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Carlo Giuliani, il ribelle di Genova: ci scrive Francesco Barilli
[24/06/2011] » «Nel libro raccontiamo Carlo Giuliani, un giovane uomo che ha avuto i suoi problemi, fatto le sue scelte, scritto le sue poesie (con notevole talento creativo, credetemi). Le sue luci e le sue ombre, i suoi errori, i suoi slanci. Un uomo, in altre parole.» Invece Placanica prima di quello sciagurato venerdi di luglio non ha una storia? E quella storia non va raccontata come quella di Giuliani? La storia personale di Placanica non ha forse parì dignità rispetto a quella di Giuliani? Barilli invece preferisce raccontare la Storia dal punto di vista della famiglia Giuliani di cui non nasconde di essere amico.
Riceviamo pubblichiamo e rispondiamo:
Sono Francesco “baro” Barilli, sceneggiatore di "Carlo Giuliani, il ribelle di Genova" e di "Piazza Fontana".
Intervengo brevemente e per punti, rivolgendomi a Giorgio Messina visto che sei l’autore del pezzo Carlo Giuliani (a fumetti) è diventato un "ribelle".
- Sei stato corretto nel dire che non hai ancora letto il libro e che, deduco, rimandi un giudizio più “compiuto” a dopo la lettura. Altrettanto correttamente ti dico che (visto che io l’ho scritto, quindi parto da una posizione di vantaggio, a livello di conoscenza del lavoro, intendo) il tuo giudizio non credo che cambierà. Ed è legittimo, sia chiaro, che sia così.
- Detto questo: nel tuo commento trovo però un pregiudizio (nel senso letterale di giudizio preventivo) non tanto nel merito, quanto sul punto di vista, che provo ora a controbattere. Intendo dire che su un giudizio “etico” sull’ultimo gesto di Carlo è normale che io e te resteremo distanti: su quello potremo parlare, se vorrai, dopo che avrai letto e soprattutto sulla base di ulteriori riflessioni, appunto, “nel merito del fatto”; ma che io e te resteremo distanti sul giudizio del “gesto dell’estintore” è probabile. Se vuoi, potremo parlarne dopo che avrai letto, ora perderemmo tempo entrambi; se vorrai lo potremo fare anche con un’intervista. PRECISO: è solo un’idea per mettere a confronto le nostre idee, NON un modo “obliquo” per mendicare un’intervista (generalmente meno mi intervistano e meglio sto) e, SOPRATTUTTO, è solo un’idea, mica un obbligo, ci mancherebbe!!! Semplicemente, se vogliamo mettere a confronto le nostre idee mi sembra la strada migliore: sentiti libero.
- Dunque perché parlavo di un “pregiudizio sul punto di vista”? Mò te spiego… Il punto di vista da cui sono partito per questo lavoro è un po’ particolare e provo a spiegartelo. Mi sembra che, da dieci anni a questa parte Carlo Giuliani sia stato “cristallizzato”. Nel senso che, da entrambi i lati della barricata, si tratta del “ragazzo con passamontagna e estintore che voleva prendere di mira una camionetta dei carabinieri”. Su quell’immagine si è costruito un eroe o un delinquente. Entrambe letture sbagliate? E’ giusta una via di mezzo? Nulla di tutto questo… Come dicevo prima lasciamo stare per un attimo i giudizi etici sul gesto (ci tornerò poi). Il punto che volevo centrare era: ma chi era Carlo? Si possono giudicare i suoi 23 anni vissuti da quel singolo gesto? Invece tutti si ostinano a fare quello.
- aggiungerei (scusa la divagazione) che un “metro” di questa situazione sta anche nella foto che hai postato. Questa NON è una critica, ma solo – forse - una mia “fissa da intellettuale”: anche quella dimostra che quando si parla di Carlo si parla solo delle 17,27 del 20 luglio 2001. C’è stato un prima, e quello m’interessava. E c’è stato un dopo, per certi versi persino più inquietante. Non alludo, qui, a quel paio di osservazioni che tu hai fatto sulle contraddizioni delle indagini: ce ne sono ben altre, e a mio avviso più importanti (le troverai nel libro).
- aggiungerei (seconda divagazione…): chiunque di noi se vedesse in un’assolata giornata d’estate un ragazzo “puntare” un estintore verso una camionetta dei carabinieri avrebbe sentimenti pressochè analoghi e negativi. Non credo di dire nulla di particolarmente “eversivo” se dico che se ci si interessa anche solo dieci minuti di cosa è successo PRIMA dello sparo di Piazza Alimonda si capisce che qualcosa di diverso è successo. Carlo muore alle 17,27, è vero, ma il suo destino lo si decide alle 14,30, quando i carabinieri (e altri reparti) attaccano un corteo autorizzato e su percorso autorizzato. E ricorderei (come ho fatto nel fumetto) che nel processo a carico di alcuni dimostranti per i disordini di quei giorni il tribunale ha definito l’attacco al corteo “non solo illegittimo, ma ingiustificato e sproporzionato alla situazione”; la stessa corte ha definito la prima reazione dei manifestanti come “una reazione legittima nei confronti di atti arbitrari dei pubblici ufficiali”; e ricorderei pure che molti fra i cc erano armati di spranghe “travestite” da manganelli (altro elemento emerso nel processo di cui dicevo prima) a dimostrare che la violenza di quell’attacco “non solo illegittimo, ma ingiustificato e sproporzionato alla situazione” era, almeno per molti fra i cc, fortemente voluta. Al proposito, invito tutti a risentire le comunicazioni radio fra la Centrale Operativa dei Carabinieri e i reparti sul posto: la Centrale Operativa ordina più volte, fra le 14,30 e le 16,30 circa, di lasciare sfilare quel corteo e di dirigersi in zona nord (dove erano davvero segnalate azioni di teppisti) senza avere né risposte né risultato: le cariche al corteo continuano mentre il corteo arretra. Fino all’incrocio con Via Caffa e l’interna Piazza Alimonda, e da lì, l’ultima carica laterale e la morte di Carlo. Ma non voglio annoiare: trovate tutto nel libro.
- fine delle divagazioni (con gaudio di tutti, presumo): nel libro troverai/troverete dunque non solo l’omicidio del G8 2001, ma la storia di Carlo. Per come l’abbiamo voluta ricostruire io e Manuel, nelle parole di chi conosceva un ragazzo che nei suoi 23 anni non è stato tutto il tempo ad aspettare una pallottola in piazza Alimonda: un giovane uomo che ha avuto i suoi problemi, fatto le sue scelte, scritto le sue poesie (con notevole talento creativo, credetemi). Le sue luci e le sue ombre, i suoi errori, i suoi slanci. Un uomo, in altre parole. Ah, per dirla tutta preciso che non da ieri sono amico, e non lo nascondo certo (anzi!), della famiglia Giuliani.
- en passant: tu citi la recensione che fece a suo tempo Fumetto d’Autore su Piazza Fontana. Se t’interessa all’epoca scrissi sul mio blog una risposta a quella recensione. La trovi a questo link:
http://francescobarilli.splinder.com/post/22590607/piazza-fontana-la-recensione-su-fumetto-dautore-e-la-mia-risposta
Per finire: la mia proposta di approfondimento dopo la tua lettura, tramite intervista, non mi sembra peregrina, magari anche riprendendo/approfondendo concetti qui espressi. Ovviamente: nessun obbligo da parte tua/vostra, è chiaro. La mia mail ad ogni buon conto l’avete (TENETE CONTO che sarò via per una decina di giorni: al massimo la vedo quando torno). Potremmo parlare anche di Piazza Fontana e di Calabresi/Pinelli (oddio, non vorrei mettere troppa carne al fuoco: vedete voi). Però, su Calabresi, consentimi l’unica mia nota polemica: tu dici “il Commissario Calabresi, accusato (ingiustamente) dell’omicidio Pinelli, viene relegato nelle note del volume, perchè ha un peso specifico storico inferiore, secondo lo sceneggiatore “mediattivista””. Mai pensata una cosa del genere!!!, per cui, anche qui, 4 precisazioni:
1. Massimo rispetto per Luigi Calabresi vittima del terrorismo.
2. Il comm. Calabresi è stato vittima del terrorismo, appunto, non vittima, neppure “collaterale”, di Piazza Fontana. Questo non lo dico io ma il Presidente Napolitano. Le due cose non stabiliscono (SOTTOLINEO) una graduatoria fra le due cose: sto semplicemente dicendo che in un fumetto su P. Fontana “ci stava” Pinelli, molto meno Calabresi (a cui, ripeto fino alla noia, massimo rispetto).
3. Il rispetto per la vittima Calabresi non mi fa cambiare idea sulle sue responsabilità (morali) sull’ingiusto arresto e l’illegale detenzione di Pinelli (sottolineo: badate, ho parlato di cose precise, NON della morte dell’anarchico).
4. Quello che avevo da dire a proposito del punto 3 l’ho scritto in lettera aperta al figlio Mario, di cui riporto la parte essenziale (per chi fosse interessato all’integrale, vedere sul mio blog):
“Non vorrei essere frainteso, dunque preciso pure il superfluo: la campagna contro suo padre fu quanto di più sbagliato si possa immaginare, nei toni e nei contenuti. Sbagliata eticamente, intellettualmente e politicamente, perché finì col cementare l'opinione pubblica in una contrapposizione in cui interrogarsi se suo padre fosse o meno l'unico responsabile della morte di Pinelli, o se fosse o meno presente nell'istante della precipitazione. Si personalizzò una campagna di stampa che trascese nei modi e nei tragici effetti, perdendo di vista la complessità della situazione e i reali obbiettivi di verità cui si doveva aspirare.
Lei potrà obbiettare che la verità la si raggiunse con la sentenza del 1975, in cui D'Ambrosio salomonicamente escluse l'omicidio come il suicidio. Strano paese, l'Italia: dove speso la magistratura viene accusata di ingerenze nella vita pubblica, per poi delegarle acriticamente la ricerca della verità, dimenticando che solo scopo dell'azione giudiziaria è l'accertamento dei fatti nei loro aspetti penalmente rilevanti. I giudici non sono i sacerdoti della verità, ne sono i meccanici: assegnargli un ruolo salvifico significa caricare la loro coscienza di un peso insopportabile, col solo effetto di sgravare la nostra.
Quel che è in discussione non è tanto la sentenza (su cui ho i miei dubbi, ma parlarne risulterebbe dispersivo) quanto la sua effettiva portata, perché la vicenda Pinelli comincia prima di quell'ultimo interrogatorio e finisce dopo. Comincia con un fermo di polizia svoltosi in termini e modi contrari alla legge (e questo lo conferma pure la sentenza, pur se disponendo il proscioglimento del dottor Allegra perché il reato si era nel frattempo estinto per intervenuta amnistia). Termina con una campagna diffamatoria verso la vittima, di cui si volle sostenere il suicidio e il coinvolgimento nella strage di piazza Fontana. Queste due menzogne, acclarate anche in sede giudiziaria, furono portate avanti nell'immediatezza dei fatti e per diverso tempo in seguito, se non col consenso almeno con l'acquiescenza di suo padre.
So che quest'ultima affermazione può averla ferita: mi creda, non era mia intenzione. Così pure non è mia volontà tentare una sgradevole graduatoria d'importanza o di gravità fra quelle due campagne denigratorie (subite da suo padre e da Pinelli), ma va sottolineato che a quella contro Luigi Calabresi parteciparono intellettuali e artisti, a quella contro il ferroviere anarchico partecipò lo Stato, e forse per questo è stata rimossa dalla memoria collettiva.”
Saluti a tutti, scusate la lunghezza.
Francesco “baro” Barilli

Caro Francesco, grazie della tua risposta che però non aggiunge e non toglie nulla all'articolo da me scritto. La morte di un individuo fa parte della sua storia, e come la Storia ci insegna, contribuisce pure a determinarne anche il giudizio. Carlo Giuliani ha scelto da solo il suo destino. Nessuno lo ha obbligato a mettere un passamontagna e a brandire un estintore partecipando all'assalto della camionetta dei Carabinieri. E se attacchi le Forze dell'Ordine, sciaguratamente può accadere La critica principale che ho sollevato è che nel tuo libro non si da spazio attivo a Placanica e tu stesso ci spieghi il perchè, cioè che sei «non da ieri sono amico della famiglia Giuliani». Ci spieghi che l'obiettivo del tuo libro è mostrare Carlo Giuliani con «le sue luci e le sue ombre, i suoi errori, i suoi slanci. Un uomo, in altre parole». E qui si apparecchia lo stesso errore che hai compiuto in Piazza Fontana con il Commissario Calabresi. Perchè Placanica non merita, come Giuliani, di essere presentato con le sue luci e le sue ombre, i suoi errori e slanci? O deve rimanere, per ideologia e rispetto dell'amicizia della famiglia Giuliani, solo il carabiniere che (presumibilmente) ha fatto fuoco per legittima difesa (lo dicono anche gli atti processuali) contro Giuliani? Placanica prima di quello sciagurato venerdi di luglio non ha una storia? E quella storia non va raccontata come quella di Giuliani? La storia personale di Placanica non ha forse parì dignità rispetto a quella di Giuliani? O forse dobbiamo aspettare che qualcuno diventi amico della famiglia Placanica perchè ciò avvenga? E che cosa è un mediattivista, come tu ti definisci? Uno che racconta la Storia, che fa un'inchiesta facendo parlare tutti i suoi protagonisti o uno che fa libri come fossero carezze alle famiglie amiche e ai loro grandi drammi? Leggerò. come già detto, il libro con interesse, e ne riparleremo. Ma il problema del libro non è nella sua realizzazione, ma nella sua impostazione.
Ps: se Pinelli è stato vittima "collaterale" di Piazza Fontana, anche Calabresi lo è a "pieno titolo" perchè se Pinelli non fosse morto, non sarebbe morto nemmeno il Commissario. Hai ragione quando dici che abbiamo idee diverse. Non ho mai catalogato i morti e la loro storia con l'ideologia.
G.M.







