- Categoria: Osservatorio Tex
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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QUATTRO (RECENSIONI) E' IL NUMERO PERFETTO
Disegno ad opera di Lorenzo Barruscotto: tributo a Villa che omaggia Galep.
“Per tutti i diavoli, che mi siano rimasti indietro degli albi?”
Questa parafrasi liberamente ispirata alla primissima battuta pronunciata da un giovane Tex Willer quando era ancora un “magnifico fuorilegge” serve per introdurre la conversazione di oggi, che verte su ben 4 storie, ormai uscite qualche tempo fa, che meritano per la loro realizzazione un'analisi maggiormente approfondita.
Ecco spiegato anche il motivo del titolo dell'articolo: non si tratta di un errore. Quattro sono i Pards, proprio come erano in realtà quattro i “tre” Moschettieri, se aggiungiamo D'Artagnan al conto.
In pieno clima di festeggiamenti per le celebrazioni dei 70 anni di storia editoriale di Tex, ad Ottobre 2018 era uscito un Magazine contenente due avventure che hanno riempito il cuore di ogni appassionato di lunga data. Come si desume dalla splendida ed evocativa copertina sempre firmata da Claudio Villa, uno dei due racconti ha per protagonisti Aquila della Notte e la moglie Lilyth, all'epoca in cui è ambientata la vicenda piuttosto freschi di matrimonio.
Ne “Il segreto di Lilyth” viene infatti portato alla conoscenza dei lettori un episodio del passato del sakem dei Navajos, collegato, come viene spiegato in una didascalia, ad un futuro volume tutt'ora non ancora uscito nelle edicole, della collana “Tex Willer”, incentrata proprio sulle vicissitudini del cavaliere solitario destinato a divenire Ranger, quando era ancora ricercato dai tutori dell'ordine.
In ogni caso ha grande valore, indipendentemente, per il solo fatto di far parte delle narrazioni che coinvolgono la bella e tosta principessa Navajo.
I disegni sono stati affidati a Fabio Civitelli e già questo basterebbe, senza ulteriori considerazioni.
Il tratto dell'artista è spettacolare, con i suoi netti contrasti tra bianco e nero, le sfumature rese dalla sua particolare tecnica di inchiostrazione o le luci vivide lasciate libere di invadere le vignette sfruttando quello che potremmo denominare spazio negativo, vale a dire la parte della tavola tecnicamente non disegnata.
Gli sfondi, quando non fanno parte essi stessi del racconto, contribuiscono ugualmente all'atmosfera, ad esempio suggerendo che il giorno volge al termine e che le ombre si stanno allungando mentre il sole sta per sparire all'orizzonte, fornendo l'ennesima prova di bravura da parte di Civitelli grazie all'uso del puntinato, che nei primi piani evidenzia ancora di più i volti dei personaggi raffigurati.
A tal proposito la magia del disegnatore riesce a rendere perfettamente i visi di Tex e Lilyth. Specialmente quello dell'eroe dalla camicia gialla è degno di nota: è inequivocabilmente lui, riconoscibilissimo, eppure è la sua versione più giovane, molto meno matura del granitico capo e dispensatore di giustizia che ha un figlio quasi sulla trentina, ma pur sempre un fulmine, svelto di mano e di cervello, come sperimenteranno a proprie spese gli avversari di turno.
I due sposi non conoscono ancora tutto l'uno dell'altra sebbene dai dialoghi si percepisca la solidità del loro rapporto, che non può far altro che rinsaldarsi. Ci si delinea sul nostro grugno da cowboy un sorriso quando assistiamo ad una scena in cui perfino Aquila della Notte viene bonariamente zittito dalla figlia di Freccia Rossa: non che ci siano battibecchi nella coppia, anzi, la sincerità è alla base delle parole che i due si scambiano, dimostrando una devozione reciproca che fa sempre piacere rivedere, specialmente se si pensa ai noiosi e fastidiosi pareri espressi a volte anche sguaiatamente da coloro che pretendono di veder appioppate al Ranger una sfilza di compagne, di dylandoghesco stile, o che esigono chissà quali risvolti diciamo “romantici”... si sono toccati livelli da bollino rosso con la bava alla bocca in certi commenti quando è ricomparsa Lupe per fare un nome tra tutti, Lupe che per altro si è rivelata caratterialmente molto meno “gigantesca”, sensibile, profonda e sfaccettata di Lilyth, senza soffermarsi sul fatto che il ricordo dell'amata rappresenta uno dei capisaldi su cui si fonda il temperamento dell'odierno Tex e che non è necessario apportare ulteriori sconvolgimenti o modifiche anche nella linea temporale del “presente”.
I testi di Boselli si sviluppano con fluidità ben incastonati tra gli stacchi ed i momenti in cui a parlare sono le armi, in un habitat che gli è congeniale, cioè quello della memoria e del ritorno di personaggi apprezzati dal pubblico.
Le sparatorie non mancano in quest'avventura e chi non aveva letto altri volumi che rivelavano frangenti ancora sconosciuti della vita di Tex nel periodo in cui viveva alla Riserva con sua moglie, potrebbe rimanere stupito dal fatto che anche la “signora Willer” fa la sua parte nelle discussioni, affermando la propria opinione a suon di piombo.
Un pueblo perduto, un tesoro scomparso, un antico kiva che rischia di diventare un vero e proprio sepolcro, una muta di cagnacci che vogliono mettere le grinfie su un considerevole mucchietto di preziosi e che sono disposti a tutto pur di riuscirci, un ricordo nel ricordo, astuzia, coraggio, fiammeggianti Colt e misteriosi segnali di fumo sono gli ingredienti che compongono questa squisita torta Texiana, la quale mette senza subbio d'accordo tutti i palati, anche i più esigenti.
Piccola digressione storica: con il termine “kiva” si intende un locale utilizzato dalle tribù Pueblo o Hopi per le cerimonie funebri o per le assemblee, in entrambi i casi riservate solamente agli uomini del villaggio. Solitamente tali locali erano a pianta circolare, sotterranei o semi-sotterranei, a cui si accedeva tramite un'apertura nel tetto utilizzando delle scale di legno. Proprio la forma che si discosta da quella rettangolare delle abitazioni sta con ogni probabilità ad indicare la sacralità del luogo, oppure, per altri studiosi, va fatta risalire alle case semi-interrate degli antichi Anasazi, da cui le genti Pueblo discendevano, presumibilmente. Nel pavimento del kiva veniva realizzato un piccolo foro (detto “sípapu” in lingua Hopi) che stava ad indicare il simbolico punto di origine della tribù. Le pareti interne erano rivestite in adobe ed in alcuni casi intonacate.
Considerando le tremende e diciamo anche vagamente imbarazzanti esperienze accumulate in merito ad alcuni articoli comparsi su volumi speciali di recente pubblicazione, quali il Texone su Doc Holliday o la ristampa nel formato alla francese di “A Sud di Nogales”, stavolta penso che sia d'uopo tralasciare i "pezzi" che da tradizione fanno da intermezzo nel Magazine, che una volta si chiamava Almanacco, e che in quest'occasione sono tutti improntati a sottolineare i festeggiamenti, alcuni toccando argomenti maggiormente specifici o personali, altri rimanendo piuttosto sul generico senza dare nulla al lettore oltre a nozioni che si possono tranquillamente acquisire collezionando gli albi. Perciò passiamo direttamente all'avventura successiva.
Un romantico bacio tra Tex e Lilyth.
Disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a CIVITELLI.
E' ancora tempo di nostalgia: anche la seconda storia presente nel Magazine è intrisa di malinconia come si comprende già dal titolo: “Dinamite”.
Non si tratta della terribile invenzione di Alfred Nobel (scoperta forse accidentalmente in seguito a studi che prevedevano l'uso di nitroglicerina) ma del fedele cavallo che per anni ha scarrozzato Tex in lungo e in largo per il West nelle sue scorribande giovanili e non solo.
Grazie al racconto impariamo qualcosa di più sulla vita di questi nobili quadrupedi.
Un cavallo viene considerato vecchio quando supera i vent'anni ma non è per nulla raro che possano arrivare senza problemi anche oltre i trenta e ci sono esempi di animali che hanno raggiunto la quarantina.
Un puledro appena nato si alza sulle proprie zampe già dopo circa un'ora dalla prima poppata. Nel giro di sei mesi non serve più il latte materno ma nella dieta subentra l'erba da brucare. Dopo i cinque anni i cavalli sono nell'apice della loro vita mentre dopo i venti le zampe e le articolazioni possono iniziare ad inspessirsi e la schiena ad incurvarsi. E' possibile capire l'età di un cavallo dall'esame della dentatura: quando invecchia gli incisivi si inclinano maggiormente sporgendo in avanti, per esempio. Alla nascita un puledro appare senza denti che spunteranno alla prima settimana a cominciare dagli incisivi superiori. Il puledro ha 24 denti ma poi il numero definitivo è 36 per gli esemplari adulti femmine e 40 per i maschi.
Il nostro Dinamite quindi non è più un ragazzino dato che ci viene comunicato che ha circa 26 o 27 anni. Ad introdurci lo stallone e la sua famiglia troviamo Piccolo Falco, che con l'amico Nehdi, si sta godendo una tranquilla sgroppata in un territorio interno alla Riserva.
Chi è Nehdi? E' un ragazzo Navajo delle Terre Alte, diventato uno dei migliori amici di Kit. Figlio dello sciamano Manchas, era rimasto ferito nel tentativo di uccidere un'aquila per provare il suo valore. Lo abbiamo conosciuto dopo che Tex e Tiger lo avevano salvato da una brutta fine nell'albo “Morte nella nebbia” (Font – Boselli) e lo abbiamo incontrato nuovamente nell'albo a colori “L'ultima vendetta” (Ticci – Boselli). Nella pagina che chiudeva “Uccidete Kit Willer”, secondo volume della storia disegnata da Font, era lo stesso Tex a spiegare che i ragazzi erano diventati inseparabili, perciò non ci stupisce che anche in quella circostanza i due siano insieme sulle piste della Riserva.
Ora alle chine c'è un altro fuoriclasse al servizio dei Rangers: Maurizio Dotti. Se dovessi riassumere i disegni di questa storia in una sola parola dire che sono maestosi.
La rappresentazione dei cavalli allo stato brado che galoppano con la criniera al vento, le lotte tra stalloni per la supremazia nel branco, i dettagli curati come se si trattasse di un codice miniato del Medioevo sia quando ci viene aperta una finestra su una verde vallata in pieno territorio Navajo sia quando possiamo ammirare le volute imperfezioni causate dall'usura della tesa di un cappello calato sul cranio di quello che ha tutta l'aria di essere il capoccia di un gruppo di pendagli da forca animati da intenzioni non proprio amichevoli sono solo pochi esempi, elencati per spiegare perché la nostra mandibola non riesce a restare chiusa mentre leggiamo.
Personalmente da disegnatore amatoriale ho sempre considerato un dannatissimo lavoro riprodurre le frange di una giacca e quindi non posso che esprimere tutta la mia ammirazione anche in questo caso, quando vedo i costumi di Aquila della Notte, del figlio o le “semplici” camicie di Carson e Tiger con tutte quelle strisce di cuoio svolazzanti durante una cavalcata, per me ennesima prova di pazienza ed abilità da parte dell'autore.
Ritratto di Maurizio Dotti ad opera di Lorenzo Barruscotto
La medesima bravura appare palese parlando delle armi riprodotte.
Non solo le Colt 45 Peacemaker o i Winchester modello 73 sono minuziosamente ritratti ma si arriva all'eccellenza nel momento in cui la sceneggiatura firmata ancora una volta da Mauro Boselli necessita di portare l'attenzione del lettore direttamente su un fucile particolare: lo Sharps Creedmoor 1874.
Gli Sharps erano una serie di fucili a colpo singolo di grande calibro, sviluppati a partire da un progetto di Christian Sharps nel 1848. Erano famosi per la precisione a lungo raggio. Nel 1874 il fucile era disponibile in una grande varietà di calibri ed era stato adottato dagli eserciti di un certo numero di nazioni.
I fucili Sharps sono diventati icone del vecchio West americano a causa delle loro apparizioni in molti film e libri. Forse anche in conseguenza di ciò, diverse compagnie offrono attualmente riproduzioni di quest'arma. Il primo prototipo fu brevettato e prodotto a Mill Creek, in Pennsylvania, nel 1850. Nel 1851 fu portato alla “Robbins & Lawrence Company” di Windsor, nel Vermont, dove il modello 1851, per l'appunto, fu sviluppato per la produzione di massa. Ciò passò alla storia come "Primo contratto", che era per diecimila carabine. Fu poi stipulato il "Secondo contratto" per quindicimila fucili e la “Sharps Rifle Manufacturing Company” fu organizzata come una holding con John C. Palmer come presidente, Christian Sharps come ingegnere e Richard S. Lawrence come maestro armatore e sovrintendente alla produzione. A Sharps doveva essere pagata una royalty di un dollaro per arma da fuoco. Il modello 1851 fu sostituito in produzione dal modello 1853.
Christian Sharps lasciò la società nel 1855 per formare la sua compagnia di produzione chiamata "C. Sharps & Company" con sede a Filadelfia. Richard S. Lawrence continuò come capo armatore fino al 1872 e sviluppò i vari modelli Sharps che resero famoso il fucile. Nel 1874 la compagnia fu riorganizzata e ribattezzata "The Sharps Rifle Company". Il fucile avrebbe avuto un ruolo di primo piano nei conflitti che insanguinarono la decade del 1850, in particolare nelle mani delle forze anti-schiaviste. Ottenne il soprannome di “Bibbia di Beecher”, dal nome del famoso abolizionista Henry Ward Beecher. Fu usato nella Guerra Civile da più unità dell'Unione, in particolare dai tiratori scelti dell'esercito americano noti popolarmente come "tirapiedi di Berdan" in onore del loro leader Hiram Berdan. In quel momento, tuttavia, molti ufficiali erano diffidenti nei confronti delle armi “più moderne” perché, dicevano, incoraggiavano gli uomini a sprecare munizioni. Inoltre, lo Sharps era oneroso da fabbricare (richiedeva tre volte il costo di uno Springfield per esempio, carabina in voga tra i soldati). La maggior parte di essi era stata consegnata ai cecchini, ma le riserve del Tredicesimo Pennsylvania (che portava ancora la vecchia designazione di "reggimento di fucilieri") li adoperarono fino al 1864. Ne furono prodotti quasi novantamila. Nel 1863, era l'arma più comune trasportata dai reggimenti di cavalleria, sebbene nel 1864 molti furono sostituiti da carabine Spencer a 7 colpi. L'arma si prestò alla conversione verso le nuove cartucce metalliche sviluppate alla fine del 1860, e molte furono usate durante le guerre indiane nei decenni immediatamente successivi.
Costituiva un "dispensatore di morte" di qualità superiore con una precisione maggiore rispetto ai moschetti. Ciò era dovuto principalmente al più alto tasso d'incendio del meccanismo di caricamento della culatta ed alla ricercatezza nella fabbricazione, nonché alla facilità con cui poteva essere ricaricato da una posizione in ginocchio o prona.
Alcune armi che si fanno risalire alla Guerra Civile avevano una caratteristica insolita: una smerigliatrice a manovella nel calcio. Anche se a lungo si è pensato che potesse essere, pensate, un macina-caffè, la sperimentazione con alcuni dei pochi modelli sopravvissuti suggerisce che il suo vero scopo fosse quello di macinare mais o grano. Beh, è strano comunque.
Il modello Sharps del 1874, il cannone riprodotto nel “nostro” albo, era un fucile particolarmente popolare che portò all'introduzione di numerosi derivati in rapida successione. Gestiva un gran numero di cartucce, metalliche per questo genere di carabina, di calibro da 40 a 50 in una notevole varietà di caricamenti e lunghezze di canna.
Sharps fece anche versioni sportive dalla fine del 1840 fino alla fine del 1880. Dopo il conflitto tra Nord e Sud, i fucili convertiti dell'esercito furono trasformati in armi da fuoco personalizzate e la fabbrica produsse in gran numero i modelli 1869 e 1874 per cacciatori di bufali e veterani della Frontiera. Utilizzavano alcune delle più potenti cartucce di polvere nera mai realizzate. Vennero anche ideate speciali versioni e riproduzioni a lunga gittata per l'allora popolare stile Creedmoor di tiro al bersaglio da 1.000 iarde (910 metri circa). Lo Sharps-Borchardt Model 1878, fu l'ultimo fucile fabbricato dalla “Sharps Rifle Co.” prima della sua chiusura nel 1881.
Sharps Creedmoor 1874 in una foto reperita in rete
Nel 1874 il poligono di Creedmoor, nei pressi della città di New York, ospitò una gara di tiro sulla lunga distanza che venne seguita e documentata da tutti i giornali degli Stati Uniti e dell’Impero Britannico ed ottenne una risonanza mai vista fino ad allora.
Tutto ebbe inizio sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico: una squadra irlandese di tiro che dominava le gare in Irlanda e Gran Bretagna lanciò una sfida ai colleghi americani, chiedendo di confrontarsi con loro in una sorta di campionato del mondo.
Le distanze definite sarebbero state di 800, 900 e 1000 iarde.
Una iarda misura circa 0,91 metri, quindi non si trattava di un giochetto da ragazzi.
La squadra irlandese era guidata da un certo capitano Walker, niente a che vedere con Chuck Norris, ma il componente più noto per l'epoca era John Rigby, famoso armaiolo di Dublino, costruttore per altro delle carabine usate dalla sua squadra. Si trattava di armi ad avancarica sebbene esistessero già i fucili a retrocarica. Si pensava però che tali fucili non potessero eguagliare le prestazioni di quelli ad avancarica per il tiro di precisione.
Gli americani accettarono ma non avevano a disposizione armi in grado di competere con gli avversari e quindi vennero chiamate in causa le fabbriche Sharps e Remington per tenere alto l'onore della bandiera a stelle e strisce.
Quelle made in USA erano quindi armi a retrocarica e “per giunta” realizzate da artigiani, il che fece storcere il naso ai puristi irlandesi. La gara in ogni caso iniziò il 26 settembre, davanti ad un pubblico di circa diecimila spettatori, con le tre sessioni di prove.
Il risultato rimase incerto fino all’ultimo tiro, a 1000 iarde, e decretò la vittoria della squadra americana con uno scarto di soli 3 punti, cioè 934 contro 931. Pare che fu determinante l’errore di un tiratore irlandese il quale sparò un colpo su un bersaglio che non era il suo.
La carabine a retrocarica si dimostrarono così in grado di superare le altre anche nella precisione alla lunga distanza.
Ecco spiegato il nome dello Sharps presente nella storia a fumetti, sebbene ci sia qualche dubbio proprio in merito a come si scrive perché nell'albo viene indicato come “Creedmore” ma il termine esatto dovrebbe essere “Creedmoor”. In verità ho trovato nelle mie ricerche entrambe le diciture anche se sono più propenso a dare per buona la seconda, considerando il fatto che tutt'ora esiste ancora la zona dell'antico poligono per quanto a testimonianza di ciò oggi ci sia solo un ex ospedale psichiatrico. Dove si trova? Beh, ma in Winchester Boulevard, come altro poteva chiamarsi la via, altrimenti...
La denominazione deriva da Creed, una famiglia che aveva in precedenza delle proprietà terriere nell'area. La stazione della ferrovia locale che partiva da Long Island prese il nome di Creedmoor, apparentemente dalla frase “Creed's Moor”, dove “moor” significa brughiera.
Nei primi anni del 1870 la città di New York si procurò la terra per fornirla in uso alla Guardia Nazionale ed alla NRA, “National Rifle Association”, come poligono di tiro, il quale ha ospitato prestigiose competizioni internazionali.
Pertanto mi sento di affermare che presumibilmente c'è un'imperfezione da parte dello sceneggiatore. Quindi piccola bacchettata sulle mani a Boselli o a chi ha svolto per lui gli approfondimenti del caso.
Tex in un disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a DOTTI.
Per completezza diciamo solo un paio di accenni in merito alle differenze tra carabina e moschetto.
La carabina è un'arma da fuoco simile al fucile ma relativamente più corta. Il termine deriva dalla parola araba “karab”, letteralmente arma da fuoco. Lo Spencer era una carabina a leva, con sette colpi nel caricatore contenuto nel calcio, espressamente disegnata per le forze di cavalleria. Costituì uno dei passi fondamentali per arrivare al Winchester, che potrebbe essere tecnicamente considerato una carabina a canna lunga.
Il moschetto invece è un'arma sempre da fuoco ma ad avancarica derivata dall'archibugio, a canna molto lunga.
Anche nell'avventura di Tex esiste una sorta di confronto, tra fucili e tra uomini: da un lato c'è la bieca volontà di uccidere per denaro, su mandato di persone, se vogliamo considerarle tali, senza scrupoli che intendono spazzare via nel modo a loro avviso più semplice e rapido un problematico ostacolo e dall'altro ci sono il valore e la sicurezza dell'uomo giusto che si erge di fronte ai soprusi ed alla prepotenza.
Sharps contro Winchester… sulla lunga distanza ben pochi si sentirebbero di scommettere sul secondo. Proprio come quella celebre battuta: “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto". Per citare le stesse parole di Tex, pronunciate in risposta ad un fuorilegge che aveva sputacchiato la summenzionata frase in “Un Ranger in pericolo” (De La Fuente – Nizzi): “Me lo fumo nella pipa, il tuo proverbio. Bisogna vedere chi è l'uomo che impugna la pistola.” Vale la medesima cosa per il Winchester.
La storia è un capolavoro anche e soprattutto grazie agli strepitosi disegni di Dotti.
I guizzanti muscoli dei cavalli che si impennano e si scatenano in uno sfrenato galoppo sollevando un polverone che pare invadere anche le nostre case una volta girata la pagina, i particolari degli interni, dalla lampada ad olio su un tavolo ai tappeti, le pieghe degli abiti, i fili d'erba e le nuvole spinte dal vento quando l'azione si sposta in campo aperto… sono quadri inseriti in una vignetta ed il risultato finale offre la possibilità di contemplare un grandissimo lavoro da parte di un grandissimo professionista.
Anche se non ho peluches a portata di mano e non devo schiarirmi la gola o non occupo mezzo intervento con simil-muggiti quali “ehm” o “mmm” che ricordano l'esitazione di quando si doveva ripetere la lezione a scuola senza aver studiato in modo approfondito, situazione in comune con gli articoli citati poco fa discorrendo del Magazine, per stavolta potrei anch'io affermare, a ragion veduta perché si tratta di un fatto oggettivo, che i disegni sono belli perchè lo sono, senza ulteriori motivazioni: basta guardarli.
Come nella vita, alla Frontiera non bisogna mai dare nulla per scontato, sottovalutare l'avversario né fare troppo affidamento sulle proprie capacità senza metterle in dubbio neanche per un minuto. Chi si crede invincibile, finisce molto spesso per rivelarsi un gran pallone gonfiato e rischia di ricevere un brutto colpo per il suo orgoglio… proprio tra gli occhi.
Assisteremo ad una delle scene più emozionanti, entusiasmanti, commoventi, malinconiche e ricche di tensione ma allo stesso tempo coinvolgenti e realisticamente esaltanti, per come è stata ideata e realizzata graficamente, che le tavole di Tex ci abbiamo mai regalato in tutti questi anni, una vera e propria cavalcata infernale, una sfida alla morte, una galoppata verso il destino, una vera, concreta ed intensa prova di amicizia, rispetto e sacrificio da parte di un compagno che aveva già dimostrato mille volte di essere leale, intelligente come e più di un essere umano, fidato ed insostituibile.
Onore ed affetto sono i due sentimenti che aleggiano in tutta la narrazione, sia quando ne percepiamo la mancanza negli animi di farabutti che alla fine sono solamente dei volgari vigliacchi sia quando le pagine traboccano di entrambi, vedendo ancora insieme come “ai vecchi tempi” cavallo e cavaliere: in un attimo la nostra memoria viene travolta da immagini e ricordi di avventure, di bivacchi mentre si consuma un frugale pasto e di corse sfrenate al fine di salvare una persona cara (come accade nella storia precedente con Lilyth) o la propria pelle, incuranti dei pericoli e delle difficoltà.
Rimanendo nel passato, ci spostiamo sul MaxiTex uscito sempre ad Ottobre 2018, quindi avente ancora il logo del settantennale sulla copertina.
Non si comprende il motivo per cui sia stata scelta la storia “Deserto Mohave” come principale ed ispiratrice della cover, storia che pur essendo quella con il maggior numero di pagine, non è sicuramente all'altezza della seguente. Ci eravamo già soffermati sulle grosse discrepanze presenti in quell'avventura ma oggi invece diamo un'occhiata al vero gioiello presente nell'albo, cioè “L'ultimo giorno”.
Dunque, a dire il vero si rimane piuttosto confusi sul titolo perché in pratica ne vengono scritti due. Quello in seconda copertina e sul frontespizio è “L'ultimo giorno” ma sulla tavola iniziale compare “L'ultimo treno da Stonewell”.
Si potrebbe nuovamente sostenere che questo è uno dei tanti esempi nei quali la valanga di volumi che sono stati prodotti in un tempo relativamente limitato ha inficiato la qualità del prodotto e, visti soprattutto alcuni esempi recenti, non si potrebbe sostenere che tale affermazione non abbia un certo grado di verità, ma obiettivamente è l'unico errore imputabile alla storia, disegnata da Yannis Ginosatis su testi di Tito Faraci.
Sappiamo bene quanto lo stile dell'artista di origini greche sia minuzioso e preciso, avendone potuto ammirare la maestria in diverse avventure nella serie regolare. Ciò che colpisce anche chi già conosce le abilità del disegnatore sono le vedute aeree e le vignette che occupano talvolta i due terzi delle tavole, nelle quali si resta a bocca aperta davanti ad un ponte della ferrovia con lo sbuffante cavallo di ferro in procinto di attraversarlo, ad una fitta foresta dove dietro ad ogni albero può nascondersi un'insidia, ad una ben tenuta stazione o una vecchia miniera abbandonata.
Un compito quasi di routine per Tex e Carson si tramuterà in un vero e proprio dannatissimo assedio, con un susseguirsi di sparatorie che vi terrà col fiato sospeso. Mosse e contromosse decideranno chi alla fine resterà in piedi: insieme ai Nostri rimarranno invischiati in questa brutta faccenda anche alcuni “passanti” capitati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Per qualcuno sarà un'occasione di riscatto, per altri si tratterà di salvaguardare il posto di lavoro oltre che la pellaccia. Il solito serpente, forse solo preoccupato di non rimetterci la ghirba o forse un becero opportunista cercherà di mordere alle spalle ma la lezione che subirà stavolta sarà perfino esagerata rispetto alla colpa. Invece, chi si merita tutti i confetti che accarezzeranno le nostre teste, sono i componenti della catasta di guai sotto forma di banditi che sta per piombare sui crani dei Rangers.
I Winchester diventeranno incandescenti e smetterete di contare i nemici colpiti una volta esaurite le dita delle mani, perché sarete troppo impegnati a ricaricare il vostro sputa-fuoco e cercare di non farvi bucare dalla seconda ondata di farabutti ben decisi a mandarvi nel mondo dei più.
Non ci sono sbavature né nella sceneggiatura che seppur, qualcuno potrebbe obiettare, consista in una “semplice sequela di combattimenti” (se chi deve capire sta leggendo, certamente ha capito il riferimento) si regge in modo solido ed afferra il lettore per la giacca, trasportandolo sul posto, tra pallottole che fischiano a pochi centimetri dalle orecchie e battute al vetriolo traboccanti di texianità. Un volta ogni tanto ci fa bene non pensare troppo ma goderci un concerto per clarinetti in pompa magna!
La situazione si farà soffocante però non temete, non dovremo stare tutto il tempo chiusi in quattro mura in uno spazio striminzito. Che ne direste di un bel tuffetto in un impetuoso torrente di montagna per rinfrescarvi? Come “no, grazie”?! Non siete mai contenti!
Preferite un bel botto a base di esplosivo? I balordi che abbiamo alle costole non sembrano intenzionati a mollare l'osso nonostante le perdite (situazione ben nota a tutti gli appassionati ma che ogni tanto stupisce ancora chi non è avvezzo alle dinamiche del West), non basta scoraggiarli o tentare di seminarli. Non ne usciremo proprio con la buccia completamente intatta, più di uno dei buoni rimarrà ferito, dovremo stare molto attenti facendo fare gli straordinari all'istinto ed ai riflessi addentrandoci nel buio ed affidandoci ai nostri sensi contro avversari che non esiteranno a giocare sporco pur di eliminarci.
Si deve andare fino in fondo: si deve fare piazza pulita se si vuole rivedere il prossimo sole e non dare ragione al titolo, giusto o sbagliato che sia, che vuole che questa infuocata e lunghissima notte sia quella del nostro “ultimo giorno”.
Con un saltello nel tempo arriviamo ad Aprile 2019 e ad un altro MaxiTex.
Viene nuovamente utilizzato per la cover un riferimento al racconto che a mio avviso non dovrebbe essere quello principale. Gli autori di entrambe le storie contenute nel volume sono Ugolino Cossu ai disegni e Luigi Mignacco ai testi. La prima delle due avventure contiene diversi erroracci anche dal punto di vista grafico per non parlare della scarsa linearità della trama.
Evidentemente ritemprato da una buona notte di sonno, lo sceneggiatore torna poi in carreggiata con “La carovana dei Cherokee”.
Una vicenda classica: lo stesso criticone che considererebbe una storia ricca di azione “una banale sfilza di battaglie” presumibilmente avrebbe da ridire anche su questa impostazione del soggetto, che ruota attorno all'attacco da parte di un gruppo guerriero di pellerossa ai danni di una serie di conestoga, i carri dei pionieri, per fare bottino e respingere gli invasori. Solo che in questo caso non si tratta di bianchi ma anche i chiamiamoli coloni sono indiani. Non della stessa tribù degli assalitori ma sempre figli di Manito.
Per somma ironia, colui che guida gli attaccanti ha una peculiarità che dovrebbe renderlo in grado di capire il concetto di fratellanza (non vi svelo di cosa si tratta nell'eventualità che ci sia qualcuno che non ha ancora letto l'albo o che magari non se lo ricorda e vuole ripassarlo) ma il simpaticone invece di pace non ne vuole neanche sentire parlare.
La “novità” è tutta qui, poiché le sequenze dell'assedio alla carovana sono tipiche di un film western, come piace a noi appassionati.
Inoltre ci sono i quattro i Pards presenti, come nell'avventura su Dinamite, e questo è senza dubbio un valore aggiunto. Spicca l'ottima prova di Cossu che con il suo stile a volte essenziale non ci fa mancare però impressionanti tavole per l'appunto degne delle inquadrature di una pellicola d'altri tempi. Inoltre le fattezze ed i lineamenti dei Nostri sono del tutto compatibili con la linea temporale attuale, senza colpi di testa o scorciatoie, e li rendono immediatamente identificabili.
Sia Tiger Jack che Kit Willer occupano la scena in due differenti occasioni dando l'ennesima conferma del loro valore e sebbene sappiamo che alla fine i buoni sulle storie di Tex (almeno in quelle) siano destinati a vincere, sentiamo la necessità di continuare la lettura in modo da scoprire le fasi successive dello scontro, voluto solamente da una delle due parti ma nel quale sono trascinati anche i Rangers, nonchè i migranti, costretti a spargere sangue sempre e solo per difendere degli innocenti e difendere se stessi. Appena possibile infatti i fucili non colpiscono per uccidere e soltanto di fronte all'ostinata volontà di combattere del nemico si è spinti a rispondere per le rime, per salvare lo scalpo e le persone che si sono affidate a noi al fine di raggiungere nuove terre e sperare in un futuro migliore.
Tra arditi colpi di mano, come quello già messo a segno più volte, in cui si cerca di sottrarre i cavalli agli avversari per fiaccare il loro morale, e sibilanti frecce che cercano di farci la scriminatura alta si giungerà alla resa dei conti finale, nella quale dopo aver ulteriormente, ed inutilmente purtroppo, tentato di far vincere la ragione, si dovrà dare ancora una volta la parola alla violenza e fare appello alla legge del più forte. Saranno le lame a dire da che parte stia il Grande Spirito e sarà chi resta vivo, salvo generose concessioni da parte dell'oppositore, a decidere il destino dello sconfitto, per seppellire la scure di guerra e seguire la strada dell'onore o per colorarla di rosso su un sentiero solitario e cupo.
Una considerazione non può non spuntare nelle zucche dei Texiani più esperti: il leader degli attaccanti, si tratta di una banda di Utes, si chiama Lupo Giallo. Viene in mente un altro capo sempre Ute: Cane Giallo. Se nel Maxi il nome ha un senso legato direttamente al personaggio, è allo stesso modo naturale che qualcuno possa pensare che o gli Utes hanno una naturale predilezione per quel colore o lo sceneggiatore è volente o nolente inciampato in una coincidenza abbastanza considerevole, poiché Cane Giallo è stato un cattivo difficile da dimenticare per la successione di qualità negative dimostrate nella sua tragica esistenza.
Terence Hill e Bud Spencer in un ritratto di Lorenzo Barruscotto
Il coraggio di Aquila della Notte che da solo avanza in direzione di un numero soverchiante di avversari armato solamente del suo prestigio e del suo cuore indomito è una scena notevole, sebbene sarebbe stata il massimo vedendogli cingere la sacra fascia wampum di sakem, quella che indossa ogni volta che parla in qualità di capo dei Navajos, cosa che invece non avviene in questo racconto. Dimenticata in lavatrice.
Qualche considerazione dal punto di vista storiografico: il rispettato anziano della carovana è un certo Tennessee Smith. Avevo pensato che si trattasse di un riferimento ad un personaggio storico ma non ho trovato nessuno realmente esistito con quel nome. Però ciò non significa che non ci sia nulla dietro alla scelta operata dall'autore, che forse cerca di riscattare la carenza di considerazione per certi dettagli come la appena nominata fascia.
Innanzitutto esiste la Contea di Smith, che guarda caso si trova proprio nello Stato del Tennessee.
Inoltre l'origine della parola stessa, “Tennessee” è incerta ma si presume che costituisca un derivato del termine di lingua proprio Cherokee “yuchi” che vuol dire “luogo di incontro” ma anche “grande fiume”. Considerate che lo Stato americano prende il nome proprio dal Tennessee River, battezzato “Tanasi” dalla popolazione di due villaggi Cherokee che si erano stabiliti sulle sue sponde. Non è stato chiamato così casualmente quindi come non credo che il personaggio abbia quel nome senza alcun riferimento a tali informazioni.
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In generale dal punto di vista del lettering nel complesso non ci sono errori da segnalare: Monica Husler e Renata Tuis nel Magazine ed Omar Tuis nei due Maxi hanno svolto il loro compito in maniera impeccabile.
Siamo giunti alla fine di questa chiacchierata in pieno stile “Non c'è due senza quattro”, come recitava un film con Bud Spencer e Terence Hill.
Prima di uscire fatevi un ultimo goccio di brucia-budella per scaldarvi, riprendete il vostro ferro da tiro e chiudetevi bene il giaccone: non so se fa freddo anche dal posto da dove venite ma qui fuori specialmente quando non c'è quella caricatura di se stesso che è il sole in inverno, anche un pupazzo di neve sentirebbe il bisogno di una sciarpa.
Hasta la vista, amigos!