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BERSERK: LUCI E OMBRE
Di Giorgio Borroni
Un paio di anni fa, quando ancora frequentavo i gruppi facebookiani relativi ai fumetti, mi capitò di esprimere un paio di mie idee sulla deriva presa da Berserk, il celebre manga di Kentaro Miura. La fauna che più spesso è attiva sui social, si sa, per una bella fetta non brilla certo per acume e in quella circostanza mi ritrovai a dibattere con un signor “So Tutto Io”, finché non mi stancai e mollai la discussione, come pochi mesi dopo avrei fatto con i gruppi in sé, perché di teatri di polemica sterile e “gente del settore” che si erge a divinità ne avevo le tasche ben piene.
Ma cosa avevo detto di tanto scandaloso? Semplice, avevo constatato che il Berserk degli ultimi dieci anni è innegabilmente diverso dal Berserk di venti anni fa, quando Gatsu, il guerriero nero, potevamo ammirarlo in prodezze quali l’uccisione di una demone durante il coito o l’ecatombe di cento avversari. In pratica, se parliamo dei primi episodi, non possiamo esimerci dal ricordare che Gatsu è nato dal cadavere di una donna incinta impiccata a un albero, che il guerriero nero era stato marchiato con un sigillo di magia nera e che l’aura di perversione che si portava dietro quest’opera poteva rivaleggiare con poche sullo stesso genere.
Cosa è rimasto dello spirito di allora in questo manga? Nulla, a mio modesto parere, tranne i personaggi, il cui carattere in più di un caso ha virato bruscamente verso il comico e le gag. L’universo oscuro, le ambientazioni da “Secoli Bui” sono state soppiantate da paesaggi meravigliosi più volti a sorprendere il lettore che a terrorizzarlo, o metterlo a disagio. Le creature del male della Mano di Dio? Al loro posto troviamo dei mostri più bizzarri che orribili, che basano il loro fascino sul gigantismo e non sulla loro meschinità.
Nella discussione in questione, mi si ribatteva che non capivo il Fantasy e che la deriva presa da Dark Fantasy a High Fantasy era più che coerente, ma mi domando allora a cosa serve una distinzione in sottogeneri se poi i gusti del lettore devono essere massificati. Io cerco dell’horror nel Fantasy e non l’avventura spicciola, ovviamente leggerò Dark Fantasy e non High Fantasy, allo stesso modo, se preferisco gli scontri cruenti al romance è ovvio che preferirò lo Sword and Sorcery. Cosa ci si può trovare di sbagliato in tutto ciò? Non provate a dirlo nei gruppi, è un consiglio da amico.
L’autore del manga, Kentaro Miura è un tipo bizzarro: per sua stessa ammissione dorme di giorno e di notte disegna mentre (non) guarda i programmi alla TV che si è registrato; inoltre tiene dei ritmi così massacranti da combattere l’indolenzimento da posizione del disegnatore con ripetute flessioni. Il Berserk degli esordi, se si esclude l’episodio pilota di 48 pagine con cui fece colpo sul suo attuale editore, era un manga che grondava pessimismo e oscurità da ogni pagina, e in cui Gatsu, tanto per fare un esempio, non si perdeva in elucubrazioni sulla magia. Il guerriero nero era difatti stato marchiato come una vittima sacrificale, parlava un linguaggio spiccio e soprattutto diveniva un “berserk” vero e proprio in combattimento: perdeva letteralmente il senno compiendo stragi. Cosa può aver spinto il mangaka giapponese a dotare Gatsu di raffinatezze come il ringraziare la maghetta di turno che gli ha salvato la vita, o, come nel numero attualmente in edicola, di chiedere educatamente agli elfi un colloquio con il loro re, pazientando quando gli viene negato?
La mia idea è che Miura abbia semplicemente cambiato interessi, lo dimostra la pausa presa dal suo manga più celebre per realizzare Gigantomachia, opera che potrebbe tradursi in “Morivo dalla voglia di disegnare dei robottoni giganti che fanno wrestling in un contesto post-apocalittico”. Gigantomachia offre infatti un intrattenimento privo dell’atmosfera grave e mortifera del primo Berserk con personaggi sopra le righe, sempliciotti, che non escono mai dal seminato del loro ruolo: eroe impavido, assistente, antagonista.
Sembra, tornando a Berserk, che Miura abbia proprio voluto chiudere gradualmente un ciclo di oscurità dopo la celebre scena dell’eclisse, in cui Grifis tramutato in demone abusa di Caska. Con un arco narrativo del genere, forse Miura aveva espresso già tutta la sua visione negativa del suo mondo Fantasy, o forse è stato folgorato sulla strada di Damasco dalle trasposizioni cinematografiche dell’universo Tolkieniano.
Dopo la celebre battaglia di Gatsu contro i cento guerrieri, nel manga non sono mancate situazioni perverse o vicende oscure, basti pensare a un personaggio ambiguo come Farnese, o alla “fabbrica” dei Troll generati da schiave sessuali; eppure i fan più accaniti si stavano accorgendo che qualcosa scricchiolava, che l’oscurità stava per essere sostituita pian piano dalla luce e da atmosfere più simili a quelle del romanzo di avventura tradizionale.
Miura ha dichiarato in una intervista di aver già pensato il finale per la sua opera, e che tale conclusione scontenterà tutti: una posizione del genere, però, non sembra quella di chi ha ricevuto pressioni per rendere più “commerciale” la sua opera, ma sembra proprio frutto di una precisa scelta narrativa.
Non possiamo sapere se Miura abbia pensato fin dall’inizio Berserk come un poema che vede l’oscurità e la luce avvicendarsi (ricordiamolo, Grifis dalla sua trasfigurazione oscura dell’eclisse è resuscitato come messia portatore della luce), ma è evidente che la dilatazione della vicenda, con episodi solo descrittivi o dialogici, rispetto all’azione frenetica dei primi anni ha pesato molto sugli equilibri narrativi.
A questo punto è lecito sperare in una accelerazione della vicenda, a un ritorno di Gatsu come guerriero formidabile dall’anima torturata e non un semplice risolutore dei problemi della comitiva di avventurieri di cui si è circondato, anche se forse auspicare il riemergere delle tinte horror e dark degli anni ’90 è impossibile.
Miura, di certo, ha ripulito persino il suo tratto: ogni sua vignetta è una illustrazione densa di dettagli, ancor più di prima. La meticolosità è sempre stato il punto di forza di questo mangaka che ha studiato le armature custodite al Museo Stibbert di Firenze e le località più pittoresche del nostro Paese: oggi la sua ricerca della perfezione ha del maniacale. Chi trova fiacco l’arco narrativo in corso o chi si sente tradito dal cambio di atmosfere, di sicuro potrà apprezzare la bellezza della parte grafica di questo manga che, con tutti i suoi pro e contro, è decisamente longevo e ancora affascinante.