteca o a festeggiare chissà cosa sputacchiandosi addosso l'uno con l'altro (per poi tornare belli belli ognuno dalle proprie parti) facendosi beffe di coloro che invece sono ligi alle regole e che rischiano di rimediare ben più di un'arrabbiatura senza poter neanche avere la possibilità di farsi le proprie ragioni.
Kenshiro in un disegno di Lorenzo Barruscotto
Dante quando ha pensato ai suoi gironi infernali ha descritto una festa della prima comunione in confronto a ciò che abbiamo davanti al naso da un anno e mezzo a questa parte. E la sola cosa che possiamo utilizzare per far fronte a tutto ciò è il buon senso. Il buon senso e la materia grigia che si trova, qui sì incrociamo le dita, sotto il nostro Stetson. Incrociamo anche quelle dei piedi perchè in giro c'è fin troppa folla che tra le orecchie ha solo vento e che per giunta di questi tempi si trasforma in un pericolo concreto dal momento che si disinteressa, no diciamo le cose come stanno, se ne strafrega degli altri o di quello che un'azione che sarebbe già sconsiderata in un periodo normale, figuriamoci ora, potrebbe implicare per la salute, per la pelle non dico la propria, che ne sono padroni, ma di tante altre persone (esatto, sto proprio pensando a quello che vi è venuto in mente, accaduto in una certa grande città ma anche in diverse altre e non solo una volta e non in modo così eclatante). Per non parlare di chi non è capace di comportarsi da persona adulta, non sto parlando di delinquenti da distinguere da galantuomini (e anche in quel caso siamo circondati purtroppo) protestando come un bebè che fa i capricci per un paio di semplici accorgimenti, va bene che possono risultare scomodi ma che servono a salvare la buccia, inclusa la loro benchè non ci arrivino, o addirittura buggerando chi non fa come loro e cioè non nega l'evidenza. Hombres (ma anche mujeres), o siete particolarmente fortunati o siete particolarmente... fortunati. Chi ha orecchi per intendere...
Diventa sempre più complicato tollerare chi si crede una rock star, come qualche anno fa succedeva per i cuochi, solo che in quel caso erano innocui, senza nulla togliere ai programmi di cucina che mi diverto ancora oggi a guardare con la mia fidanzata, e per farsi sentire ruggisce come un leone ma i concetti che esprime sono tutt'al più dei “miao” e nemmeno carini o coccolosi. Figuriamoci quando ciò si verifica in quelle circostanze che siamo abituati ad analizzare da queste parti, tra tavole a china ed articoli. Siamo già circondati dai guai e dalle ansie, fatemelo ripetere, se devi scrivere una cosa "for fun" dato che, si è già detto, non tratti di beni di prima necessità a meno che i fumetti non vengano anch'essi conservati in azoto liquido a meno 80 gradi, stai attento, rileggi, impegnati. Ti eri già impegnato prima? Fallo di più. Se no, visto che chiunque dice la propria su tutto, è legittimo che al Trading Post si faccia il lavoro di sempre: produrre prove a sostegno delle affermazioni su argomenti legati al West, con un tocco personale. Se si vuole intrattenere o lo si fa bene o si lascia perdere, specie nel nostro periodo storico. Per lo meno io la penso così.
Pertanto chi può, prenda l'ironia e gli articoli che la contengono come uno svago sullo svago, anche un modo per chi li scrive di esorcizzare temporaneamente la solita valanga di preoccupazioni illudendosi magari di donare una manciata di minuti di altrettanto “stacco dalla vita di carne ed ossa” tramite un viaggio lungo i sentieri del mondo di carta ed inchiostro.
Ora è proprio il momento dei salutarci. Almeno per adesso, speriamo.
Ringrazio tutti coloro che sono giunti fino a qui nel leggere i miei sproloqui.
State con gli occhi aperti e le orecchie dritte là fuori: mi raccomando, mascherina ben indossata con il naso dentro altrimenti ogni volta sarebbe come avere... l'amichetto fuori dal costume in spiaggia, non state troppo ammassati e mani disinfettate ogni volta che si può.
Rispettate le regole, rispettate gli altri e rispettate il buon senso, il che alla fine vuol dire rispettate voi stessi.
Hasta luego, hermanos!