- Categoria: Osservatorio Tex
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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Intervista a STEFANO ANDREUCCI su Deadwood Dick, Tex ed il suo lavoro
Ritratto di Stefano Andreucci ad opera di Lorenzo Barruscotto
L'articolo contiene una breve analisi del volume "Un uomo tranquillo", secondo speciale della collana "Tex Willer", in uscita a Dicembre 2020 e considerazioni sul personaggio di Deadwood Dick.
Buongiorno, grazie per il suo tempo.
La ringrazio anche per l'autorizzazione ad inserire alcuni disegni realizzati da lei, trovati online, opere che testimoniano il grande talento e la maestria che stanno alla base della sua arte votata al mondo delle nuvole parlanti.
Facciamo una breve chiacchierata in merito al suo lavoro partendo da “Deadwood Dick”, precisamente dal volume cartonato intitolato “Black Hat Jack”, trasposizione a fumetti dell'omonimo racconto di Joe Lansdale.
“Black Hat Jack: The True Life Adventures of Deadwood Dick as told by his Ownself” (raccontata da se stesso) è un “novel” scritto dall'autore americano Joe R. Lansdale. In qualità di "fictional retelling", vale a dire una rivisitazione di fantasia, racconta la storia del cowboy afroamericano Nat Love, veramente esistito, noto anche come "Deadwood Dick" e del suo amico Black Hat Jack. La storia è narrata dal punto di vista di Nat e si svolge nel 1874 durante la Seconda Battaglia di Adobe Walls.
Disegno originale di Andreucci
per la cover del cartonato "Black Hat Jack"
- La prima domanda potrebbe suonare banale ma serve per entrare subito nel vivo del discorso senza troppi fronzoli: è indubbio che ci sia differenza tra il West di Tex e quello più “sporco, brutto e cattivo” nel quale si muove l'American African cowboy. Per riassumere lo stile di Deadwood Dick, condensando il tutto con un paragone cinematografico, potremmo sostenere che Tex sta a John Ford come Dick sta a Tarantino, senza gran timore di sbagliarci.
Qual è il suo personale rapporto con il genere western, sia per quel che riguarda i fumetti che le pellicole cinematografiche? C'è un film che le è particolarmente rimasto impresso? Quali sono le differenti emozioni dal punto di vista artistico che le ha suscitato lavorare per il Ranger e per Deadwood Dick?
R: Per me il western è un’idea visiva, di forma. Una silhouette che mentre cammina emette un suono di speroni, cappello in testa, una fondina bassa che sporge dal fianco destro e polvere che la sgrana in basso. E questa idea mi si è formata in testa sin da piccolo, quando copiavo le copertine di Galep, quando vedevo i film alla tv insieme a mio padre, quando leggevo Tex, Zagor e tutto quello che girava per casa. Certo, la passione si è strutturata con il cinema western degli anni ’70, “Corvo rosso non avrai il mio scalpo” per esempio, ma anche con i film di Peckinpah, di Sergio Leone, “Butch Cassidy”, di George Roy Hill, fino ad arrivare a “Quel Treno Per Yuma” e “I Fratelli Sisters”, però il cinema di John Ford mi è rimasto nel cuore. Per questo disegnare Tex per me è sempre emozionante, disegnare Deadwood è stimolante!
- Dopo la storia a fumetti, nel cartonato c'è un'intervista a Lansdale nella quale le parti scritte sono intervallate da suoi studi sui personaggi, di Black Hat Jack e Deadwood Dick.
Praticamente sempre, dietro ad una storia importante, c'è un gran lavoro di documentazione che viene svolto prima o in parallelo con la realizzazione grafica. Lei si è ispirato a paesaggi reali magari visitati anche da turista o visionati su libri oppure a fotografie specialmente per la riproduzione della location, degli animali come i cavalli o delle armi?
< Per esempio la seconda battaglia di Adobe Walls a cui si ispira il racconto fu realmente combattuta il 27 giugno 1874, tra ingenti forze pellerossa ed un gruppo di 28 cacciatori di bisonti statunitensi che difendevano l'insediamento di Adobe Walls, nell'attuale Contea di Hutchinson, in Texas. Le bande di nativi che imperversavano nella prateria (Comanches, Cheyennes, Kiowas e Arapahos) consideravano il trading post stesso e la caccia al bufalo come una grave minaccia alla loro esistenza. E sinceramente dal loro punto di vista non gli si può dare torto. Isatai'i, uomo di medicina della tribù Comanche, promise la vittoria e l'immunità dai proiettili ai guerrieri che avessero combattuto contro gli odiati uomini bianchi. Tra gli uomini che erano presenti ad Adobe Walls c'erano James Hanrahan, l'allora ancora giovane Bat Masterson, William "Billy" Dixon (il cui famoso colpo di fucile a lunga distanza mise effettivamente fine all'assedio) ed una donna, la moglie del cuoco William Olds. Essi compaiono anche nelle tavole. >
R: Lo studio delle ambientazioni e degli accessori è un passaggio fondamentale prima della realizzazione di una storia, a meno che non si debba illustrare qualcosa che già si conosce profondamente. Come per i cavalli, che conosco molto bene avendo lavorato per tanto tempo, durante e dopo gli anni scolastici, nel mondo dell’equitazione.
Il giovane Tex Willer spiega il suo punto di vista:
disegno originale di Andreucci (dal suo Texone)
- Ci sono disegnatori in particolare che considera dei maestri o il cui stile la colpisce in modo specifico?
R: Il disegnatore che mi ha appassionato di più, per quello che riguarda il fumetto western, è il Maestro Ticci. Ma i miei riferimenti sono trasversali e non sempre ricollegabili al fumetto.
- Come ha creato le fattezze del suo Dick? Qual è stato l'iter che ha portato alla realizzazione della figura definitiva?
R: A disposizione c’era già lo studio che ne aveva fatto Frisenda. Semplice.
Studio del personaggio Deadwood Dick: disegno originale di Andreucci
- Nella sua carriera aveva già esplorato diversi tipi di western da quello di Zagor fino alla versione, come dire, maggiormente metropolitana e moderna di Dampyr. Indimenticabile per molte ragioni è il suo Texone “Il magnifico fuorilegge” su sceneggiatura del curatore della testata Mauro Boselli ma anche “Il Vendicatore” sempre in coppia con Boselli con i colori di Matteo Vattani. Quindi è un veterano della Frontiera, con Stetson e classica camicia a frange i cui ferri del mestiere non sono Colt o marchio per i purosangue ma chine e matite.
Riguardo il Texone mi permetto di aggiungere qui il link diretto alla lettura da parte di Dario Agrillo del brano scritto da me, la quale rientra nell'iniziativa che comprende la lettura di pezzi declamati da parte di doppiatori ed attori che mettono a disposizione gratuitamente il loro talento al fine di favorire la diffusione e la condivisione delle emozioni suscitate da Fumetti e racconti anche nella realtà di persone ipo e non vedenti, che ho battezzato “Una voce per Te(x)”: https://www.youtube.com/watch?v=-sUS_gaDPQ0 .
Per gli albi che disegna si affida a supporti tecnologici o svolge i lavori a mano? O un misto tra le due vie?
R: Non uso sempre la stessa tecnica, ma generalmente ora realizzo i bozzetti (che sono già quasi delle matite finite) con l’uso di un supporto digitale (Cintiq 27) e l’inchiostrazione direttamente su cartoncino con strumenti classici. Magari “leggermente modificati”…
- Quali sono le tempistiche necessarie per completare una mole di lavoro come quella rappresentata dai volumi in questione poi ripresi e contenuti in un'unica storia nel cartonato? Ci sono dei rimaneggiamenti o delle correzioni che sono state apportate in seguito e che distinguono il formato normale da quello gigante? Come si sviluppa l'impaginazione?
R: Mah, a me non è mai stato chiesto di modificare le tavole di un racconto già pubblicato, per la ripubblicazione in formato cartonato. Per quanto riguarda le tempistiche, meglio non parlarne, io divento sempre più lento…
- In svariate occasioni negli albi targati Sergio Bonelli Editore notiamo tra i personaggi un volto che ricorda un attore di un film western, quando non si tratta proprio di persone reali che hanno veramente vissuto nella seconda metà del Diciannovesimo secolo negli Stati Uniti. C'è un personaggio per i lineamenti del quale si è ispirato a qualche preciso riferimento?
R: Sono molti, specialmente per Dampyr, che ha molte connessioni con eventi e personaggi realmente esistiti. Ora non riuscirei a ricordarli neanche volendo. Lo stesso è successo per Deadwood Dick, nella storia da me illustrata. Billy Dixon e Bat Masterson fanno riferimento a persone realmente esistite. Insomma, se si tratta di personaggi storici, cerco di rispettare le fisionomie, mentre per le caratterizzazioni libere spesso trovo ispirazione dai volti che possono essere di attori, amici, o “semplici conoscenti”…!
Per la caratterizzazione di Wolfingham, nel “Terrore dal Mare” (Zagor), ho fatto riferimento all’attore Vincent Price, mentre per Andrew Cain mi sono guardato il “Conan” di Frazetta, ma anche la bocca di Massimo Troisi!
Lo Spirito con la scure in azione: disegno originale di Andreucci
- Comprendendo anche quelle disegnate da lei stesso, ci sono storie di Zagor, di Aquila della Notte, di Harlan Draka che le sono rimaste impresse e c'è un determinato personaggio, buono o cattivo, che le piacerebbe disegnare o tornare a far rivivere?
R: Qualcosa sto già facendo; ora sono al lavoro su uno speciale di Dampyr che vede come protagonista Draka, il papà di Harlan. Ma mi piacerebbe tanto tornare a disegnare Andrew Cain, per Zagor.
- Dal punto di vista artistico l'ideazione prima e la realizzazione poi di una copertina presenta un'impostazione di lavoro diversa da quella di una sequenza in una storia, dovendo in sostanza anche riassumere se non la trama quanto meno l'atmosfera dell'avventura che ci si appresta a leggere. Ci può dire qualcosa sulla splendida e dinamica cover de "Il vendicatore"? (Questo è il link della recensione realizzata a suo tempo per questa rubrica: http://fumettodautore.com/index.php/magazine/osservatorio-tex/5424-recensione-cartonato-a-colori-il-vendicatore )
R: Vero, bisogna sintetizzare in un’unica immagine lo spirito del personaggio e del racconto. Per quella copertina ho pensato di dare tutta la scena al giovane Tex, come un eroe dei vecchi film western, in una posa molto classica. Ho cercato di renderla un po’ più dinamica rappresentando l’azione dell’estrazione delle Colt in due fasi diverse. Ma l’unica nota “moderna” (forse) è data dal tipo di tratto a inchiostro. Ho evitato il pennello e ho usato un segno un po’ più duro, nervoso. Ma con il rispetto dovuto: si tratta pur sempre di Tex!
Tex Willer: disegno originale di Andreucci
- E' mai stato nel territori del “vecchio West” dove l'occhio si perde nell'orizzonte più sconfinato? O vorrebbe? Dove in particolare?
R: Un disegnatore di fumetti non ha tempo (e mezzi) per queste cose…! Battuta “velenosetta” a parte, non ci sono mai stato. E mi piacerebbe molto. Dove? Dappertutto, trasversalmente. Specialmente nel Grand Canyon! Come? A Cavallo, naturalmente!
- Forse non tutti sanno che la cooperazione tra disegnatore e sceneggiatore per la buona realizzazione di un volume deve essere piuttosto serrata, indipendentemente dalla lunghezza del racconto. Ci sono punti in cui ha potuto inserire sue visioni della narrazione o suggerimenti sia per quel che riguarda lo scorrere della trama che per le prospettive in alcune tavole o nei testi, conseguenza dello scambio di opinioni (non inteso come lo intenderebbe Carson, a suon di piombo) con il signor Boselli?
R: Perché questa domanda? Ce l’hai con me? Eh? Ce l’hai con me?? (Cit. Robert De Niro…)
RR: Era una tra le domande ricorrenti nelle mie interviste. (Chi vi scrive si è reso conto che si tratta di una battuta, ovviamente e la "contro-risposta" è stata data ridendo.)
Ritratti di Joe Lansdale e Nat Love ad opera di Lorenzo Barruscotto
- Come detto, la storia è tratta dall'omonimo racconto ad opera del famoso scrittore americano, del Texas per la precisione, Joe Lansdale. Ho avuto il sorprendente privilegio di discorrere con mister Lansdale privatamente in un breve scambio epistolare e fin dai primi messaggi traspare l'atteggiamento di una persona cordiale e distinta, alla mano e gentile - mi ha perfino scritto per chiedermi come stavamo i miei cari ed io in pieno lockdown, il primo, qui da noi - dimostrandosi una gran persona non solamente un grande “author”. Dico sorprendentemente perché non mi sarei certo aspettato che uno del suo calibro mi trattasse in quel modo così amichevole.
Lei ha avuto occasione di conoscerlo o di interagire con lui durante la stesura della sceneggiatura e poi della produzione grafica? Presumo che siano stati inviati anche a lui i volumi. Può dirci qualcosa al riguardo?
R: Mi piacerebbe, ma non posso. Non l’ho mai sentito e non so neanche cosa ne pensa.
- Oltre allo script anche il lavoro di lettering è naturalmente fondamentale per un prodotto di qualità come risulta essere “Black Hat Jack”. In che modo si è basata la collaborazione tra lei e Marina Sanfelice, nome ben noto a chi legge fumetti Bonelli, che si è occupata di riempire i balloons in quest'occasione?
R: Io e Marina abbiamo avuto modo di collaborare in una partita a biliardino, battendo impietosamente i nostri due più giovani avversari. A parte questo e una simpatia personale, io mi sono limitato a suggerire a Boselli il posizionamento particolare delle didascalie. E Marina ha fatto un ottimo lavoro da par suo.
- Questa è una cosa che chiedo a tutti: è un fan del cinema? E del cinema western? Ci sono pellicole che hanno un posto speciale tra i suoi preferiti, che siano classici senza tempo con John Wayne o più moderni?
R: Sì, il cinema mi piace tanto ed il western anche di più! Io sono un consumatore senza archivio, trattengo solo emozioni in ordine sparso. Però qualche titolo posso dartelo: “L’uomo che uccise Liberty Valance”, “Sentieri Selvaggi”, “Ombre Rosse”, “Quel treno per Yuma”, “Il Grinta”, “Il mucchio selvaggio”, “Corvo Rosso non avrai il mio scalpo”, “Dead Man”, etc…
- Non ho tirato in ballo il Duca a caso. Uno dei più celebri film western dell'intera storia del cinema è “Sentieri Selvaggi” (“The Searchers” in inglese) ispirato alle peripezie di Cynthia Parker. E proprio il figlio Quanah Parker è uno dei capi che guidano l'attacco portato da un enorme numero di pellerossa di varie tribù, addirittura si parla di centinaia, allo sparuto gruppo di cacciatori di bisonti asserragliati presso la stazione di posta di Adobe Walls. Questo non è frutto di fantasia, l'assedio e la battaglia che ne seguì sono avvenuti realmente. A dire il vero ce ne sono state addirittura due di battaglie in anni diversi.
Senza ricalcare l'entusiasmo da lupi mannari tenuti a stecchetto che talvolta contraddistingue alcuni lettori quando un personaggio del gentil sesso mostra qualcosa di più di una caviglia in certe tavole, la passionalità del suo tratto emerge anche in sequenze di "un altro tipo di azione”, dove non viene mai a mancare il realismo e l'eleganza che sono biglietti da visita del suo stile. Stile che, con i suoi contrasti netti ed i tratti a volte sinuosi come una pantera ed altri maggiormente forti come il manto di un mustang selvaggio, è comunque apprezzatissimo anche quando si tratta di far cantare i clarinetti o di ridurre a più miti consigli gruppi di teste dure alla maniera spiccia, e certe volte non priva di soddisfazioni, che veniva applicata nel West.
Ci può raccontare qualcosa su come si sono intrecciate la Storia con la S maiuscola, la storia di Lansdale e le aggiunte, quando e se ce ne sono di importanti, che si trovano solo nelle storie di china e polvere da sparo?
Una certa presenza femminile del racconto invece come nasce?
R: Il mio lavoro consiste, nella stragrande maggioranza dei casi, nella rappresentazione visiva di una sceneggiatura. La mia preoccupazione principale è quella di rendere chiara e verosimile ogni sequenza, ogni espressione, ogni posa, usando la luce giusta, l’inquadratura e la messa in scena, finalizzandole alla narrazione disegnata. Potrei darti una risposta più attinente se fossi uno sceneggiatore… o forse non ho capito la domanda?
RR: Provabilmente ho sbrodolato nel porla, la domanda.
Il vero Quanah Parker in un'immagine reperita in rete
- Non dirò nulla su come si conclude il volume di Deadwood Dick per non rovinarne la lettura a chi eventualmente non lo ha ancora comprato ma non posso non sottolineare il senso di malinconia che ha stretto il mio cuore di semplice cowboy ammirando le pagine che sono letteralmente impregnate di un profondo senso di fratellanza quali quelle che rendono uno struggente e sentito tributo ad un amico che ci siamo lasciati alle spalle ma che non vogliamo e non possiamo dimenticare. Senso di amicizia che se nella memoria può risultare tagliente come una lama ben affilata, nell'occasione di un casuale incontro con qualcuno che abbiamo conosciuto in altri contesti e che pertanto sulle prime facciamo fatica ad inquadrare può essere motivo per un momento di gioia e bisboccia.
Cosa può dirci sulla creazione e lo sviluppo di un personaggio che funge un po' da interprete visivo di alcuni passaggi, dalla spiegazione inerente la danza del sole all'identificazione dei capi che guidano l'assedio, il quale suo malgrado riesce a regalare anche sonore risate che spezzano la tensione a causa del suo nome: Ho Una Mano Nei Capelli?
R: Anche se non lo sembra, si tratta di un personaggio importante, tant’è che lo ritroviamo alla conclusione della storia. Alla fine è l’unico che stabilisce un legame tra gli assedianti e gli assediati, un ponte tra le due sponde, che getta un po’ di luce laddove manca la conoscenza. Ed è l’unico veramente in grado di capire le due culture che si scontrano. Il mio compito è stato quello di dargli un volto.
- Lei è stato, inoltre, tra i fondatori e realizzatori di "Narnia Fumetto". Che rapporto ha con gli appassionati ed i lettori, specialmente quando si tratta di incontrarli alle Fiere (sperando che tale realtà possa ritornare senza pericoli in futuro)?
R: Un ottimo rapporto. Che spesso sfrutto per rinnovare l’entusiasmo per il mio lavoro. L’ultimo incontro che ho avuto è stato con il gruppo Facebook “Tex Willer”, ben gestito, secondo la mia personale esperienza, e numeroso; e si è trattato di un appuntamento davvero emozionante, carico di passione e affetto! Sono cose belle…
RR: Purtroppo invece a causa della mia personale esperienza, non posso condividere tale entusiasmo per una serie di questioni spiacevoli (che hanno visto deteriorarsi i rapporti con il medesimo gruppo passando da una realtà simpatica e innocentemente condivisibile ad una situazione sempre più legata ad un atteggiamento supponente ed irrispettoso nei confronti di lavoro e tempo impiegato gratuitamente fino agli insulti rivolti al sottoscritto nel momento dell'inevitabile commiato) sulle quali non è il caso di soffermarsi specialmente in questa sede.
Dampyr: disegno originale di Andreucci
- Da Narnia a Narni, per così dire, il passo è breve: andiamo per un momento fuori tema e non parliamo di West ma di Dampyr. Nello speciale per i 20 anni della nascita delle avventure che vertono sul cacciatore di vampiri figlio di uno di loro, c'è anche una storia disegnata da lei, sempre su testi di Boselli, intitolata “Notte a Narni”. Non è una storia come le altre: senza rivelare troppo a favore di chi eventualmente non l'avesse ancora letta, diciamo soltanto che ha “qualche” elemento autobiografico e sebbene non abbia un'impronta comica, quando il protagonista della vicenda si riferisce al suo datore di lavoro, ad ogni bonelliano non può non spuntare un grosso sorriso sul volto.
Facciamo però un nome illustre: Varney… ci può svelare qualche retroscena legato all'avventura ed alla peculiare scelta di tema, cattivo e personaggio chiave?
R: La storia si basa sul racconto scritto da un mio amico, Carlo Leonardi, dal titolo “Zefiro e Ostro”, poi ripreso e sceneggiato liberamente da Mauro Boselli. Lui ha scelto di rendermi protagonista e di inserire Varney nella narrazione, visto che avevamo lavorato insieme su “I Misteri di Napoli”, per Dampyr. Io ho poi illustrato luoghi reali della bella cittadina dove risiedo da 26 anni.
- Quali sono i suoi prossimi progetti? A che storie sta lavorando adesso, se si può dire senza fare spoiler? Troveremo qualche gustosa anteprima sul suo blog: http://stefanoandreucci.blogspot.com/ ?
R: Sto concludendo uno speciale di Dampyr molto particolare… che dovrebbe uscire contemporaneamente al film. Qualcosa si può già trovare sul mio blog. Il prossimo lavoro, che comincio tra pochi giorni (è passato un po' di tempo da quando sono state forumulate domande e risposte), è per Tex e vede il ritorno di un personaggio storico della serie: Barbanera!
“Un uomo tranquillo”, lo speciale numero 2 della collana “Tex Willer”.
Questa non sarà una recensione in piena regola ma solamente una sorta di “ospitata” inclusa nell'intervista. Motivo? Le chine dell'albo sono state realizzate ancora una volta da Stefano Andreucci. E sono delle “signore chine”: lo stile lo conosciamo bene. La ricetta è sempre quella che apprezziamo e con cui l'artista ci ipnotizza e vizia da anni: eleganza di base, grazia dove necessario, fango e cazzottoni che svolazzano il giusto, piombo quanto basta, il tutto amalgamato da una “maledettissima” accuratezza nella realizzazione. Da questo punto di vista l'atmosfera texiana è garantita.
Anche se stavolta il protagonista è per l'appunto un uomo normale, vale a dire Sam Willer, lo sfortunato fratello di Tex, il quale come sappiamo viene ucciso a sangue freddo da un serpente velenoso che risponde al nome di Tom Rebo. Proprio come Mauro Boselli ricorda ai lettori nella presentazione.
I testi sono di Roberto Recchioni (l'impeccabile lavoro di lettering è di Omar Tuis) in trasferta fuori dal suo territorio dylandoghiano. (E' la terza volta dopo una storia breve nel ColorTex numero 6 e l'avventura del ColorTex 7). I più maligni potrebbero dire: ok, tre è il numero perfetto, ci si può fermare qui. Linguacce!
E' indubbio che si faccia notare l'assenza del Ranger ma più che altro risulta una situazione insolita, non spiacevole. Ciò che appare un po' sopra le righe e che fa aggrottare le sopracciglia in un'espressione stupita è il fatto che il minore dei fratelli WIller si trasformi improvvisamente in Rambo e praticamente da solo riesca ad avere la meglio su un nutrito branco di banditi, i quali a loro volta le stesse malelingue di prima potrebbero sostenere che si tramutano quasi in Stormtroopers dimenticandosi come si spara diritto.
Allarme spoiler:
Spoiler 1. La scena della semi-riesumazione di Gunny Bill per procurarsi una pistola da parte di Sam tocca il cuore degli appassionati grazie al pathos che la ricercatezza del tratto dell'artista ci dona ma oggettivamente, per lo meno per chi scrive - al solito si tratta di opinioni personali che non incontrano sempre pareri favorevoli, come quello dello stesso Andreucci in questo caso - sembra un po' forzata anche perchè per quanto sia "un uomo tranquillo" chiunque nel West avrebbe avuto una sputafuoco in casa per sparare ad un serpente a sonagli se finiva tra le zampe del cavallo, per dirne una, e quindi senza andare a cercarla in una tomba. Piuttosto, per me, avrebbe avuto molto più spessore e sarebbe stato toccante “q.b.” se dopo la sparatoria finale Sam avesse sepolto anche la sua pistola ai piedi della tomba di Gunny, giurando di non portarla più. Secondo il sottoscritto, ripeto.
Però non è "secondo me" il fatto che, sia nella storia di tanti anni fa disegnata da Galep che in quella recentissima della collana Tex Willer, ad opera di Boselli e Brindisi con la complicità della cover di un Dotti particolarmente ispirato (numero 25 "Resa dei conti al White Horse"), in cui il futuro Aquila della Notte regola i conti con Rebo, Sam, nelle scene in cui è ancora vivo, venga disegnato con il cinturone al fianco ed addirittura in un impulso (giusto) d'ira avvicini pericolosamente la mano alla Colt, presumibilmente acquistata e non dissotterrata nuovamente. Fare sensazione mettendo in bocca ad un cowboy, per quanto di animo pacato, frasi che potrebbero essere più adatte ad un malinconico Dylan Dog è un conto, rimanere correttamente in linea con la decennale tradizione che dovrebbe essere intoccabile almeno nei capisaldi è decisamente un altro paio di maniche.
Spoiler 2. La figura del bullo che cerca di cambiare vita risulta un po' appannata. Come idea riprende abbastanza fedelmente i tratti di Shorty, un cowboy che finisce su una cattiva strada nel film "Monte Walsh" con Tom Selleck (in effetti anche le sue fattezze lo ricordano) ed il suo tira-molla non lo rende un personaggio tridimensionale come dovrebbe/vorrebbe essere. A mio avviso sarebbe stato molto più avvincente e convincente se davvero avesse rinnegato la sua vita da criminale e fosse poi morto per difendere il ranch al fianco di Sam, magari sacrificandosi per salvargli la vita, ucciso chissà proprio dal suo ex capo, che lo aveva cercato per vendicarsi.
Spoiler 3. L'atteggiamento da adolescente problematico che Sam Willer ha nei confronti dell'ingombrante "killer" Tex a mio avviso viene rimarcato anche troppo, per trattarsi di un rude uomo della Frontiera, ma ciò può essere una peculiarità che chi ha fratelli invece considera veritiera, io non ne ho.
Appare inoltre repentinamente improvvisa la decisione di piantare la casa natia e trasferirsi presso Culver City, messa lì per agganciarsi alla storia che tutti conoscono ma abbastanza in stile “fulmine a ciel sereno” nell'ambito dell'avventura in questione, specie dopo aver fatto il diavolo a quattro per difenderla.
L'intero clima non può non essere definito texiano, intendiamoci, però se mi concedete un paragone, pare quasi come quando si calca troppo la mano con la matita ed il disegno non viene male ma risulta "troppo voluto", volutamente carico. In certi passaggi ho avuto la sensazione che si cercasse marcatamente l'emozione, che viene fuori da sola senza problemi quando si tratta del passato di Tex, del quale Sam fa inevitabilmente parte.
Per contro alle grandiose tavole va tutta l'ammirazione esprimibile da parte di “un lettore tranquillo” anche per gli outfit dei personaggi che sembrano proprio vivi. Stessa musica per le armi, veramente dettagliate anche nei metodi di ricarica o nelle inquadrature da vicino. Così come per gli animali, cavalli o manzi che siano: sembrano ora quadri ora vere fotografie d'epoca.
Bud Spencer in un ritratto di Lorenzo Barruscotto
Una considerazione va fatta proprio sul titolo. Il curatore della “Textata” (la testata di Tex e Tex Willer), sottolinea come si tratti di un omaggio ad un noto film western omonimo, con John Wayne e Mauren O'Hara del 1952. Verissimo. Però sempre su quel tema e cioè riguardo al discorso che non è detto che una persona mite non possa avere il diritto ogni tanto di in...alberarsi e stufarsi di chi vuole pestargli i piedi, ne esiste uno più moderno: stesso titolo, trama ben differente, protagonista Liam Neeson, anno 2019. In ogni caso se vogliamo proprio dirla tutta, la tematica risulta accattivante e condivisibilissima da parte di chiunque, compreso il vostro umile rubricologo di quartiere che un tipo tranquillo lo è davvero, chiunque, dicevamo, che magari ha incassato prese per i fondelli fuori luogo e non provocate o che ha ricevuto qualche tegola di troppo sul cranio dalla vita inghiottendo parecchi rospi indigesti. Se trasportiamo il tutto nel West, beh, da lì a dare una lucidatina alla sei-colpi il passo è breve, quando vi si è costretti per difendere la propria pelle, quella di chi ci è caro o la nostra casa, per esempio. Non serve spendere troppe parole su questo aspetto: anche un criceto se messo in un angolo si gira per mordere. Giustamente. Ed il soprannome di "Peacemaker" acquista panni seri, letterali e definitivi.
Come afferma il mitico Bud Spencer in “Chi trova un amico, trova u tesoro”: non c'è cattivo più cattivo di un buono quando diventa cattivo. Noi comuni uomini dell'era moderna, speriamo di non essere mai messi alla prova in tal senso, non saremmo presumibilmente in grado di mutare la nostra natura in una letale versione a metà strada tra Kevin di “Mamma, ho perso l'aereo” e “John Rambo” ma è pur vero che noi non ci chiamiamo Willer di cognome.
L'attore George Eads nei panni di Shorty in una scena del film "Monte Walsh"
Ho raggiunto il gentilissimo Stefano Andreucci per scambiare qualche impressione sul volume (sono scritte nelle righe precedenti che spero avete appena letto) e per questo lo ringrazio nuovamente, non solo per la disponibilità ma anche per il tono cordiale, disponibile ed amichevole tenuto con chi vi scrive anche nei punti in cui si trovava in disaccordo con la mia opinione su un paio di situazioni della storia. Da qui si vede un grande artista, dal trattare come un suo pari anche un nessuno qualunque.
Eccoci giunti all'ultima domanda:
- La trama dell'albo pare, personalissima impressione, essere stata creata quasi unendo due storie più corte o comunque due idee: quella dello spostamento della mandria (il riferimento al capolavoro "Nueces Valley" non viene nascosto) e la seconda - ultimo allarme per l'ultimo ma stavolta inevitabile, come gli altri, spoiler - dell'assedio del ranch, sebbene tale sviluppo risulti essere manifesta conseguenza della prima.
Mi ha colpito l'ambientazione: vediamo scorci non solo del paese ma proprio di Casa Willer, e sembra che si sentano le assi scricchiolare ad ogni passo. E' andato "a braccio" o magari, proprio per dare il tocco di classicità che per lo meno io ho percepito (e bisogna "dare a Cesare quel che è di Recchioni", dandogli il merito di aver incluso la quotidianità del ranch nel racconto), c'è un'ispirazione da foto o fotogrammi? Perchè specialmente le vedute da dentro a fuori ricordano le immortali inquadrature di "Sentieri Selvaggi" o il piccolo ranch dei "Quattro figli di Katie Elder".
R. Per ogni lavoro io cerco una gran quantità di documentazione, che studio a fondo cercando di immergermi nell'ambiente. In questo caso ho disegnato una piantina del ranch e del paesaggio intorno, che ho dato a Roberto per sviluppare tutte le scene lì ambientate. In questo modo i "movimenti" sono riusciti tutti plausibili e io non ho dovuto fare i "salti mortali" per rendere il tutto verosimile. Per il resto, la documentazione la studio e poi, generalmente, la metto via prima di disegnare. Non ho avuto indicazioni per il mio lavoro, tranne un suggerimento per il volto di Mcquarrie.
In effetti svariate delle caratteristiche del personaggio citato nella risposta, tale John Mcquirrie, sembrano collimare con quelle del cowboy che abbiamo già tirato in ballo presente nel film “Monte Walsh” (remake di un film degli anni 70 con Lee Marvin): Frank “Shorty” Austin che viene interpretato dall'attore George Eads.
A voler giocare un po' con la fantasia, Sam con la ricercata fisionomia ricreata da Andreucci avrebbe potuto essere interpretato da un giovane Tom Selleck a mio avviso.
Chissà se ci ho visto giusto e lo sceneggiatore ha tratto ispirazione da quella splendida e malinconica pellicola che ha come protagonista l'indimenticabile interprete di Magnum PI, il quale tra l'altro nelle vesti del mandriano fornisce una profonda umanità al suo Montelius (da cui il nomigliolo Monte) e chissà se quel “suggerimento” è stato dato proprio in tale direzione.
Io un'idea me la sono fatta, magari ho mancato completamente il bersaglio o magari no. A voi farvi la vostra.
Il Ranger in azione: disegno originale di Andreucci
Considerazioni finali su Deadwood Dick:
Come è facile intuire “Deadwood Dick” non era vero nome del personaggio. Di lui si conosce solamente quello di battesimo, Wiliford. Ce lo confida lui stesso nel primo albo della mini-saga e proprio perché si tratta di una confidenza, visto il tipo, se fossi in voi starei ben attento a tenerla per me, questa informazione. (E' una battuta, hermanos.)
Gli storici concordano nel confermare che l'attitudine che aveva DIck a raccontare gli eventi in un modo altisonante, in inglese si dice per l’appunto “larger than life”, non getta discredito sulla sua autobiografia perché seppur con qualche esagerazione, o iperbole per usare un parolone che indica un “salto mortale letterario”, non è pieno di una sfilza di frottole e comunque quello stile era comune ad altri romanzi che volevano considerarsi anche di maggiore levatura.
Nel fumetto è lo stesso American African cowboy a confidare al lettore che è stato addirittura Wild Bill Hickok a dargli il nomignolo di Deadwood Dick, quando ci parla col pensiero sotto forma di didascalie presentandoci il suo pard, Black Hat Jack (non avviene nel Cartonato).
D’altra parte, lo sa bene Lansdale, lo sanno anche gli addetti ai lavori Audaci e Bonelliani ma diciamocelo, lo sappiamo anche noi appassionati di West, non sempre gli appellativi con cui alcuni uomini della Frontiera sono passati alla Storia erano i loro veri nomi. Wild Bill non si chiamava così: all'anagrafe era James Butler Hickok, per dirne uno, e più si diventava famosi più nascevano storielle, aneddoti e miti attorno alla figura reale finchè la Leggenda diventava più vera della verità. In un’intervista comparsa sul numero 3 della serie Lansdale afferma che pare ci fosse un’ulteriore variante del soprannome di Love e cioè “Deadeye Dick” per sottolineare la sua micidiale mira con il fucile. Un po’ come l’Occhio di falco de "L'ultimo dei Mohicani”.
Immagine reperita in rete: le memorie di un cowboy
Per chiarire eventuali confusioni: nel 1907, Nat Love pubblicò la sua autobiografia intitolata come vedete nella fotografia "Life and Adventures of Nat Love, Better Known in the Cattle Country come "Deadwood Dick by himself" che rappresenta la sua eredità al mondo, volendo essere pomposi.
Joe Lansdale ha utilizzato il "personaggio Love" in una serie di novels: "Nine Hide and Horns", pubblicato nell'antologia "Subterranean Online" nel 2009, "Soldierin" che venne pubblicato nell'antologia "Warriors" nel 2010, "Black Hat Jack" (quella in questione) del 2014 e nel romanzo "Paradise Sky" del 2015.
Prima della serie Bonelli (uscita nelle edicole nel 2018) era comparsa nel 2012 una graphic novel su Nat Love, intitolata "Best Shot in the West".
Per quanto riguarda il cinema ci sono un paio di titoli: "The Cherokee Kid" del 1996 dove Love è interpretato da Ernie Hudson (sì, l'ex acchiappafantasmi) e "Die by Dawn" del 2013.
Non staremo qui a disquisire ulteriormente ripetendo su quanto la vita dei cowboys fosse pesante o quanto fosse difficile diventare nonni anche se non si aveva una stella sul petto. Ne siamo tutti ben consapevoli. Figuriamoci se poi si aveva la pelle scura non per via dell'abbronzatura. Purtroppo. Il vero Nat Love, che qui sopra vedete in posa in una foto d'epoca reperita online e rimaneggiata, era un duro e la sua controparte immaginaria, romanzata o "fumettosa" è un tipo maledettamente in gamba: Tex direbbe "svelto di cervello ma anche di mano".
Una delle caratteristiche che traspaiono dalla lettura di Deadwood Dick è che non sussiste nel protagonista né odio né disprezzo del nemico in quanto pellerossa, anche perché Nat Love è un uomo di colore, ma in quest'avventura si mette mano alle armi per il solo ed unico scopo di salvare la propria ghirba e quando si è costretti a combattere lo si fa certo fino all'ultima pallottola, come deve essere quando ci si difende e si lotta per se stessi e per i propri compagni, ma non ci sono, nei limiti del ragionevole considerato che non si tratta di filosofi che bevono una tisana con il mignolo alzato ma di rudi veterani del West, pregiudizi o preconcetti e quando spuntano fuori vengono, e oserei aggiungere giustamente, fatti ingoiare a chi li ha sputacchiati con un sonoro destro alla mascella.
Per concludere, l'arte del volume cartonato "Black Hat Jack" rasenta la perfezione arrivando a toccare le corde del nostro animo, facendoci sentire proprio lì, in quel saloon sperso nella prateria, facendoci percepire il caldo e la tensione che preclude una battaglia dalla quale non sapremo se ne usciremo vivi ma che sicuramente non dovremo affrontare da soli, perché è questo che fanno gli amici, si coprono le spalle a vicenda. E noi, dopo questa lettura, di amici ne annovereremo un discreto gruppetto, tutti dotati di un certo spirito e di caratteristiche che possono farli apparire strampalati agli occhi di chi non è avvezzo alle piste del West ma che per chi si è già sporcato con la polvere della Frontiera suonano simpatici, specialmente alcuni di loro, accomunati da una peculiare caratteristica: possedere fortunatamente una dannata mira!
Hasta luego, compadres.