- Categoria: Osservatorio Tex
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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"BANDERA!" : recensione, analisi, riflessioni e tanta Storia
E' inevitabile che in un periodo in cui ci sono ben altri grattacapi e ben altre preoccupazioni tutto ciò che riguarda la sfera dei “passatempi” o comunque che non risulta strettamente necessario passa in secondo piano. Ciò avviene quando si deve far fronte ad un grave problema di salute, che infici la quotidianità del singolo direttamente coinvolto o di una comunità come per quanto riguarda il Coronavirus, per il quale bisogna ancora fare attenzione e sicuramente non si può considerare chiusa la faccenda per una scadenza messa lì “puff”, purtroppo. In molti ambiti, la realtà dei fatti non sempre collima con le opinioni personali nelle quali non ho alcuna intenzione di addentrarmi.
Ma questa premessa è oltremodo e credo, e spero, per chiunque universalmente applicabile al momento assai buio che la nostra vecchia Europa sta passando. Non ci sono battute che possano sollevare il velo di tensione che più o meno avviluppa tutti noi e non se ne faranno assolutamente. C'è solo la speranza che l'orlo del baratro rimanga lì e che ci si possa asciugare il sudore prima di finirci dentro. Ma anche “solo” la situazione attuale cambia o per lo meno modella certe prospettive e ridimensiona l'entità di eventuali fastidi o grane che in condizioni normali avrebbero riempito la nostra giornata e la nostra mente. E' ovvio che non sostituisce i reali guai, fisici o lavorativi, che troppi, sottoscritto incluso, devono affrontare ogni giorno.
Quindi forse il poterci distrarre per un po', potendolo fare, non è un male: spegnere certi cortocircuiti nella zucca che non portano a niente se non al peggioramento della funzionalità di un motore già surriscaldato può addirittura risultare utile, prima che fonda irreversibilmente. Non dico che riesca ad essere perfino corroborante, ma mi spingo a dire quasi piacevole, anche rilassante sotto certi aspetti. Lo ripeto: potendolo fare.
E dal momento che qui si parla di Fumetto, un giretto dalle parti del West può servire allo scopo. Nella speranza di poter guardare l'alba tornando a darla per scontata, un giorno dopo l'altro. E proprio un giorno alla volta è ineluttabile vivere soprattutto “quando tuona il cannone”, per mutuare un titolo di un famoso albo di Tex, che sia una frase fatta o tragicamente letterale.
Perciò se siete qui, oggi, qualunque giorno sia il vostro oggi, è perché potete e volete esserci, perché avete magari bisogno di virare su qualche argomentazione più leggera e da questo punto di vista sono lieto di potervi accontentare.
Dunque: vamonos!
Clint Eastwood in un ritratto di Lorenzo Barruscotto
Un evento atteso da molto.
E da molti, anche se più di quelli che mi sarei aspettato sono stati coloro che non hanno reagito con balli e canti nei confronti di un albo che dal mero aspetto fumettistico e “fumettoso” è innegabilmente ed incontestabilmente un gioiello. E già questo come haiku basterebbe in qualità di recensione, perché si tratta di un prodotto oggettivamente di altissimo livello. Quando ci vuole ci vuole. Tutto il resto sono solo chiacchiere di contorno, talvolta anche sgradevoli o difficilmente condivisibili quando poco comprensibili, come le critiche portate ai disegni o alla trama da parte di chi invece ha osannato storie passate di qualità sicuramente inferiore o vere e proprie orrende bagg… buff… no, scusate, mi era andato per traverso, dicevo, avventure forse leggermente troppo moderne per menti poco illuminate come senza dubbio quella che comanda le dita di chi sta ora scrivendo ciò che voi poi leggete, quali ad esempio quella con un gruppo di ragnoni giganti telepatici... Lasciamo perdere.
Se volete potete chiamarlo cross over ma non c'è un personaggio principale che “ospita” in casa propria un collega proveniente da un'altra testata: sia Tex che Zagor fanno la storia intesa sia come narrazione sia come Storia vera, dal momento che il racconto di fantasia si intreccia a doppio filo con avvenimenti realmente accaduti alla Frontiera. Anzi, a dirla tutta, sono state poche le volte per lo meno da quando esiste questa rubrica, in cui un albo è stato intinto così profondamente in vicende storiograficamente rilevanti, dove vengono menzionati luoghi, uomini ed eventi concretamente veri, verificabili e pertanto interessanti per chiunque voglia buttare uno sguardo al di là della convenzionale lettura di “un giornalino”.
Intendiamoci, non c'è nulla di male nel fare ciò, leggere i fumetti non è mica un lavoro, lo stesso dicasi per un film, western o meno, che tratti argomentazioni storiche. Infatti ho detto interessanti non obbligatori. Qui nessuno vi interroga una volta giunti all'ultima pagina. D'altro canto io non mi metto a fare il compitino tutte le volte che prendo in mano un volume di Tex o di altri protagonisti, altrimenti le... testate le darei al muro. Ho provato a convincere chi di dovere, che magari chissà sta anche dando una scorsa a queste righe, (hola, hombres, come ve la passate? - plurale perché potrebbero anche essere in due, non in contemporanea ovviamente) ma ho fatto talmente tanti tentativi corredati da altrettanti buchi nell'acqua da risultare non statisticamente significativo, cioè inizia a venirmi il vago sospetto che non sia solamente per il fatto che sono un'imbranata caricatura di imbrattacarte. In questo campo come in altri. Anche un orologio rotto per due volte al giorno segna l'ora esatta... comunque sia, lasciamo stare e torniamo o per meglio dire iniziamo ad addentrarci nel Texas della metà del Diciannovesimo secolo.
A dirvela tutta, non ho alcun proposito di sperticarmi in una lunga scrittura che alla fine si rivelerebbe una sorta di testo adatto ad una puntata di un documentario, per quanto non mi dispiacerebbe affatto vedere Alberto Angela che parla di West e per giunta seguendo le mie parole, dunque per gli argomenti già trattati rimanderò agli articoli presenti su “Osservatorio Tex” eventualmente citando ciò che avevo proposto in passato.
Musica simile anche per tutto il discorso sulla questione tempistiche: come fanno Tex e Zagor ad incontrarsi? Vediamo di sbrogliarla in fretta: Tex, lo sappiamo per certo dopo il Maxi “Nueces Valley” è nato nel 1838, quindi le storie moderne, prendiamo come esempio perché contiene moltissimi spunti temporalmente inquadrabili con facilità “Manhattan”, sono ambientate attorno al 1885, mettiamoci pure tre o quattro anni di scarto, in avanti o indietro, quindi Aquila della Notte in quel frangente arriva ad avere un'età tra i 43 per chi vuole essere più stretto di manica e i 48 anni per chi è più generoso e vuole arrotondare per eccesso. Carson ne ha una decina in più perciò la cosa sembra funzionare, così come Kit Willer potrebbe facilmente avere sui trent'anni, sempre prendendo come riferimento il lustro tra il 1885 ed il 1890.
Sulle età del nostro poker d'assi abbiamo fatto i calcoli in più di un'occasione, anche per dimostrare che probabilmente chi avrebbe dovuto farli li aveva saltati come e più di KITT quando attivava il turbo boost per superare muri o altri ostacoli.
E Zagor? Beh, diciamo che tra lui e Tex c'è una generazione di differenza, dal momento che opera come giustiziere di Darkwood nella prima metà del 1800. pertanto la serie “Tex Willer” incentrata sulle avventure giovanili del non ancora Ranger né sakem dei Navajos era l'unica via percorribile per creare le condizioni di tale incontro. Certo, o quella o un bel racconto attorno al fuoco in stile “Il magnifico fuorilegge” ma avete capito cosa intendo dire: Tex è sui venti, quindi parliamo del 1858, ed è suppergiù, mese più mese meno, l'anno cardine che terremo presente quando mentalmente inseriremo temporalmente “Bandera!” nella Storia del West; siamo prima dello scoppio della guerra civile, avvenuto nel 1861 e Zagor è diventato brizzolato sulle tempie come un Mister No ante litteram anche se ha più primavere sul groppone del pilota che vive a Manaus, quando quest'ultimo scambiava cazzotti nei bar di mezzo Sud America.
Per quel che ne capisco, cinquanta li ha tutti, un'età ragionevole per non penzolare più come una volta tra i rami degli alberi ma per cavalcare, sparare e tirare la scure ancora come, beh, come una leggenda, anche perché l'aura che i contemporanei di Tex gli hanno costruito attorno è proprio quella del personaggio “quasi” inventato, da dime novel, da eroe di pura fantasia. Una fantasia che tira pugni più duri del calcio di un mulo, in ogni caso. Patrick Wilding lo possiamo immaginare in fasce nella prima decade del secolo, voglio dire del 1800, pertanto lui chiamerà quello strano ricercato amico di Rangers e pellerossa “giovanotto” rendendo il tutto plausibile.
Ok, bevete un goccetto per riprendervi da questa piccola lezione di matematica e poi andiamo avanti.
KITT di "Supercar" in un disegno di Lorenzo Barruscotto
L'autore della sceneggiatura, Mauro Boselli, introduce la vicenda nell'introduzione, e dove se no, ricordando ciò che prima dell'uscita nelle edicole era già stato ribadito più volte sui social e sul sito Bonelli: questo terzo Tex Willer special costituisce la terza parte di una sorta di trilogia sparsa negli anni che comprende “Comancheros” e “Fratelli di sangue”: questi sono i titoli che racchiudono le due avventure zagoriane disegnate rispettivamente da Andreucci e Marcello sempre su testi di Boselli, riproposte anche in formato fuori serie per la collana nata ad hoc “Le Grandi Storie”, proprio come ripasso preparatorio, chiamiamolo così.
Viene ricordata l'antica rivalità tra Texiani e Zagoriani, tra chi preferisce la Colt e chi la Scure come è stato detto, ricordando che comunque si tratta di due rive dello stesso fiume, giusto per continuare ad usare un'immagine, che mi vede del tutto d'accordo, richiamata dallo stesso curatore di Tex. L'introduzione poi serve in sostanza a continuare il parallelismo tra Riserva Navajo e foresta di Darkwood, una ad Ovest e, non solo idealmente, inquadrabile dal punto di vista geografico, l'altra con radici che affondano maggiormente nell'immaginazione, posta virtualmente nel Nord-est degli Stati Uniti, verso i grandi laghi, dove si può inciampare in indiani bellicosi, trappers, soldati ma anche alieni, licantropi, in qualche zombie fino ai summenzionati tremendi ragnoni, caricatura ubriaca di Shelob del “Signore degli anelli”.
Ma anche nelle pagine di Tex ci siamo trovati davanti mummie, fiori che uccidono, meteoriti che avvelenano l'acqua, per non parlare di Mefisto, che tra l'altro sarà IL nemico per ben sette mesi sulla serie regolare partendo da Aprile 2022, conseguentemente, compatibilmente con le caratteristiche dei personaggi, ogni digressione dal canonico genere western è sempre ben accetta. E lo dico da uno dei pochi che ha apprezzato, un po', perfino “Cowboys and aliens”.
Ne approfitto per una domanda/considerazione: non ho mai capito il motivo per cui alcune parole in inglese vengono scritte con la S finale quando si deve scriverle al plurale ed altre no. La stessa cosa risulta ancora più palese per i nomi delle tribù indiane. Voglio dire, se si scrive Comancheros, Apaches o che so Utes perché poi per tutto l'albo Comanche è scritto per l'appunto senza S? Colt non diventa mai Colts, Winchesters lo si vede piuttosto di rado, Sioux rimane sempre al singolare ma Rangers invece è sempre inserito nella forma corretta. La sola risposta che mi sono dato è che si vuole seguire una sorta di assonanza perché le pistole al plurale suonerebbero “COLZ” come pronuncia e non sta bene. E fin qui ci sto, ma poi questo non quadra specialmente con i nomi delle tribù perché Apache va benissimo anche senza la S così come Comanches può tenerla. Anzi, dovrebbe avercela in tutte le occasioni in cui non si tratta di un aggettivo ovviamente. Nel senso che se si scrive “guerrieri Comanche” allora va anche bene senza, dato che in inglese gli aggettivi non sono coniugati al plurale e diventa errore da penna blu vedere il corrispettivo “guerrieri Apaches”. Se invece si vuole seguire la regola che esige che in italiano le parole straniere non siano scritte al plurale anche se lo prevede il contesto, non funziona neanche da quel lato. Boh.
Così, giusto per disquisire un po' di linguistica. Comunque confrontando ciò con certe baggianate grosse come una casa trovate scritte anche in qualche articolo ed a cui invece di mettere una pezza si è reagito fischiettando e facendo finta di niente, si tratta proprio di robetta.
Mi chiedo se le medesime quisquilie le avesse proposte qualcun altro, quale sarebbe stata invece la risposta. E viceversa, ovviamente.
Tornando all'intro di questa sinfonia di china e balloons, vengono menzionate a titolo di esempio un paio di storie di Tex e Zagor per spiegare in modo conciso e quindi forse non sufficientemente immediato per chi non sia un aficionado di entrambi, le personalità dei due eroi che diventeranno pards temporaneamente: vengono ripercorse fulmineamente le origini di entrambe le carriere, segnate dal cupo ma umanissimo desiderio di vendetta nei confronti di chi strappa improvvisamente un familiare all'affetto di qualcuno che è meglio non fare non solo inalberare ma proprio neanche irritare di striscio: per Tex sono stati prima il padre Ken e poi il fratello Sam per mano di una vile banda di razziatori di bestiame e malviventi “organizzati” in seguito nella cittadina di Culver City mentre per Zagor si tratta dei genitori, uccisi ad opera del fanatico Salomon Kinsky alla testa di una banda di Abenaki: Secondo la sua distorta campana il padre di Pat Wilding si sarebbe macchiato dell'eccidio degli abitanti di un villaggio di non combattenti causando decine e decine di vittime ma poi scopriamo che sebbene si fosse preso la responsabilità dell'accaduto, era solamente un giovane ufficiale alle prime armi che non era riuscito a fermare i suoi uomini assaliti dalla sete di sangue e dall'odio nei confronti degli indiani, a causa delle azioni di una banda di predoni che si era fatta in sostanza scudo del suddetto villaggio. A modo suo, andando perfino al di là del ponte dell'arcobaleno e ritrovandosi nelle celesti praterie, scegliete voi se in una sorta di sogno o “per davvero”, Zagor era riuscito nel numero 400 a fare pace con la memoria del padre sebbene siano temi sempre dolorosi per l'eroe di Darkwood.
Per chi vive e vuole vivere in una società civile la vendetta non può avere spazio ma nel West o in qualunque altro tempo nel quale il diritto non trovi modo per prevalere spesso tale via diventa sinonimo di giustizia. Non di legge, soprattutto se quest'ultima non è uguale per tutti o addirittura è sporcata da corruzione e disonestà. Proprio come avviene per la vicenda di Tex. Ed è per questa ragione che il giovane re del rodeo si trova dall'altra parte della barricata, per lo meno ufficialmente anche se non moralmente.
Non si può dimenticare la splendida ed al contempo triste avventura nella quale Tex, stavolta insieme agli altri componenti del quartetto, riesce finalmente a chiudere i conti con gli ultimi responsabili della morte di sua moglie Lilyth, dolce figura recentemente ripresa a... più riprese, a volte in maniera assai riuscita altre molto meno, per darle nuova linfa con racconti di quando era al fianco del suo uomo o comunque sotto forma di soave ricordo.
“Aquila della Notte non può piangere!” è ciò che viene detto dai testimoni del dolore dimostrato dal volto e dalle parole cariche di rabbia pronunciate dal Ranger di fronte alla tomba dell'amata sui monti Navajo, nel momento indelebile per tutti gli appassionati nel quale scaglia la lancia che si pianta nella roccia, ad inviolabile simbolo del suo “sacro giuramento di vendetta”. Tex diventa un “implacabile” sentenza per chiunque abbia preso parte all'orrida macchinazione, avente lo scopo di eliminarlo, che ha portato l'orrore alla Riserva tramite coperte infettate dal vaiolo.
Come si capisce facilmente non è che lo spirito della vendetta si scatena perché gli hanno fregato l'ultima merendina al bar o per un parcheggio occupato, ci sono spinte emotive e razionali assai gravi. In ogni caso non ci si abbandona mai ad esecuzioni sommarie o violenze gratuite, non c'è mai nessuna vittima innocente e niente viene fatto se non per perseguire comunque il fine della giustizia, come asserito alcune righe fa.
E non bisogna mai dimenticare che è sbagliato voler per forza vedere o interpretare certi comportamenti con la mentalità, non ho detto mente apposta, dell'uomo del 2022 per quanto purtroppo il mondo di oggi sotto certi, troppi, aspetti non sia cambiato o forse sia ulteriormente peggiorato poiché non solo il dio denaro e la “legge della giungla” sembrano governare più di quanto si pensi la vita di interi popoli, ma anche paiono infiltrarsi nelle piccole realtà quotidiane dimostrando che da qualche parte, ad un certo punto, si è inceppato qualcosa nell'evoluzione che l'essere umano avrebbe dovuto inseguire, in molti punti dai più rilevanti ai più “stupidi”, primi fra tutti quello del buon senso e quello imprescindibile, e che non si dovrebbe nemmeno più spiegare o invocare, del rispetto reciproco.
Deviazione dal percorso verso una società migliore che per assurdo talvolta ci rende, apparentemente quanto meno la sensazione è quella, più esposti alla paura, ad una percezione di impotenza, insieme a sgomento ed incredulità del tipo “come siamo giunti a questo”, rispetto ai tempi del West. Beh, sotto alcune prospettive naturalmente: il senso non è sicuramente “si stava meglio quando si stava peggio” a 360 gradi, hermanos, lo avete capito.
L'ombra della rappresaglia armata segna anche il percorso di formazione dello Spirito con la scure il quale considererà in cuor suo sempre come terribile errore da assolutamente non ripetere il dare ascolto agli istinti più beluini che possono attanagliare l'animo umano anche se apparentemente giustificabili agli occhi di chi è stato la vittima di un, tremendo, misfatto.
Il... fatto è che per dirla in poche parole, nessuno dei due ha torto, dal punto di vista del divenire dei personaggi: cioè Tex si getta sulla pista dei colpevoli che sono chiaramente colpevoli come farebbe e farà con la stella d'argento sul petto, non si mette a far fuori gente a casaccio, da solo distrugge pericolose organizzazioni criminali. Nessun dubbio, nessuna esitazione. Anche il lettore sa chi sono i cattivi e non esiste neanche uno spiraglio per una negoziazione o un tentennamento, d'altra parte si arriva sempre ad una situazione di “o lui o loro”.
Per Zagor, editorialmente nato una quindicina d'anni dopo il futuro Ranger, cioè nel 1961, forse si è voluto differenziare il tema in questione dotandolo di una tridimensionalità che nel 1948 non era né fondamentale né aveva ragion d'essere per l'impronta che si era scelto di seguire e che poi è stata fortunatamente almeno in questo caso seguita nelle rivisitazioni delle storie sul passato di Aquila della Notte. Zagor ed il lettore sanno le stesse cose, quindi anche noi scopriamo quando lo scopre Zagor che potrebbe esserci una ragione, contestualizzandola, se la sua famiglia o meglio se suo padre si era attirato l'odio della tribù di Abenaki, i quali a loro volta si erano vendicati. Che poi con albi assai più recenti di “Zagor racconta”, ci vengano spiegati i retroscena e che quindi i suddetti Abenaki non fossero né chierichetti intenti a riprodurre canti da chiesa né avessero avuto loro stessi un valido motivo per prendersela con chi in realtà non aveva davvero le colpe che le apparenze sembravano appioppargli è un altro discorso, attuabile col senno di poi. In realtà la vicenda di Za-gor-te-nay agli occhi di un lettore che ha conosciuto tutte e due le testate vuole fornire una morale ritengo conseguente all'invito di guardare le cose nella loro totalità prima di agire a testa bassa, spingendo a per lo meno porsi il dubbio che ciò che ci si sta accingendo a fare potrebbe non avere le conseguenze che ci si aspetta.
Tale “esitazione” non è e non deve essere presente in Tex, che si muove nello stesso mondo, diciamo così, di Zagor ma per questo aspetto in realtà si trova su un universo parallelo in stile Spiderman e Marvel perché nella realtà di Tex i buoni sono buoni e i cattivi sono dei figl... dei bast... dei delinquenti da capo a piedi senza se e senza ma.
Questo non vuol dire che Tex sia uno che prima ti piazza una palla in fronte e poi ti chiede chi sei, qui sta il punto: Tex SA capire praticamente sempre da subito se colui che ha davanti è un verme, un avvoltoio travestito da colomba, o realmente un “galantuomo”, ed il lettore insieme a lui. Certo, ci sono intrighi, casi da risolvere e misteri nonché qualche villain che diventa buono, quelli che non ci rimettono le penne come parte integrante dell'espiazione, ma nessuno vuole un trattato di Kant, il filosofo non un parente di Eva, quando si rilassa con un fumetto.
E per contro leggendo Zagor non è che siamo alle prese con uno che non si decide ad agire o che non ha fiducia in se stesso o nel suo istinto. Qui si inserisce infatti l'osservazione su cui mi sento di dissentire riguardo al giustiziere dalla casacca rossa. Viene presentato, forse per esacerbare il contrasto proprio con Tex, come un tipo riflessivo, che ci pensa anche più di due volte prima di fare fuoco.
Ehm, anche no.
Primo, così di riflesso sembra che i Rangers siano dei forsennati che consumano più piombo che ossigeno, cosa che non è, come ho cercato di esporre poco fa; secondo perché Zagor non è da meno tra mazzate con la scure o pallottole sparate dalla sua anacronistica Colt Navy.
Per darci un taglio cito una battuta dell'amico Guitar Jim, se la memoria non mi gioca un brutto scherzo, il quale in un'avventura di parecchio tempo fa replica proprio al diretto interessato che non c'è pericolo che lui sbagli a premere il grilletto perché se è vero che ci pensa bene prima di premere il grilletto, lui pensa anche “molto in fretta”.
Quindi che voi siate no-dubbiox o pro-dubbiox, io sono stato nell'ambito delle disquisizioni, credo, oggettive.
Il nemico per eccellenza di Tex, Mefisto, in un tributo a CLAUDIO VILLA
ad opera di Lorenzo Barruscotto.
Si possono notare alcuni autografi di vari autori del Ranger.
Ma non vi racconto proprio niente della trama del volume? Sarei propenso a non farlo minuziosamente, per il fatto che ad ogni passo si rischia di finire su un simpatico spoiler, oltre ad essere di per sé abbastanza intricata, soprattutto se non si sono letti i primi due albi, quindi mi limiterò ad imbastire quel minimo indispensabile per rendere comprensibile ciò che ho ancora da condividere con voi.
La scena si apre alle pendici dei monti Wichita qui nella loro “variante inglese” Wichita Mountains.
“Oh, no! Anche la geografia, ma che ce frega!?” potreste dire. Eh, ce frega perché proprio quella catena montuosa aveva fatto da sfondo per il confronto finale tra indiani, per la precisione Comanches, guidati da Lupo Grigio, e Rangers nella puntata precedente.
Lupo Grigio, che avevamo conosciuto sotto mentite spoglie insieme a Zagor, Cico e Digging Bill, era poi ri-diventato sakem non solo dei “suoi” Quahadi ma di tutte le genti Comanches per lo meno come capo di guerra. Prima semi-nemico, gustosi i battibecchi tra pellerossa e texano, e poi fratello di sangue insieme allo stesso Zagor, dell'ex Ranger Adam Crane, assai valoroso e sufficientemente intelligente da ragionare con la propria testa distaccandosi dai purtroppo radicati pregiudizi dei Texani, senza i, verso i “musi rossi” fino a scegliere da che parte stare, senza in ogni caso mai tradire i suoi amici o la sua gente, sebbene agli occhi di molti compatrioti egli appaia come un rinnegato traditore. Ormai ora Adam è un Comanche onorario anche perché ha sposato Fiore Nascente, lasciando Rose Manley, sarà un tipo fissato con la botanica, figlia di un capitano dei Rangers tra l'altro, la quale non l'ha presa troppo bene.
Tutto ciò capita nei numeri che ho battezzato preparatori ma anche se non avevate idea di cosa ho appena riassunto prima di leggere “Bandera!” cambiava poco, grazie a qualche provvidenziale recap inserito nel proseguire della storia o un rimando rapido mescolato ai dialoghi “del presente”, insieme all'aver saputo lasciare a margine mantenendoli per l'appunto marginali, fatti che sarebbero risultati ridondanti se approfonditi ulteriormente dato che non incidono sulla narrazione principale.
Le montagne Wichita si trovano nella parte sud-occidentale dell'Oklahoma. Si tratta della conseguenza di una spaccatura fallita della crosta terrestre, pensate un po', l'Aulacogen dell'Oklahoma meridionale. Aulacogeno vuole proprio dire bacino sedimentario derivante dal processo di rifting, termine che si riferisce allo spostamento delle placche tettoniche, non riuscito come altri, fermatosi in corso d'opera. Le montagne sono costituite da una serie di promontori rocciosi con andamento Nord Ovest Sud-est. L'estremità orientale delle montagne offre mille piedi (300 metri circa, niente di che) di rilievo topografico in una regione altrimenti dominata da praterie dolcemente ondulate.
Oggi tali aree ospitano oltre che più di un ranch anche cave, campeggi e parchi panoramici. Fort Sill, sede della “US Army Field Artillery School”, occupa gran parte dell'estremità sud-orientale delle montagne.
Quando teoricamente non si poteva accedervi per i non nativi americani, si diceva che le montagne Wichita contenessero ricchi giacimenti d'oro e quando l'area fu aperta per la prima volta all'insediamento, molti cercatori avanzarono rivendicazioni. Furono fondate boom towns sulle “vie dell'oro”, ma non furono trovate miniere per cui il gioco valesse la candela e così alla fine i minatori rinunciarono, lasciandosi alle spalle città fantasma come Wildman, proprio in Oklahoma.
L'inizio della storia a fumetti fornisce anche una sorta di preludio action: se fosse un film verrebbe in mente il mini episodio che apre ogni pellicola di 007 per esempio. Qui serve per capire l'aria che tira e l'impronta dello sceneggiatore sui personaggi, presenta al pubblico di chi si tratta senza spiegoni noiosi ma con qualche coinvolgente sparatoria e sbatacchiamento di farabutti che non fa mai male.
E' proprio così che neofiti e vecchie pellacce rinnovano la conoscenza del terzetto composto da Zagor, Lupo Grigio e Adam Crane impegnati a “risolvere” il problema della presenza nel posto sbagliato di un gruppetto di vili cacciatori di scalpi.
Per chi non lo sapesse greaser è un epiteto ovviamente offensivo che gli americani degli Stati del Sud-ovest usavano per riferirsi ai messicani. Probabilmente deriva da quella che è stata considerata per anni una delle professioni più modeste tipicamente svolte proprio da gente nativa dei territori al di là del confine, vale a dire l'ingrassatore di assi dei carri o anche proprio le pelli che venivano portate ad esempio in California per essere caricate su imbarcazioni cargo, come le navi clipper, cioè veloci trialberi, anche se potevano essere fornite di alberatura più numerosa, adibite al trasporto delle merci su rotte oceaniche. Forse clipper deriva da “tagliare” nel senso di accorciare i tempi della navigazione o tagliare le onde per via della loro velocità.
Ritratto di Sharon Stone da "Pronti a morire" ad opera di Lorenzo Barruscotto
Se vi state facendo domande chiedendovi se il terribile commercio di scalpi sia un'invenzione o meno vi dico purtroppo che la verità è “o meno”.
Già, un'altra tacca per ricordare la bassezza che può raggiungere l'uomo verso i suoi simili.
Lo scalpo di per sé, rappresentava l'essenza del valore in battaglia di un guerriero quindi prenderlo al nemico voleva dire dimostrare la propria superiorità. In modo tangibile, come se si trattasse di un trofeo. Quando si pensa, se si pensa, beh, così per dire, a qualcuno che viene scalpato, la mente corre subito ai pellerossa però non sono stati loro ad inventarsi tale pratica. Ne hanno invece aggiunto la valenza religiosa e spirituale, pur nella macabra crudezza del gesto. Si dice che fosse credenza diffusa che Manito tirasse proprio per i capelli i caduti negli scontri per indicare poi loro la strada verso le Celesti Praterie e così scalpare un rivale equivaleva quindi a togliergli tutto, perfino il permettergli di sedere alla tavola dei suoi padri.
E' per questa ragione che viene associato ad un particolare odio nei confronti di chi si combatteva, quasi diventasse un gesto catartico, sempre senza dimenticarne la valenza molto più terrena, cioè il prestigio che derivava dall'uccisione di un avversario, manifestazione fisica della forza di chi se lo era procurato. Anche perché in tal modo oltre a dimostrare di aver realmente combattuto si era entrati in possesso per l'appunto della forza vitale del defunto, un po' come avviene per Highlander con la reminiscenza.
Ci sono prove che lo scalping fosse praticato anticamente nelle pianure centrali della Cina.
Un teschio risalente all'età del ferro rinvenuto nella Siberia meridionale mostra segni della medesima pratica.
Alcune prove si trovano anche nel subcontinente indiano.
Esistono sostanziali prove archeologiche di scalping in Nord America già nell'era precolombiana. La datazione al carbonio dei teschi mostra che le radici della presa dello scalpo risalgono al 600 d.C. ed alcuni teschi mostrano segni di guarigione da ferite da scalping, suggerendo che almeno alcune vittime siano sopravvissute. Talvolta. Tra gli indiani delle pianure, lo sappiamo, sembra essere stato praticato principalmente come parte della guerra intertribale, con scalpi presi solo dai nemici uccisi in battaglia. Tuttavia, l'autore e storico Mark van de Logt ha scritto: "Sebbene gli storici militari tendano a riservare il concetto di 'guerra totale' ", in cui i civili sono presi di mira, "per i conflitti tra le moderne nazioni industriali", il termine "si avvicina allo stato di affari tra genti Pawnee, Sioux e Cheyenne. I non combattenti erano bersagli legittimati. In effetti, la presa dello scalpo di una donna o di un bambino era considerata onorevole perché significava che il sequestratore aveva osato entrare nel cuore stesso del territorio nemico ." Lo scrive lui.
Molte tribù di nativi americani praticavano lo scalping, in alcuni casi fino alla fine del XIX secolo.
E volete che i bianchi non si mettessero a sfruttare queste macabre credenze per i loro scopi? Figuriamoci. Durante i conflitti tra Inglesi e Francesi, questi ultimi offrivano un premio per ogni scalpo made in UK. D'altra parte la risposta fu che gli Inglesi fecero la stessa cosa dando ricompense alle tribù alleate se si fossero messi a collezionare parrucche tra i popoli rossi filofrancesi.
Ai tempi del Comandante Mark anche gli Americani fecero la loro parte in questa sporca compravendita: la camera di commercio di Boston in un decreto del 1775 annuncia il pagamento di 40 sterline per ogni scalpo indiano adulto. Per le donne ed i maschi di giovane età si sarebbero pagate “solo” 20 sterline.
Durante la guerra d'indipendenza americana, anche gli Inglesi non furono da meno: Henry Hamilton, il luogotenente governatore britannico e sovrintendente per gli affari indiani a Fort Detroit, era conosciuto dai patrioti come il "generale compratore di capelli" perché credevano che incoraggiasse e pagasse i suoi alleati nativi per scalpare i coloni americani . Quando Hamilton fu catturatodai coloni, fu trattato come un criminale di guerra invece che come un prigioniero per questo motivo. Tuttavia, gli storici americani hanno ammesso che non c'erano prove certe che avesse mai offerto ricompense per scalpi. Ora anzi si presume che durante la Rivoluzione americana nessun ufficiale britannico abbia pagato per gli scalpi. Mah.
Moses Younglove, chirurgo della Brigata del generale Herkimer durante la battaglia di Oriskany (1777), fu fatto prigioniero durante la battaglia e subì torture per mano degli Irochesi. Younglove registrò almeno due prigionieri americani addirittura cannabilizzati.
Ci sono ampie prove che gli Irochesi, alleati degli inglesi durante la rivoluzione americana, praticavano lo scalping. Il caso più famoso è quello di Jane McCrea, il cui fidanzato era un ufficiale. Il suo rapimento da parte degli Irochesi, fedeli agli inglesi e al comando di John Burgoyne, la portò a essere scalpata e fucilata. La sua morte ha ispirato molti coloni a unirsi alla lotta contro l'invasione britannica dal Canada.
Ma un tariffario era in vigore in certi stati già dall'inizio del 1700.
Le colonie del Connecticut e del Massachusetts offrivano taglie per le teste degli indiani ostili uccisi, in seguito “solo” per i loro scalpi, durante gli anni '30 del Seicento. Pochi anni dopo, gli olandesi a New Amsterdam offrirono ricompense diciamo delle taglie per capi indiani eliminati.
Taglie per i prigionieri indiani o per i loro scalpi apparvero nella legislazione delle colonie americane durante la guerra di Susquehannock (1675–77). Il New England offrì ricompense ai coloni bianchi nel 1675 durante la guerra di re Filippo. Nel 1692, la Nuova Francia pagò anche i suoi alleati nativi per gli scalpi dei loro nemici.
Nel 1697, alla frontiera settentrionale della colonia del Massachusetts, la colona Hannah Duston uccise dieci dei suoi rapitori Abenaki, rieccoli che spuntano, durante la sua fuga notturna, presentò i loro dieci scalpi all'Assemblea generale del Massachusetts e fu ricompensata con taglie per due uomini, due donne e sei bambini, anche se lo Stato aveva revocato la legge che autorizzava le taglie sul cuoio capelluto sei mesi prima. Eh, state a guardare... il capello.
Ci furono sei guerre coloniali con il New England e la Confederazione irochese che combatterono la Nuova Francia e la Confederazione indiana Wabanaki per un periodo di circa 75 anni, a partire dalla guerra di re Guglielmo nel 1688. Tutte le parti scalparono vittime, compresi non combattenti, durante quella guerra. Le politiche di ricompensa originariamente destinate solo agli scalpi dei nativi americani furono estese ai coloni nemici, giusto per non farci mancare niente.
Durante la guerra della regina Anna, nel 1703, la colonia della baia del Massachusetts offriva 60 sterline per ogni scalpo nativo.
Nel 1835 quel grandissimo “gentiluomo” quale era il governatore dello stato di Sonora seguito poi a ruota dal suo degno collega governatore del Chiuhauha sottoscrisse la pubblicazione di un vero e proprio tariffario riguardo ai compensi per gli scalpi Navajo o Apache:
100 pesos per un maschio, 50 per una donna, 25 per un bambino.
Ma potrei farvi un elenco orrendamente ricco di dettagli e troppo lungo perché si possa mantenere un minimo di fiducia verso il genere umano. Meglio terminare e proseguire oltre.
Aggiungo solo che logicamente non si fa fatica a capire che oltretutto da nessuna parte c'era scritto da dove arrivassero le capigliature: molto più facile ed assai meno rischioso far fuori qualche povero peon con i capelli lunghi che affrontare faccia a faccia un guerriero che non sarebbe rimasto in posa a farsi fare la sfumatura alta solo per gentilezza, per offrire un facile guadagno a quel miscuglio di feccia che decideva di intraprendere tale tipo di “affari”.
Dopo il contatto con i bianchi, gli indiani si rifornivano costantemente di specifici “coltelli da scalpo” venduti loro dai mercanti in cambio di cavalli, pelli o altro. Erano lame prodotte soprattutto in Inghilterra e vennero vendute a migliaia. Si diffusero in tutta la Frontiera con una velocità impressionante, riscuotendo il consenso dei guerrieri di molte tribù. Oggi diremmo che avrebbero lasciato una recensione positiva per l'acquisto. Generalmente i pellerossa si occupavano di impreziosire il proprio coltellaccio con i classici decori della tribù di appartenenza.
Alcuni episodi di scalping si sono verificati perfino durante la guerra civile americana. Ad esempio, i guerriglieri confederati guidati da "Bloody Bill" Anderson erano famosi per aver decorato le loro selle con lo scalpo dei soldati dell'Unione che avevano ucciso.[
Nel 1851, l'esercito degli Stati Uniti espose scalpi indiani nella contea di Stanislaus, in California. Nella contea di Tehama, sempre in California, i militari statunitensi e i volontari locali hanno raso al suolo villaggi e scalpato centinaia di uomini, donne e bambini.
Tristemente noto è il massacro di Sand Creek, avvenuto il 29 novembre 1864, durante le guerre degli indiani d'America, quando una forza di 700 uomini volontari dell'esercito americano distrusse il villaggio di Cheyennes ed Arapahos nel territorio del Colorado sudorientale, uccidendo circa dai 70 ai 160 nativi americani. Un articolo del “New York Times” del 1867 riportava che "i coloni in una piccola città nel territorio del Colorado avevano recentemente sottoscritto 5000 dollari a un fondo" allo scopo di acquistare scalpi indiani (con 25 bigliettoni pagati per ciascuno scalpo con le orecchie addosso)". L'articolo rilevava che questo comportamento era "sanzionato" dal governo federale degli Stati Uniti quanto meno ufficialmente anche se per un erto periodo perfino l'Arizona chiuse un occhio su tale compravendita.
What a wonderful world, vero?
Nonostante questo, però, erano molti i guerrieri, anche importanti, che non mostravano di dare peso agli scalpi: è nota l’indifferenza mostrata in tal senso da Cavallo Pazzo. Vi erano pure alcune tribù che si astenevano dalla sottrazione degli scalpi (Apache Mescalero, ad esempio) per via di una particolare forma di timore nei confronti dei defunti.
Un’ultima vicenda che merita di essere ricordata è quella legata al Texas Ranger Joel Glanton. Personaggio realmente esistito che nell'albo si scontra proprio con il terzetto di ossi troppo duri da rodere per un balordo del suo stampo.
Durante la guerra Messico-Stati Uniti, anche gli Apaches erano stati coinvolti negli scontri e l’esercito americano, per liberarsene, iniziò a pagare generosamente per i loro scalpi. Fu così che Glanton si dedicò alacremente alla ricerca di indiani da uccidere: questa attività fece di lui un uomo ricco, ma “sfortunatamente”, eh che guaio, col tempo gli Apaches iniziarono a scarseggiare. Glanton non si perse d’animo e, dato che i controlli dell’esercito sulla reale provenienza degli scalpi erano per così dire “sommari”, iniziò a colpire anche i civili messicani ed a spacciare i loro scalpi per quelli degli Apaches appunto. Che gran carogna.
In Arizona, l'organizzazione Glanton è diventata partner di un traghetto presso lo Yuma Crossing del fiume Colorado, una traversata popolare per coloni e cercatori che viaggiano da e per la California durante la corsa all'oro in California.
L’episodio culminante avvenne quando lui e la sua banda rubarono alla tribù degli Yuma un’imbarcazione, poi invitarono un certo numero di persone a farci un giro: sarebbe stato l’ultimo viaggio per quegli sventurati. Una volta allontanatisi dalla riva, infatti, la “gita” si rivelò essere una trappola sanguinaria in cui Glanton ed i suoi uomini massacrarono tutti i presenti, messicani o americani che fossero.
A questo punto il governo di Chihuahua mise una taglia sulla sua testa. Anche la tribù degli Yuma, solitamente pacifica, a causa delle continue provocazioni subite decise che era giunto il momento di liberarsene. Furono proprio gli Yuma i primi a scovarlo: una notte si introdussero nel suo accampamento, fecero fuori i suoi compari e si trovarono tra le mani il capoccia ancora vivo: se siete impressionabili saltate la prossime due righe: senza troppe cerimonie gli tagliarono la gola nel sonno da parte a parte, ponendo fine una volta per tutte alla sua truce carriera. Era il 23 aprile1850. Ok, non gli spara Crane, ma entrambe le “fini” lo hanno sicuramente destinato ad un posto assai più caldo della Frontiera.
Ritratto di Tex in un tributo ad ALESSANDRO PICCINELLI
opera di Lorenzo Barruscotto
autografato dall'autore dei disegni di "Bandera!"
Alla fine dell'introduzione è lo stesso Zagor a chiedersi come egli stesso possa definirsi, in qualche modo soffiando sul fuoco delle domande interiori che ogni uomo con un minimo di cervello si pone ad un certo punto della sua vita, relativamente per lo meno in questo caso, al suo ruolo di amico degli indiani, costretto a lottare per far prevalere dei diritti che dovrebbero essere imprescindibili per ogni essere umano indipendentemente da colore della pelle, secondo il semplice principio “la mia libertà finisce dove inizia la tua, e viceversa”.
Così abbiamo la certezza che l'occasione che ha portato lo Spirito con la scure nuovamente in Texas è alquanto triste e che uno dei protagonisti dei primi due volumi di questa trilogia non compare se non in qualità di comparsa. Sorpresa alquanto amara, in effetti.
Gli stacchi che passano da una scena all'altra hanno il gusto del film western vecchio stile, che sia detto in veste di gran complimento, creando le premesse per far conoscere i vari attori e facendo gradualmente confluire i sentieri di chi è destinato ad incontrarsi, dopo che il lettore si è già fatto un'idea piuttosto precisa del carattere delle “stars” in questione. Inoltre se il summenzionato lettore non è di primo pelo, ha anche pensato a cosa potrebbe accadere proprio in quell'incontro, per non parlare dell'acquolina in bocca che si forma pregustando cosa possano combinare fianco a fianco due certi “tizzoni d'inferno” uniti in uno scopo comune.
Oltre all'abile gioco di salti tra un set e l'altro da attribuire all'esperienza di Mauro Boselli, che quando si immerge tallone compreso nel fiume del genere western senza voler a tutti i costi strizzare l'occhio a modernismi o peggio ancora senza permetteli da parte di autori ben meno considerabili, offre il meglio di sé, e così lo vorremmo sempre, a sostegno della storia ci sono le incrollabili fondamenta fornite dalle chine di Alessandro Piccinelli.
Sappiamo già che la mano del disegnatore riesce a creare vere e proprie poesie visive ma l'impegno evidentemente investito per questo speciale si vede in ogni tavola: le scene d'azione scorrono fluide, senza scatti e senza diventare confusionarie, quando l'atmosfera diventa meno concitata i dialoghi si incastonano alla perfezione tra i personaggi, gli interni o le pianure a seconda delle varie location(s). Col rischio di risultare monotoni, è imperativo focalizzare ulteriormente l'attenzione sui vari dettagli che sono creati talmente in modo, come dire, naturale da non farsi quasi notare, come non li si sottolinea in una pellicola al cinema se non si ha l'occhio allenato da ficcanaso professionista. I capelli smossi da una folata di vento, ogni frangia della giacca del giovane Tex che si muove con svolazzi studiati quando è a cavallo o quando cammina, i cavalli stessi che fanno guizzare i muscoli in uno sfrenato galoppo o placidi quando sono mansuetamente fermi al pascolo, gli interni di case, taverne o camere d'albergo che come per magia assumono la modalità 3D per farci entrare, quasi risucchiati, insieme ai protagonisti di una parte del racconto nonchè ultime ma non ultime le armi, sicuramente frutto di un lavoro di ricerca o forse dovremmo dire di verifica, dal momento che stiamo parlando di un veterano delle matite al servizio del West, riconoscibili da lontano e causanti un certo brivido che scorre lungo la schiena ai più “fondamentalisti” tra i lettori affezionati, rendendo distinguibili le Colt, senza S perché anche a me non piace “colz”, da altri modelli di sei colpi, lo stesso dicasi per i fucili, compatibili con l'epoca storica nella quale si svolge l'intera vicenda. Insomma, una vera goduria.
Non solamente i mustangs sono stati a lungo oggetto di studio ma evidentemente anche l'anatomia umana, come appare piuttosto evidente dalle proporzioni sempre rispettate anche nelle posture più complesse, per non parlare dei guerrieri indiani non coperti dagli abiti che rendono ancora più manifesto tale impegno.
Alessandro Piccinelli e Lorenzo Barruscotto in una foto del 2018
Ora “armeggiamo” un po' con la Colt Navy 1851, quella impugnata da Tex nell'albo.
La Colt Revolving Belt Pistol o Navy Pistol, a volte erroneamente chiamata "Colt Revolving Belt Pistol of Naval Calibre" è un revolve progettato da Samuel Colt tra il 1847 e il 1850. Colt chiamò prima questo revolver il modello Ranger Size ma la designazione "Navy" prese rapidamente il sopravvento.
Dopo la guerra civile, le pistole che utilizzavano cartucce metalliche fisse divennero ampiamente utilizzate. La Colt Navy rimase in produzione fino al 1873, venendo sostituita nella linea Colt con quella che sarebbe diventata una delle pistole più famose del produttore, vera icona della conquista della Frontiera e del genere western, la Single Action Army (nota anche come Peacemaker, la tipica calibro 45).
Il revolver Navy calibro 36 a sei colpi era molto più leggero delle contemporanee Colt Dragoon sviluppatesi dai vecchi modelli Walker calibro 44 risalenti a qualche anno addietro, che, date le loro dimensioni e peso, erano generalmente trasportati in fondine da sella. È una versione ingrandita della Colt Pocket a percussione calibro 31, tutti però sono un discendente meccanicamente migliorato e semplificato della prima Colt Paterson del 1836. Come implicava la designazione della fabbrica, il revolver della Marina era di dimensioni adeguate per essere trasportato in una fondina da cintura. Divenne molto popolare in Nord America al momento dell'espansione occidentale ma fu conosciuta anche nel nostro Continente.
Il cilindro originariamente era inciso con una scena della vittoria della Marina del Texas nella battaglia di Campeche, avvenuta il 16 maggio 1843. La Marina, Navy per l'appunto, aveva acquistato il precedente “Colt Paterson Revolver”, ma questo fu il primo grande successo di Colt nella pistola commercio anche perché poteva essere utilizzata co maggiore maneggevolezza anche a bordo.
Il meccanismo è ad azione singola cioè si deve alzare il cane per fare fuoco
La canna di 19 cm era rigata a sezione ottagonale il che garantiva una maggiormente corretta traiettoria del proiettile. La precisione sulla quale si poteva contare usando tale arma era notevole, anche se penalizzata dai mirini relativamente piccoli e di difficile inquadrabilità per i neofiti visto che la tacca di mira era ricavata sul cane. La denominazione “Navy”, Marina, le venne data dallo stesso Colt pensando proprio alla sua adozione da parte della Marina degli Stati Uniti ma la pistola fu adottata ebbe un successo formidabile anche e soprattutto in ambito civile. Però moltissimi esemplari furono acquistati anche dall'esercito. Samuel Colt aprì una fabbrica anche a Londra, sulle rive del Tamigi per la produzione non soltanto della "Navy" ma anche della “Pockett”, altro modello ben conosciuto. Tali armi vennero esposte alla mostra del "Crystal Palace" nel 1851.
La produzione di nuove Navy terminò con l'introduzione delle cartucce metalliche che necessitavano una struttura più robusta ma per svariati anni furono ancora presenti sul campo vari tipi di modelli detti "di transizione", prima che sua maestà facesse il proprio ingresso, vale a dire prima che venisse prodotta la "Colt Single Action Army detta Frontier, modello1873, la ben nota Peacemaker. Ma prima di questo, intorno al 1860, la "Navy" fu rinnovata in alcune sue parti. Contemporaneamente fu introdotto anche il modello "Army", una “sorella maggiore”, leggermente più grande e calibro 44, che sostituì definitivamente la "Dragoon", ormai superata.
Il caricamento avveniva, in quella vera, versando la polvere da una fiaschetta in una camera di scoppio, poi posizionandovi sopra la pallottola e pressando bene la palla nella camera carica. Qualche anno dopo l'uscita della Colt Navy, apparvero delle cartucce in carta combustibile già provviste di carica predosata e ciò ridusse di molto i tempi di ricarica. Ben presto apparvero cartucce di carta simili a quelle usate dai fucili ad avancarica, con diversi caricamenti. La guerra civile americana fu un “ottimo” banco di prova per la Navy, apprezzata dai soldati per la sua praticità ed assai distante dal le pistole e dai fucili ad avancarica a colpo singolo che invece avevano fatto da padroni nei conflitti precedenti.
Famosi utilizzatori di Colt Navy furono per esempio Wild Bill Hickok, Buffalo Bill Cody, John Henry Holliday, Robert E. Lee, Ulysses S. Grant, "Bigfoot " Wallace, John "Rip" Ford, "Sul" Ross e la maggior parte dei Texas Rangers prima della guerra civile. L'uso è continuato anche molto tempo dopo l'introduzione dei revolver a cartuccia più moderni.
Pensate che perfino l'Impero ottomano usò il revolver fino alla guerra russo-turca del 1877-78 anche se era piuttosto antiquato rispetto allo Smith & Wesson dei Russi.
Il personaggio di Clint Eastwood ne “Il buono, il brutto e il cattivo” usa una versione convertita proprio di questa Colt.
La Colt Navy è è la pistola di Zagor sebbene la sua presenza sia anacronistica in quanto l'epoca in cui è ambientato il fumetto precede l'invenzione della Colt di una quindicina d'anni. Inoltre anche in Zagor l'arma non viene caricata da davanti al tamburo, bensì da dietro, come nella Colt Single Action del 73.
Per inquadrate temporalmente la vicenda dell'albo potremmo fare un discorso parallelo seguendo le varie tappe costituite dai miglioramenti delle armi da fuoco. Ad esempio il 1866 è stato l'anno che ha dato il via alla elaborazione del Winchester, discendente diretto del famoso fucile “Henry” imbracciato anche da Tex durante la guerra. Facile che lo impugni anche “qui”. Amichevolmente definito “Yellow boy”, il modello del Winchester a ripetizione è diventato un'icona dei western di ogni tipo. Il nomignolo gli era stato rifilato per via del castello della culatta in ottone che gli conferiva quella colorazione giallastra. Mentre fu tra il 1873, anno di produzione anche della sei-colpi preferita dai Rangers nelle storie recenti, ed il 1876 che la stessa arma venne distribuita con la culatta in acciaio, quindi non più colorata, più resistente e pesante, a cui si erano apportate delle modifiche tra le quali la compatibilità fra le pallottole: scegliendo il giusto calibro potevano divenire intercambiabili le munizioni del fucile modello 76 e della Colt “Single Action", la “nostra” fidata Frontier.
Andando a ritroso troviamo le già menzionate Colt Army calibro 44 (1860) e la Colt Navy (1851), volendo andare più indietro c'era stata la Walker (1847) chiamata così non per Chuck Norris ma per un collaboratore di Samuel Colt. Ormai direi che coi questi calcoli ci siamo fatti un'idea piuttosto precisa.
Bandera (sì, in spagnolo vuole proprio dire bandiera) è il capoluogo della contea di Bandera County, Texas, nella regione delle Texas Hills, che fa parte dell'altopiano di Edwards. La popolazione era 857 al censimento del 2010. Non una metropoli.
Si definisce la "Capitale mondiale del cowboy". Il Frontier Times Museum, fondato da J. Marvin Hunter e intitolato alla rivista “Hunter's Frontier Times”, si trova a Bandera di fronte alla First Baptist Church.
Un visitatore che passi da quelle parti può vedere un cartello sulla strada principale di fronte ai vigili del fuoco che afferma che Bandera è stata fondata da immigrati cattolici polacchi dall'Alta Slesia. La chiesa cattolica di San Stanislao fu costruita da quegli immigrati ed è una delle più antiche del Texas. Molti dei residenti discendono da quegli originari immigrati, pare.
Esistono diverse storie sull'origine del nome. Si dice che nel Diciannovesimo secolo una bandiera fu posta in cima ad un sentiero che venne chiamato Bandera Pass, poiché bandera era la parola spagnola e polacca per bandiera.
Bandera si trovava sulla Great Western Cattle Trail, durante la seconda metà del XIX secolo.
Se vi interessa questo è il sito ufficiale della cittadina dove si parla anche di tutti gli eventi che la caratterizzano: https://www.banderacowboycapital.com .
James Buckner "Buck" Barry nacque il 21 dicembre 1821 nel New River, area della contea di Onslow nella Carolina del Nord. La sua infanzia differiva considerevolmente dalla maggior parte dei bambini della sua epoca e della sua zona perchè ricevette una buona educazione per un ragazzo di campagna dei primi anni del 1800.
Nell'aprile 1845 giunse in Texas nella fiorente città di Jefferson e presto si unì ad un gruppo di giovani avventurieri diretti a San Antonio. Lì divenne membro della compagnia dei Texas Rangers guidata dal Capitano Jack Hays. Uno dei loro compiti era ributtare l'esercito messicano fuori dal Texas. La voce si era diffusa in tutto lo Stato: i Messicani aveva invaso il Texas per prendersi proprio San Antonio, pessima idea, e reclamare l'area della Nueces Strip. Questa fascia di territorio era la terra compresa tra i Nueces e il Rio Grande.
Leader naturale, nel 1849 Barry si candidò e fu eletto sceriffo di Contea di Anderson. Dopo aver scontato due mandati, rinunciò all'ufficio e si candidò alla carica di tesoriere di contea. Fu eletto nel 1882.
Con lo scoppio della Guerra tra gli Stati, Barry ancora una volta rispose alla chiamata alle armi. Il 7 maggio 1861 si arruolò nella Confederazione in servizio nel 1° reggimento del colonnello Henry McCulloch, nei fucilieri a cavallo del Texas. Scontrandosi anche con i pellerossa che ne approfittarono per assestare colpi ai bianchi già in guerra tra loro, continuò a servire
con onore fino alla fine della guerra. Nel 1865, aveva il grado di colonnello.
Lui e molti dei suoi compagni ex Rangers continuarono a combattere i predoni indiani
e fuorilegge. Ma non fu tutto ciò che Barry fece dopo la guerra. Nel 1847, aveva sposato Sarah Aplis Matticks. Dalla loro unione nacquero sei bambini, di cui solo tre sopravvissero alla loro giovinezza. Nel 1862 Sarah morì. Nel luglio 1865, sposò Martha Ann Searcy che gli diede altri quattro figli. Nel 1898 quando si candidò di nuovo, per la legislatura dello stato del Texas. Ma
Il tempo di Barry era passato e stavolta non ottenne la carica.
Il Texas Ranger Buck Barry morì il giorno del suo 85esimo compleanno, il 16 dicembre 1906. E' sepolto in una tomba che lui stesso aveva scavato nella solida roccia su una collina che domina a circa un miglio di distanza la sua casa vicino a Walnut Springs, in Texas.
John Wayne in "Sentieri Selvaggi": ritratto di Lorenzo Barruscotto.
Non si può non parlare di Comanches dal punto di vista dei fatti realmente accaduti, dato che la storia vi si intreccia come un'edera fino quasi a non consentire di distinguere la fantasia da ciò che è divenuto veramente parte dei libri di storia, per l'appunto.
Non è certo la prima volta che veniamo in contatto con gli appartenenti a questo popolo ed infatti ho parlato approfonditamente di loro, di alcuni dei capi più famosi o influenti, di eventi e trattati con i bianchi in occasione di altre recensioni passate. Qui di seguito ho riunito la maggior parte delle informazioni e delle nozioni storiche che ho raccolto nel corso delle mie ricerche per le varie recensioni passate. Se volete saltare a piè pari, non essendo interessati al discorso puramente storiografico, vi basta scorrere verso il basso, vi indico io dove riprendere la lettura relativa all'albo ma durante questa piccola puntata di “Quark” ci sono riferimenti allo Speciale che ho inserito appositamente, non avendo soltanto copiato ed incollato le cose che avevo già scritto.
Questi sono i collegamenti diretti, ognuno è il suo link che riporta sempre a questa Rubrica, agli articoli che sono stati principalmente ripresi:
http://fumettodautore.com/index.php/magazine/osservatorio-tex/5536-recensione-analisi-e-saggio-sul-texone-numero-33-i-rangers-di-finnegan : recensione di "I Rangers di Finnegan"
http://fumettodautore.com/index.php/magazine/osservatorio-tex/5614-cartonato-l-ultima-missione-recensione-analisi-approfondimenti : recensione di "L'ultima missione"
http://fumettodautore.com/index.php/magazine/osservatorio-tex/5503-recensione-maxi-tex-nueces-valley : recensione di "Nueces Valley"
https://www.youtube.com/watch?v=N4mg1LNT58Q : "I Rangers del Texas" - lettura di "Una voce per te"
L'odierna Nazione Comanche, estremamente ridotta nel numero dei suoi membri, risiede ai nostri giorni sparsa tra Oklahoma, Texas, California e New Mexico. Un dettaglio che ha colpito la mia innata ficcanasaggine è che pare che non tutti gli storici siano concordi neanche sull'origine del nome stesso della tribù: una delle ipotesi consiste nel sostenere che la parola “Comanche” sembri essere una sorta di trasposizione in lingua spagnola di un termine nativo, probabilmente “Kohmahts” il quale sostanzialmente verrebbe tradotto con “nemico” o “combattente” oppure “straniero”. Anche al nome “Apache” veniva attribuito un significato simile.
A occhio direi quindi che si trattava in entrambi i casi di gente che non era il caso di far arrabbiare.
Provenienti da oltre le Montagne Rocciose, non si tratta di un popolo originario delle grandi pianure, la cosiddetta Comancheria divenuta "casa loro", dove però si stabilirono in tempi molto più antichi del “nostro” vecchio West, e già dal 1700 si hanno prove e notizie di incursioni di bande di guerrieri ai danni di insediamenti isolati con uno scopo su tutti gli altri: procurarsi dei cavalli, sostanzialmente ancora sconosciuti ad altre tribù. Questi pellerossa erano infatti noti per le loro grandissime doti di allevatori di mustangs e cavallerizzi oltre che per essere indomiti guerrieri, anche tra gli indiani dei territori confinanti.
Si possono distinguere cinque rami principali nella grande Nazione Comanche: i Quahadi, cioè le Antilopi nelle fila dei quali si riunirono anche diversi appartenenti ad altri ceppi quando divennero “uniti ed irriducibili”, i Nokoni (ramo d'origine del padre di Quanah anche visto il nome, Peta Nocona), i Kotsoteka, anch'essi citati in precedenza, famosi cacciatori di bisonti con lance e frecce, come anche molti altri membri di questo fiero popolo rosso, i Penateka e gli Yamparika.
I Comanches al pari di diverse tribù, tra cui ad esempio i “nostri” Navajos, si riferivano a loro stessi chiamandosi “il popolo degli uomini” ed il loro idioma sembrerebbe addirittura risalire nei secoli alla lingua azteca ma molte delle fonti che ho consultato lo ritengono una branca del dialetto Shoshone. Perciò dovrebbe esserci un certo grado di parentela tra queste due nazioni, risalente ad almeno tre o quattro secoli fa.
E' un fatto storico che non furono pochi i “prigionieri di guerra” rapiti dai guerrieri Comanche nelle loro incursioni e razzie, non sono soltanto argomenti per romanzi e pellicole hollywoodiane. E proprio dai prigionieri sarebbero potute provenire alcune "lezioni linguistiche".
Uno di questi casi, è quello di Cynthia Ann Parker, rapita nel 1836 durante una razzia in Texas, dalle parti di un villaggio fortificato, evidentemente non troppo bene, di nome Fort Parker. Non fu la sola ma a noi interessa lei perché, adottata dalla tribù, venne addirittura data in sposa ad un capo dei Quahadi Comanches da cui ebbe dei figli. Ed indovinate come si chiamava uno dei tre? Bravi, ormai si sa, uno era proprio Quanah. Cynthia, il cui nome indiano era divantato Naduah, o Narua in lingua Comanche, fu nuovamente riportata tra la “gente civile” ad Austin dove morì senza riuscire a rivedere i figli rimasti nel loro villaggio natale, tra gli indiani. Quindi l'allora piccolo Quanah rimase orfano di entrambi i genitori, il padre Nocona era anch'egli caduto, e certamente non sviluppò una naturale simpatia verso quelli che non proprio a torto considerava gli invasori della sua terra. Poco importa che si trattasse di messicani o texani, sempre invasori erano.
Il valore di Quanah comunque gli permise di superare le mille difficoltà a cui andò incontro e lo fece diventare il capo della sua gente, i Quahadi Comanches, il cui territorio si estendeva fino ai monti Wichita. Inutile dire che la sua tribù era una delle più bellicose ed accanite nella guerra contro i "pindah lickoy", cioè gli uomini bianchi. In ogni caso il capo pellerossa non era un insensato pazzo assetato di sangue. Beh, desideroso di vendetta e quindi non proprio incline a comportarsi come un chierichetto se si trovava un nemico tra le mani lo era stato in gioventù, visti anche i torti subiti dalla sua gente, ma non si può certo affermare che si comportasse a guisa di un fanatico senza cervello e dopo aver dovuto deporre le armi non smise di essere una saggia guida per il suo popolo, promuovendo una certa convivenza al fine di proteggere gli interessi del popolo Comanche, imparando così bene l'arte della diplomazia e la mentalità dei "vincitori" tanto che potremmo quasi affermare che divenne un proprietario terriero ed un latifondista, sfiorando l'idea di diventare un rappresentante indiano, una sorta di ambasciatore, presso il “Grande Padre Bianco” di Washington. Non guardatemi così, non mi sono scolato del torcibudella andato a male. Secondo le informazioni che ho incrociato intrattenne amichevoli rapporti perfino con il presidente Roosevelt, Theodore (26esimo) non Franklin Delano (32esimo), conosciuto in uno dei suoi numerosi viaggi all'Est. Ed il presidente ricambiò le visite, andando anche a caccia insieme al suo “quasi collega” dalla pelle rossa. Appare quindi quanto meno buffo che ci siano diverse cose che ignoriamo sul capo Quanah Parker, prima fra tutte la data di nascita e quindi l'età corretta. Sappiamo solo che morì nel 1911. Ci sarebbe da ridire a seconda dei due fronti, bianchi o indiani, anche sulla veridicità del suo nome. Sembra che suo padre lo chiamasse Aquila e che l'aggiunta del cognome della madre, Parker, non venne ovviamente utilizzata tra i suoi guerrieri.
Ci sono dei dubbi anche su chi abbia ucciso suo padre, Peta Nocona. Per diverso tempo “the kill”, cioè "il colpo" fu attribuito al governatore del Texas dell'epoca, un certo Ross, ma pare che si trattasse solo di vanteria da ubriaco. Cercate delle corrispondenze con lo Speciale, non quadra proprio tutto perché non sarebbe possibile, ma i nomi sono quelli.
Sembra proprio che quando madre di Quanah venne “liberata”, il marito neanche fosse presente al villaggio. Insomma, un altro caso in cui leggenda e realtà si pestano i piedi tra loro. Per tornare a parlare di ciò che veramente ci interessa, quel che è certo è che il padre di Quanah prima del figlio fu un importante capo Comanche.
Quanah Parker in una foto reperita in rete
Ma chi erano i Quahadi? Il loro nome come ho detto significa “Antilopi” e sono entrati nel mito come favolosi cavalieri capaci di compiere vere e proprie acrobazie sempre ovviamente montando gli animali a pelo, proteggendosi spesso con degli scudi di pelli o cuoio e riuscendo perfino a scagliare frecce da sotto il collo del cavallo lanciato al galoppo: furono senza dubbio temibilissimi guerrieri. In sostanza, secondo fonti storiche moderne, si trattava di quella parte di Comanche più irriducibili ai quali si unirono (o che già comprendevano) quei Kotsoteka, altrettanto agguerriti contro i bianchi, che ovviamente non volevano neanche sentire parlare di Riserve.
Oltre ai Rangers, i Comanches avevano altri nemici giurati: i cacciatori di bisonti colpevoli dell'indiscriminata distruzione di un'intera specie, ridotta senza paura di esagerare troppo nell'enfasi del termine, quasi all'estinzione. Bisogna anche dire che l'uccisione dei bisonti, da sempre mezzo di sostentamento principale dei guerrieri rossi, dalle pelli alla carne fino al grasso con cui si spalmavano il corpo per difendersi dal freddo e dalla polvere o per riti ed usanze tradizionali, rappresentò anche un modo per indebolire il nemico.
Una delle principali usanze della tradizione Comanche era l'uccisione del mustang che apparteneva ad un guerriero caduto in battaglia affinché il suo spirito potesse cavalcare nelle verdi praterie del Cielo.
Spesso effettuavano le loro razzie notturne quando c'era la luna piena, che consentiva una certo grado di visibilità. E' proprio da ciò che deriva il termine “Luna Comanche” attribuito alle notti di luna piena per l'appunto, resa lugubre e spettacolare allo stesso tempo pare dai riflessi rossastri causati dalla luce solare sulla terra del deserto, una “luna di sangue” e quando appariva nella volta celeste alcuni popoli pellerossa credevano si potessero realizzare anche brutti incontri con cattivi spiriti. In realtà i brutti incontri li facevano i poveracci che si vedevano soffiare intere mandrie di cavalli e che se avevano salvato la pelle, si ritrovavano con i ranch incendiati ed anche amici o parenti rapiti.
Essendo di natura nomade per via del fatto che seguivano gli spostamenti delle mandrie di bisonti a seconda delle stagioni, non vivevano in hogan come i Navajo ma nei teepee, le famose ed iconiche tende, che venivano rafforzate con fango e proprio pelli di bisonti per proteggerle dai forti venti che spesso spazzavano le praterie dove vivevano.
Tali pianure venivano chiamate Bad Lands, cioè terre cattive, il che non ci aiuta a considerarle un posto particolarmente ospitale. Tanto per complicarci la vita possiamo anche chiamare il cuore del territorio dei Quahadi “Llano Estacado”, letteralmente "pianura recintata" per via della presenza anche di mesas ed alture, una zona sul confine tra Texas e New Mexico, nella quale si erano stabiliti dopo aver spinto gli Apaches, i precedenti abitanti, in territori più meridionali. La regione divenne parte integrante della Comancheria, una vera e propria roccaforte che fornì anche un rifugio alle ultime bande di Kiowas e Comanches che si rifiutavano di arrendersi.
Non fu certamente un'impresa facile “convincere” questi valorosi, feroci e soprattutto liberi figli di Manito a trasformarsi in pacifici indiani delle Riserve.
Un famoso trattato stipulato tra Texas e Comanches o per meglio dire gli indiani delle grandi pianure, fu quello di Medicine Lodge del 1867. In realtà tale accordo prevedeva armistizi anche con altre tribù, cioè Apaches, Arapahos, Cheyennes e Kiowas, al fine di concordare le modalità di assegnazione proprio delle Riserve. Ma a causa del fatto che i territori previsti da accordi precedenti subirono “strane”ed imponenti riduzioni senza contare il rimangiarsi, sai che novità, da parte dei bianchi le promesse sul mettere un limite all'incontrollata attività dei cacciatori di bisonti, tali accordi non vennero ratificati e certamente non furono accettati da tutti i rappresentanti del popolo rosso. Perfino Sam Huston, quello vero, non quello di film o fumetti, ebbe a che fare con i guerrieri Comanches cercando di mettere un freno ai continui e violenti scontri in un clima di guerra praticamente continua. La loro parte, purtroppo ma inevitabilmente, la fecero anche le malattie (non sempre provocate volontariamente come accade per la tristemente nota epidemia di vaiolo che uccise la moglie di Tex) portate dai bianchi, tra cui proprio vaiolo ma anche colera, non insolite a quei tempi.
Dopo numerosi scontri ed esempi di brutalità motivata da entrambe le parti dal più radicato odio nei confronti degli avversari, le ultime tribù ribelli “saranno” sconfitte presso il Palo Duro Canyon. Solo nel 1876 iniziò la loro vita nella Riserva di Fort Sill. Abbiamo già visto dove si trova.
Si concludeva la cosiddetta “Guerra del Red River” segnando in pratica la fine dei conflitti contro gli indiani nelle grandi pianure.
Il valore dei Comanches non poteva avere la meglio sugli Sharps dei cacciatori bianchi.
Visto come andarono le cose nella realtà storica non appare assolutamente difficile comprendere, non intendo dire condividere, l'incolmabile baratro di livore ed avversione che, dall'altra parte del fosso, anche ogni texano provasse nei confronti dei “selvaggi che occupavano le loro terre”. Punto di vista del tutto opinabile, ma che giustificò la repressione pesante in molte azioni militari od operate dai cosiddetti “volontari”. Anche i Rangers, già normalmente non noti per le loro maniere posate, si trovarono spesso in prima fila nella lotta contro i pellerossa, anche perché uno dei principali motivi per cui era stato creato il Corpo, era proprio quello: difendere i coloni dalle incursioni indiane. Insomma, Rangers e Comanches erano come cane e gatto, con Winchester e lance al posto di unghie e denti. E non si limitavano a graffiarsi o a ringhiare: cercavano proprio di farsi a pezzi l'un l'altro. Come sempre accade in situazioni anche meno complesse di quella che ho tentato di descrivervi facendo un quadro dell'aria che tirava in quel tempo in Texas, purtroppo ci andarono di mezzo innocenti da entrambe le parti, e quando accadeva un fatto del genere, aveva come conseguenza il rendere sempre più lontana una vera e propria idea di pace e convivenza. Inoltre chiunque provasse a fare un passo in quella direzione veniva tacciato di tradimento e rischiava di fare una pessima fine, un po' come soffiare su un grosso falò dalle alte lingue di fuoco nel tentativo di spegnerlo. Risultato: l'incendio della guerra veniva costantemente rintuzzato.
E chi o cosa diavolo è un “comanchero”? So bene che per molti questa domanda equivale ad un'eresia però mi sento in dovere di buttare ancora un po' di fiato per chiarire il significato di questo termine.
Nonostante il nome possa farlo pensare, non si trattava unicamente di gente di origine messicana ma con questo appellativo si indicavano tutti i trafficanti senza scrupoli che smerciavano armi e whisky, solitamente entrambi di scadente fattura, agli indiani. Non stiamo parlando di trapper o uomini d'affari onesti che intrattenevano scambi con le tribù di diverse etnie, commerciando ad esempio in pelli, farina, tabacco o forniture utili e soprattutto legali. Il loro raggio d'azione comprendeva territori appartenenti agli stati di New Mexico, Arizona e Texas, in sostanza le zone delle grandi praterie ed il loro nome deriva dal fatto che, come dire, i principali “clienti” di questi biechi individui almeno in un primo tempo furono proprio i Comanches. Tali sporchi traffici includevano anche bestiame e cavalli, ovviamente di sicuro non acquistati regolarmente, e perfino prigionieri che venivano anche usati come moneta di scambio. Inutile sottolineare come questo tipo di “compravendita” soffiasse sulle fiamme della rivolta spingendo molte teste calde in cerca di gloria ad attaccare i coloni e compiere razzie al fine di ottenere merci valide per i loro alleati Comancheros, soprattutto se quelle bande puntavano ad aggiudicarsi fucili o acqua di fuoco. Bisogna comunque ammettere che libri e film hanno contribuito a confermare o “peggiorare” la comunque tutt'altro che candida fama di questi balordi, e tanto per citare un esempio, come non ricorrere al sempre mitico John Wayne, che interpreta un ufficiale dei Rangers nel famoso film “Comancheros” del 1961. Sembra strano ma le “rotte commerciali” solitamente seguite da questi tizi erano piuttosto conosciute, ricalcando "old trails” vale a dire piste seguite da coloni ai tempi di migrazioni in tempi precedenti i periodi delle lotta tra texani e pellerossa.
Si può dire che un colpo decisivo al periodo d'oro degli affari, cioè le guerre indiane soprattutto in Texas, venne assestato proprio quando Quanah Parker ed i suoi Quahadi si arresero alle giacche blu per poi, come abbiamo detto, essere assegnati alla riserva di Fort Sill, nei territori dell'Oklahoma.
Nella storia disegnata da Marcello “Fratelli di sangue” viene presentato come antefatto quello che avrebbe dovuto essere un inizio di trattative di pace e di riconsegna di prigionieri bianchi da parte dei Comanches, per lo meno una "fetta" dei ribelli, stanchi delle privazioni che le continue battaglie imponevano a donne e bambini dei loro villaggi, alla presenza del colonnello Stephen Austin, il "padre del Texas", comandante dei Rangers, presso San Antonio, Texas. Non temete, non intendo perdermi in un'ulteriore digressione per raccontare vita, morte e miracoli dei "vero Stephen" (anche perchè risulterebbe quanto meno ridondante fare una digressione partendo da una digressione ed inoltre sono certo che oramai molti di voi conoscono il ruolo che questo patriota giocò nella storia del suo Paese ma in ogni caso potete trovare qualche nota su di lui nel link inerente la storia del Corpo dei Rangers che ho allegato poche righe dopo la copertina dell'albo, più o meno un paio di vostri sbadigli fa) ma vi dico solo che la città di Austin, prende il nome proprio dal leader texano. Una sola donna superstite venne “restituita” dalla delegazione di guerrieri, motivando l'assenza di altri ostaggi con l'impossibilità di parlare per tutte le altre tribù della Nazione Comanche né di poter imporre decisioni ad altri capi. Non credo serva aggiungere che questo fa esplodere la furia dei texani e che il tutto si risolve in un violento scontro dove molti indiani mordono la polvere, praticamente quasi tutti tranne uno sparuto gruppetto che riesce a fuggire per tornare alla Comancheria e riferire l'accaduto.
Il medesimo episodio viene narrato sotto forma di flashback anche nel Texone “I Ranges di Finnegan”: Muguara, capo dei Penateka Comanches vuole la pace e come segno di buona volontà riporta una “squaw bianca”, purtroppo la sola a non aver ceduto ai patimenti della dura vita presso i pellerossa. Nella versione texiana come rappresentanti dei bianchi ci sono anche alti funzionari dell'esercito, tra cui un certo Colonnello Cook, raffigurato come un tipo particolarmente sanguigno, probabilmente, nelle vesti di portavoce lo stesso Austin (mi sento di affermare, anche se non potrei giurarlo, che i disegni di Majo sembrano riprodurre piuttosto fedelmente i tratti somatici del colonnello, avendoli confrontati con alcuni dipinti e vecchie stampe che lo raffiguravano) e sempre probabilmente anche Matthew Caldwell, uno dei firmatari della Dichiarazione di indipendenza del Texas e uomo di fiducia presidente dello Stato all'epoca dei fatti, anch'egli nominato nel Texone, Mirabeau Lamar, il quale lo rese in seguito capitano di una squadra di Rangers per difendere la frontiera con il Messico. Si tratta di “capi bianchi” non proprio di larghe vedute, i quali invece di gettare acqua sul fuoco, pare quasi che si ostinino a non capire le ragioni degli “ospiti”, comprensibilmente ostiche per una mentalità non indiana, anche di questo bisogna rendersene conto, snocciolando però una provocazione dopo l'altra. L'esito è lo stesso: molti Comanches uccisi nel furioso scontro a fuoco che ne deriva, altri presi prigionieri ed un pugno di guerrieri che si fa largo con le armi e riesce in un primo tempo apparentemente a fuggire.
Prima ho detto che la conclusione dello scontro non poteva che essere la medesima: infatti non si tratta di “una” storia ma ancora una volta siamo davanti alla Storia, quella vera. Nello specifico, viene reinterpretato piuttosto fedelmente un episodio noto come “Council House Fight” o anche “Council House Massacre”, il che rende meglio l'idea, avvenuto nel marzo del 1840, come detto, a San Antonio. La negoziazione aveva lo scopo di definire i confini della Comancheria mentre i texani pretendevano la restituzione di tutti i prigionieri catturati in anni di razzie e di guerra. Quasi l'intera delegazione venne annientata, tutti i capi presenti uccisi. La prigioniera riportata si chiamava davvero Matilda Lockhart, come afferma lei stessa nello speciale, una ragazza di meno di vent'anni. Civili armati si unirono alla battaglia che purtroppo causò la perdita anche di vite tra donne e bambini che la delegazione aveva portato con sé: si trattava delle loro famiglie. Da documenti ufficiali sembra che nella realtà storica solamente un guerriero sfuggì all'accerchiamento, altra perfetta attinenza con il racconto, riuscendo a lasciare San Antonio mentre anche coloro che erano scampati ai primi spari vennero colpiti uno dopo l'altro. Questo episodio, considerato (fate un po' voi) un tradimento, dal momento che nella cultura Comanche un “concilio” era ritenuto sacro - che selvaggi questi selvaggi, non è vero? - diede il via ad un sempre più sanguinoso botta e risposta a base di attacchi, torture e scontri.
Quell'oltraggioso evento scatenò anche il “great raid” del 1840 che costò morti e distruzione alle città di Victoria e Linnville, una piccola località portuale, in Texas. Quasi 500 guerrieri vennero impiegati in queste incursioni, dozzine di coloni morirono e molti altri videro le loro case date alle fiamme e rase al suolo. Anche il capo di guerra di tale "rivolta" viene fugacemente chiamato in causa nel Texone: Buffalo Hump.
Il tutto ebbe fine nella Battaglia di Plum Creek dove Rangers (anche quelli di Caldwell) e miliziani si scontrarono con i cavallerizzi Comanches. Pare che all'incirca un centinaio di guerrieri rimase sul terreno a fronte di meno di una quindicina di bianchi, ma il numero probabilmente fu maggiore perchè quello scontro fece momentaneamente calare il sipario sugli attacchi di rappresaglia, però sembra che le perdite tra gli indiani avrebbero potuto essere anche più ingenti se i texani non si fossero interessati anche a recuperare tutte le refurtive rubate durante le incursioni.
Il termine “Indian Territory” ha origine con la colonizzazione britannica del Nord America, quando nel 1763, una legge reale stabilì i confini della colonizzazione europea ad est dei Monti Appalachi, soffiando ulteriormente sul falò del malcontento tra i coloni-sudditi inglesi. Con l'indipendenza degli Stati Uniti, dopo il 1783 il nuovo territorio indiano fu spostato ad ovest del fiume Mississippi (questo si intende quando si dice “West” in effetti) e vi furono trasferite le numerose tribù che erano state alleate degli Inglesi e che avevano continuato a resistere all'avanzata dei coloni (per due volte gli "invasori" avevano tentato di occupare l'Ohio e per due volte furono ricacciati dai nativi, finché questi vennero debellati nella battaglia di Fallen Timbers nel 1794 e dovettero accettare il Trattato di Greenville, a loro ovviamente sfavorevole, obbligandoli a ritirarsi oltre il Mississippi).
Ma con l'avanzare della colonizzazione bianca furono individuati nuovi territori indiani sempre più ad ovest, finché si arrivò a determinarne uno “nuovo” che venne gradualmente ed abbondantemente ridotto a quello che oggi è lo Stato dell'Oklahoma. Nel 1890, divenne solamente l'area orientale di questa zona. I cittadini del territorio indiano provarono ancora nel 1905 ad ottenere l'annessione agli Usa come Stato di Sequoyah, ma la proposta venne rigettata dal Congresso che non desiderava due nuovi Stati, il Sequoyah e l'Oklahoma. Con l'istituzione dell'Oklahoma ufficiale nel novembre 1907, il Territorio Indiano si estinse. Nello slang militare USA, con "Indian country" si definisce un'area dove le truppe si aspettano di incontrare il nemico (un uso questo che divenne popolare durante la guerra del Vietnam).
E dire che perfino il nome Oklahoma deriva dalle parole Choctaw “okla homma”, che letteralmente significa "terra delle persone rosse". Allen Wright fu il primo a suggerire il nome nel 1866, durante i trattati con il governo federale riguardo alle sorti del Territorio Indiano. Equivalente proprio alla parola inglese “indiano”, okla humma era usata dalle tribù per descrivere semplicemente le popolazioni che vivevano nella zona. In seguito, Oklahoma divenne di fatto il nome assegnato a tutto il territorio, e fu adottato ufficialmente nel 1890.
La Comancheria (Nʉmʉnʉʉ Sookobitʉ, "Comanche land") è la regione di New Mexico, Texas occidentale e delle aree vicine occupate dai Comanches prima degli anni 60 dell'Ottocento. L'area era definita meno specificamente di quanto si possa pensare ma generalmente veniva descritta come delimitata a sud dalla faglia dei Balcones, appena a nord di San Antonio, in Texas, proseguendo verso nord fino ad un'area che comprendeva i fiumi Cimarron e Arkansas superiore, a est delle alte Montagne Rocciose. Era delimitata a ovest dalla dorsale Mescalero e dal fiume Pecos, proseguendo verso nord lungo il confine degli insediamenti spagnoli di Santa Fe de Nuevo México. Nel caso qualcuno fosse appassionato di geografia, oggi questa regione comprende il Texas occidentale, il Llano Estacado, il Texas Panhandle, l'altopiano di Edwards, il New Mexico orientale, l'Oklahoma occidentale tra cui l'Oklahoma Panhandle e le montagne Wichita, il Colorado sud-orientale e il Kansas sud-occidentale.
Se vi dico Potsʉnakwahipʉ o anche Pochehaqueip voi cosa mi rispondete? No, non sto delirando. E' il nome del grande condottiero e capo di guerra Penateka Comanche noto nella nostra lingua come Gobba di Bisonte (Buffalo Hump in inglese).
Era determinato ad agire per rivendicare i diritti del suo popolo e, soprattutto dopo l'ultimo ignobile tradimento da parte dei coloni bianchi che sterminarono una delegazione inutilmente protetta dalla bandiera bianca (il tristemente famoso già spiegato “Council House Fight” avvenuto a San Antonio), voleva farlo con le armi. Dopo aver riunito le varie bande di guerrieri che agivano isolate, guidò la cosiddetta Grande Incursione (the Great Raid) del 1840.
Buffalo Hump ed altri capi come quello dei Quahadi Casacca di Ferro (Iron Jacket, chiamato così per via della cotta di maglia risalente ai Conquistadores e tramandata forse per alcune generazioni dato che altri condottieri Comanches avevano avuto lo stesso nome ed indossato un simile indumento in epoche precedenti in battaglia, e che in effetti gli forniva una certa protezione almeno contro i colpi delle armi meno potenti) si riunirono in un'enorme spedizione che annoverava almeno 400 guerrieri (c'è chi dice anche che superassero le 500 unità), con mogli e figli al seguito. I bersagli? Gli insediamenti tra Bastrop e San Antonio.
A metà luglio erano pronti e Comanches di tutte le tribù (Nokoni, Kotsoteka, Yamparika e Quahadi, ormai li conosciamo) stavano già cavalcando per il Texas. Complessivamente un migliaio di Comanches potrebbero essere partiti dal Texas occidentale per il Grande Raid, fino a raggiungere le città di Victoria e Linnville sulla costa. Victoria venne attaccata il 6 agosto. Sebbene i Rangers avessero trovato le tracce di un gigantesco gruppo di guerra proveniente dal Texas occidentale e stessero seguendo i Comanches in arrivo, parte dei guerrieri si divise dal grosso della spedizione per assalire la cittadina di Victoria riuscendovi prima che i cittadini potessero essere avvertiti. Un residente ha scritto: "Noi di Victoria siamo rimasti sbalorditi dall'improvvisa apparizione di seicento (numero non verificato e non veritiero, ma erano tanti) Comanches a cavallo nell'immediata periferia del villaggio". I cittadini riuscirono ad organizzare una resistenza ed i pellerossa si portarono fuori tiro ma solo dopo aver ucciso una dozzina di abitanti. L'intento degli “invasori” era di raccogliere cavalli e saccheggiare le città costiere, che non erano così preparate come quelle del Texas centrale.
Dopo l'attacco a Victoria, i Comanches proseguirono verso Linnville accampandosi la notte sul Placido (ora Placedo) Creek, a circa dodici miglia proprio da Linnville. L'8 agosto 1840 circondarono il piccolo porto, che all'epoca era il secondo più grande della Repubblica del Texas, ed iniziarono a depredare i negozi e le case. E' passato alla storia come il sacco di Linnville: ora del villaggio non rimane nulla. Rendendosi conto che gli indiani delle pianure non avrebbero avuto alcuna esperienza di lotta sull'acqua, i cittadini si salvarono rimanendo a bordo di piccole imbarcazioni e di una goletta capitanata da William G. Marshall (bel nome, vero?), che era all'ancora nella baia.
Il chiamiamolo “contatto” tra le milizie texane, i Rangers ed i Comanches avvenne presso Plum Creek, vicino alla città di Lockhart, esatto, come Matilda, sempre in Texas, il 12 agosto 1840. I Comanches, che normalmente combattevano come una cavalleria leggera, veloce e letale, furono trattenuti considerevolmente dai muli, più lenti, sopra i quali caricarono i bottini. Senza contare i prigionieri. Sebbene solo una dozzina di corpi siano stati effettivamente recuperati, i Texani riferirono nei rapporti di aver ucciso un centinaio di Comanches. Potrebbe non essere solo una vanteria: è assai probabile che i nemici abbattuti siano stati di più perché i Comanches avevano l'uso di recuperare i corpi dei guerrieri deceduti in battaglia. In ogni caso le perdite del gruppo di guerra si rivelarono probabilmente superiori alle “aspettative” dei capi, a fronte di un morto tra i Texani. Ma l'avidità dei loro nemici salvò stavolta la pelle agli indiani: quando i miliziani scoprirono i lingotti rubati, molti abbandonarono la lotta, per dividersi i quattrini e tutto il resto. Il Great Raid del 1840 fu la più grande invasione indiana nelle città bianche nella storia di quelli che ora sono gli Stati Uniti, anche se tecnicamente quando si verificò avvenne nella Repubblica del Texas che non faceva ancora parte degli USA.
Comunque Buffalo Hump non smise di compiere razzie almeno fino al 1856: eh sì, se l'era cavata ed anche con un considerevole mucchietto di beni e di cavalli rubati. I prigionieri catturati furono "solo" una trentina mentre si parla di più di trecento (c'è chi dice quattrocento) vittime complessive del Raid. Determinanti si dimostrarono le nuove per l'epoca Colt Paterson in dotazione ai Rangers, utilizzare per la prima volta, però i Comanches a prescindere dall'incerto conteggio dei morti, evidentemente considerarono l'azione una vittoria tale da esaltare, e non sicuramente sminuire, il prestigio dei sakem.
Nell’agosto 1843 i Comanches ed i loro alleati Kiowas stipularono un accordo di tregua coi Texani e nell’ottobre Penateka, Nokoni, Kotsoteka e Quahadi (si può scrivere anche Qwahadi a proposito), interessati alla pace col Texas purché fosse concordato un confine inviolabile (beh, loro ci speravano) della Comancheria, il territorio in cui vivevano, accettarono di incontrare il Presidente Sam Houston (ancora e proprio lui) per definire un trattato. Potsʉnakwahipʉ e altri parteciparono alle trattative, dimostrando una fiducia inaspettata in Houston che era un leader carismatico rispettato anche dai suoi nemici, evidentemente.
Ma perché tutto questo?
Perchè Texani e Comanches si odiavano, irreparabilmente, avendo collezionato fatti di sangue e tradimenti reciproci negli anni. Un esempio? L'ho citato poco fa: il Council House Fight (anche se più che “fight” cioè scontro bisognerebbe chiamarlo massacro), in cui i funzionari della Repubblica del Texas tentarono di catturare e fare prigionieri i 35 capi Comanche che erano andati per negoziare un trattato di pace, uccidendoli insieme a due dozzine di loro familiari e seguaci. In quella occasione era prevista la restituzione di ostaggi ma venne portata solo una giovane donna (la sedicenne Mathilda Lockart). Per vendicare iò che i Comanches consideravano un amaro tradimento da parte dei Texani (effettivamente, fate voi), il capo Buffalo Hump e gli altri si sentirono legittimati ed in dovere di vendicarsi.
Gli anni 1856-58 furono particolarmente feroci poiché i coloni continuarono a invadere la Comancheria. Aravano i terreni di caccia e i Comanches perdevano i pascoli per le loro mandrie di cavalli. Inoltre, gli Stati Uniti avevano fatto molto anche per bloccare le tradizionali incursioni dei Comanches in Messico. Inevitabilmente, questi ultimi reagirono con una serie di sanguinose incursioni contro i coloni. Era, e non solo "era", un mondo spietato, dove solo i Nostri sono i buoni perché sono fatti di carta e sogni: nella realtà l'uomo sa essere diabolico assai più del peggiore “cattivo” del più cruento film horror.
Solo un esempio, purtroppo a volte è necessario guardare l'altra faccia della medaglia, ed il West ne aveva una sporca, feroce e cruenta.
Nel Maggio 1858, occhio alla data... dato che è l'anno in cui è ambientato il nostro albo, il capitano John Ford con le sue cinque compagnie di Rangers, attaccò un villaggio sul fiume Canadian. I Comanches persero 76 uomini e si ritirarono. Autunno 1858: il maggiore Van Dorn, alla testa di 200 militari e 135 esploratori, attaccò il villaggio di Gobba di Bisonte - rieccolo, capite perché ne ho parlato in modo più profuso, ora? Non si può capire una guerra solo con tre paroline - sul fiume Rush.
Ma prima c'era stata la spedizione di Antelope Hills (gennaio-maggio 1858). Fu una campagna guidata dal Secondo Cavalleria federale contro le tribù Comanche e Kiowa dentro la Comancheria. La causa della spedizione era dovuta alle incursioni dei Comanches nei territori texani. Ovviamente, era un circolo vizioso. Peta Nocona e Iron Jacket guidarono i pellerossa contro le 220 unità combinate dell'esercito e di tribù alleate quali Tonkawas e Shawnees. Lo scopo di tale conflitto voleva essere una certa stabilizzazione della situazione dall'Oklahoma al Texas per gestire meglio le incursioni proprio dei Comanches. Mah, si combatteva il fuoco con la benzina. Comunque per questo motivo ufficiale gli Stati Uniti ottennero l'aiuto delle tribù nemiche dei Comanches. La battaglia risultante si concluse con 50 uccisi per gli USA, quasi 80 caduti ed una ventina di catturati per i nativi, secondo le fonti che ho consultato.
Le Giacche Blu si erano rivelate totalmente incapaci di arginare la violenza in quel periodo. Con l'avvicinarsi della Guerra Civile, mancavano tre anni scarsi, le forze federali furono spostate ancora di più: lo stesso Secondo Cavalleria fu trasferito dal Texas allo Utah (venne direttamente sciolto poco prima del conflitto).
Come andò?
La perdita delle truppe portò il governatore Hardin R. Runnels nel 1858 a "riattivare" battaglioni sciolti (dismissed) di Texas Rangers. Così, il 27 gennaio 1858, Runnels nominò John Salmon "Rip" Ford, nome che è di nostro interesse per lo Speciale, un Ranger veterano della guerra messicano-americana e scout di frontiera, capitano e comandante dei Rangers, della milizia e delle forze indiane alleate (tra un po' poteva anche sposarvi in pratica), e gli ordinò di portare la guerra ai Comanches nel cuore della Comancheria.
Ford, la cui abitudine era di firmare rapporti sulle vittime con le lettere "RIP" per "Rest in Peace", era conosciuto come un combattente aggressivo che non andava troppo per il sottile. Anche se si trattava di causare la morte di donne e bambini negli scontri con gli indiani, purtroppo. In queste circostanze così assai poco, o forse troppo - dipende dai punti di vista, "umane" era un tipo che sapeva come raggiungere i propri scopi: tra i tradizionali nemici dei Comanches, come detto, c'erano i Tonkawas, che allora vivevano in una riserva sul fiume Brazos, in Texas. I libri che immortalano e lodano i Tonkawas come amici ed alleati dei coloni generalmente sminuiscono il fatto che questi simpaticoni pare fossero addirittura cannibali (sul loro sito ufficiale sono loro stessi a definirsi piuttosto bellicosi), ragione per cui i Comanches e praticamente ogni altra tribù li disprezzavano e odiavano. Ford, tuttavia, non aveva riserve sulla loro dieta, a patto che, in caso di languorini, sbocconcellassero Comanches e non Rangers. Il tutto sfociò poi proprio nella battaglia di Little Robe Creek. Conosciuta anche come la battaglia di Antelope Hill, è stata combattuta tra gli alleati Comanches, Kiowas e perfino Apaches contro i Texas Rangers, con i loro alleati, ne ho accennato poche righe fa. E' stata la prima battaglia in cui i Rangers sono stati in grado di entrare nel territorio della Comancheria. Una forza di un centinaio di Rangers e di altrettanti alleati contro una difesa stimata tra i 200 ed i 600 uomini.
In realtà ci furono tre scontri decisivi tra Comanches e Texas Rangers. Il primo iniziò la mattina del 12 maggio 1858: quando gli uomini guidati dal generale Ford attaccarono un primo campo, i Comanches non erano pronti per tale assalto e fu un massacro. Il secondo atto iniziò quando i Rangers tentarono di fare lo stesso con il successivo campo solo che stavolta incontrarono la resistenza dei Comanches, i quali videro l'avvicinarsi dei nemici. L'opposizione fu molto più rigida almeno fino a quando il loro capo, Iron Jacket, fu ucciso. Suo figlio Peta Nocona (ormai li conosciamo come se fossero nostri parenti) giunse coi rinforzi. Gli indiani a questo punto erano in grado di agire in difesa ma subirono ancora una significativa quota di perdite. Fu nella terza ed ultima battaglia di Little Robe Creek che i guerrieri Comanche si dimostrarono in grado di prendere una posizione offensiva contro i Texas Rangers. Tuttavia, il risultato finale delle tre “scaramucce” fu assai costoso: confermo i dati, cioè 76 furono uccisi e oltre 60 vennero fatti prigionieri. In confronto, i Texas Rangers contarono uno o due, qualcuno dice quattro, caduti e cinque feriti. E si portarono a casa anche più di trecento cavalli. Lasciamo stare le seppur scarse testimonianze su come i Tonkawas, ehm, festeggiarono la vittoria. Ford tornò in Texas e chiese che il governatore lo autorizzasse immediatamente ad arruolare altri nuovi Rangers e tornare subito a nord per continuare la campagna nella Comancheria. Tuttavia, Runnels aveva esaurito l'intero budget e lo sollevò dall'incarico. La Guerra Civile era anche alle porte.
Ma i Tonkawas erano davvero cannibali? Rapporti su casi di cannibalismo, vero o presunto, tra le tribù del Texas venivano spesso applicati ai Karankawas ed ai Tonkawas effetivamente. Altre tribù, ispaniche e anglosassoni diffusero questi racconti, affermando occasionalmente di aver assistito alla, allarme "spoiler", cottura ed al consumo... dai, avete capito.
Rip Ford affermò di aver visto i Tonkawas celebrare con tale macabro banchetto aggiungendo anche cosa avevano usato come contorno (non è una battuta). Questa reputazione di cannibalismo è spesso menzionata in molti racconti del Diciannovesimo secolo sulla tribù. Volendo anche ridurre tale pratica ad una forma “rituale e sporadica” resta il fatto che vennero disprezzati sia dai pellerossa, Comanches in testa, sia dai bianchi che però non esitarono ad arruolarli anche come scouts in più occasioni. Perfino Stephen Austin stipulò un trattato con la tribù Tonkawa nel 1824. Il nome Tonkawa significa "stanno tutti insieme" ma loro si definiscono “Popoli del lupo”. Non che fossero come “I demoni del Nord” del numero 600 di Tex, ma non erano certamente degli innocui angioletti.
Ritratto di Nat Love ad opera di Lorenzo Barruscotto.
A questo American African cowboy si ispira il personaggio di Deadwood Dick.
Non si può non citare la seconda battaglia di Adobe Walls a cui si ispirano gli albi conclusivi della minisaga di Deadwood Dick, ricavata dai romanzi di Joe Lansdale: fu realmente combattuta il 27 giugno 1874, tra ingenti forze pellerossa ed un gruppo di 28 cacciatori di bisonti statunitensi che difendevano l'insediamento di Adobe Walls, nell'attuale Contea di Hutchinson, in Texas. Le bande di nativi che imperversavano nella prateria (Comanches, Cheyennes, Kiowas e Arapahos) consideravano il trading post stesso e la caccia al "buffalo" come una grave minaccia alla loro esistenza. E sinceramente dal loro punto di vista non gli si può dare torto. Isatai'i, uomo di medicina della tribù Comanche, promise la vittoria e l'immunità dai proiettili ai guerrieri che avessero combattuto contro gli odiati uomini bianchi. Tra i difensori che erano presenti ad Adobe Walls c'erano James Hanrahan, l'allora ancora giovane Bat Masterson, William "Billy" Dixon (il cui famoso colpo di fucile a lunga distanza mise effettivamente fine all'assedio) ed una donna, la moglie del cuoco William Olds. Essi compaiono anche nelle tavole del fumetto summenzionato.
Per la cronaca, nel 1875 l'ultima banda libera di Comanches, capeggiata ancora da Quanah Parker, si arrese e si trasferì nella riserva di Fort Sill in Oklahoma: anche di questo avevo scritto nella relativa recensione.
Perchè seconda? Perchè ci fu anche una prima battaglia di Adobe Walls, il 25 Novembre 1864, tra le Giacche Blu e una coalizione di Comanches, Kiowas e Apaches. Circa due ore dopo l'alba del 25 novembre, lo ripeto perchè mi fa strano dato che alcuni annetti dopo sono nato io proprio in quel giorno, la cavalleria di Kit Carson, quello in carne e ossa, trovò ed attaccò un villaggio Kiowa. Gli abitanti fuggirono, trasmettendo l'allarme ai villaggi alleati, Comanches, nelle vicinanze. Adobe Walls era a quattro miglia dal villaggio, Carson vi fece scavare una trincea. Scoprì solo allora che c'erano numerosi villaggi nella zona e vide un gran numero di indiani che si riversavano in avanti per ingaggiare battaglia, una forza molto più imponente di quanto si fosse aspettato. Il capitano Pettis, che ha scritto il rapporto più completo della battaglia, ha stimato che dai 1200 ai 1400 Comanches e Kiowas attaccarono i soldati e gli esploratori indiani che erano 330 in totale (75 uomini erano stati lasciati a guardia del treno di rifornimento). I cannoni tennero a distanza gli assalitori ma vi furono diverse ondate: dopo sei-otto ore di combattimenti abbastanza continui, Carson si rese conto di essere a corto di munizioni e ordinò alle sue forze di ritirarsi nel villaggio Kiowa alle sue spalle. "Kit" era anche preoccupato per il destino di quei 75 uomini. Gli indiani cercarono di bloccare tale ritirata dando fuoco all'erba sulla via vicino al fiume. Carson ripiegò e quando arrivò il crepuscolo, ordinò a circa metà del contingente al suo comando di bruciare le tende del villaggio, il che provocò anche la morte del capo Iron Shirt, che si rifiutò di lasciare il suo tepee. Dopo un paio di giorni l'omonimo di Capelli d'Argento, comandò la definitiva ritirata in New Mexico.
Il curatore di questa rubrica, ed ideatore anche nella pratica di tutti gli articoli,
nelle pause tra le ricerche assomiglia a Hermes di "Futurama",
immortalato in questo disegno-tributo.
Bene, rimprendiamo il filo del discorso.
Relativamente alla capacità di Piccinelli di farci sentire parte integrante delle tavole, per esempio quando la scena si sposta in una locanda, manca solo di percepire il profumo di carne e patate o dell'immancabile torta per chiudere il pasto, oppure ancora dell'aroma di caffè che si spande per il locale, osservando le vignette ad esempio di quando Tex conosce Rose.
Chi è Rose? Tenetevi forte: è la ex di Adam Crane, figlia di un capitano dei Rangers che Zagor e Cico avevano avuto modo di incontrare nel secondo appuntamento di questa saga, donna sicuramente in gamba e forte, per la quale all'inizio proviamo anche una certa empatia ma che poi si rivela purtroppo di una mentalità ristretta non compatibile con il cuore dell'llora ancpra Ranger, fratello di sangue del capo dei “nemici”. Ora anche se Tex non può saperlo, facciamo fatica a farcela stare simpatica fino in fondo soprattutto quando scopriamo con chi si è rifatta una vita. Si tratta sempre di un Ranger, qui pullulano, ma non certo uno dei più degni. Oh, non vi spiattellerò così su due piedi il nome, per rispetto verso chi magari non ha ancora completato la lettura per intero di tutti gli intrecci e perché preferisco spingervi eventualmente a fare due più due, per quanto verso la fine dell'albo sia proprio lo stesso Crane a rivelarcelo, indirettamente.
In pratica va proprio al “Ranger Adam” ed al suo collega Barry il compito di Ciceroni, vale a dire di colmare i vuoti che i nuovi lettori e con loro parallelamente il futuro Aquila della Notte avrebbero se qualcuno non mettesse loro al corrente degli eventi passati o non introducesse come una sorta di didascalia “vivente” ed assai provvidenziale i molti visi che ci passano sotto gli occhi. Un ottimo espediente narrativo calato completamente nella vicenda che invece di appesantire, rende ulteriormente fluida la storia, sia per chi è interessato alla Storia del Texas o della Frontiera sia per chi si avvicina a o Tex o Zagor da neofita.
"The Yellow Rose of Texas" è una canzone famosa del Diciannovesimo secolo, pubblicata nel 1858. Mentre può essere logico pensare che la rosa gialla sia il fiore dello Stato, tale designazione appartiene alla Bluebonnet. La rosa gialla, tuttavia, rimane uno dei simboli del Lone Star State. È interessante notare , tuttavia, "rosa gialla" in origine non si riferisce al fiore, ma una donna: a Miss Emily D. West, che era una governante in un hotel della Galveston Bay. La leggenda afferma che miss West fosse bella e seducente. Durante la Rivoluzione, avrebbe addirittura fatto cadere nelle sue grazie il generale Santa Ana distraendolo temporaneamente dalle sue iniziative militari. I Texani quindi ebbero via libera per attaccare e sconfiggee i messicani nella battaglia di San Jacinto nel mese di aprile 1836. Non esistono prove che la storia si basa su fatti storici.
Pensate che “Texas” viene da “teysha”, una parola ampiamente usata dalle tribù indiane che significa “amici” o “alleati”.
Siete ancora immusoniti perché non ho svelato chi sia il marito della locandiera? Ok, ok mi sbottono un po' di più: il cognome del “signor Rose” ha una notevole assonanza con quello di questo signore, ma non è certamente lui e non chiedetemi se voluta o no.
David Gouverneur Burnet (14 aprile 1788 - 5 dicembre 1870) è stato uno dei primi politici all'interno della Repubblica del Texas, servendo come presidente ad interim (1836 e di nuovo nel 1841), vicepresidente della Repubblica del Texas (1839 - 1841) e Segretario di Stato (1846) per il nuovo Stato del Texas dopo che fu annesso agli Stati Uniti.
Burnet era nato a Newark, New Jersey ed aveva frequentato la facoltà di legge a Cincinnati, Ohio. Da giovane visse con una tribù Comanche per un anno prima di tornare in Ohio. Nel 1806 Burnet si offrì volontario per servire le infruttuose spedizioni di ostruzionismo guidate dal generale Francisco de Miranda per l'indipendenza del Venezuela dalla Spagna. Combatté in Cile nel 1807 e in Venezuela nel 1808. Dopo che Miranda ruppe con Simon Bolivar, Burnet tornò negli Stati Uniti, nel 1812.
Nel 1826 si trasferì nella colonia di Stephen Austin nel Texas messicano. Ricevette una concessione di terra come imprenditore, ma venne costretto a venderla dopo che non riuscì ad attirare abbastanza coloni nella sua zona.
Dopo aver ascoltato la richiesta di aiuto di William B. Travis ad Alamo, Burnet si recò a Washington-on-the-Brazos per reclutare aiuti. Ai suoi ordini, il governo “dei ribelli” lasciò Washington-on-the-Brazos per Harrisburg. Burnet evitò per un soffio la cattura da parte delle truppe messicane il mese successivo.
Dopo la vittoria di Sam Houston a San Jacinto, Burnet prese in custodia el “jeneral” Antonio López de Santa Ana e negoziò i Trattati di Velasco. Molti Texani erano infuriati per il fatto che il trattato consentisse a Santa Ana di sfuggire all'esecuzione e alcuni chiesero l'arresto di Burnet per tradimento. Rifiutò di candidarsi alla presidenza effettiva e si dimise il 22 ottobre 1836.
Servì però come vicepresidente sotto Mirabeau B. Lamar e partecipò alla battaglia di Nueces, quella che abbiamo menzionato nella carrellata di fatti storici. Quando il Texas fu annesso agli Stati Uniti, Burnet fu il primo Segretario di Stato dello stato. Scusate il gioco di parole.
La Burnet County, Texas, prende il nome da lui.
Washington-on-the-Brazos è una comunità non incorporata lungo il fiume Brazos nella contea di Washington, Texas, Stati Uniti. La città è nota soprattutto per essere stata la sede della Convenzione del 1836 e della firma della Dichiarazione di indipendenza del Texas. Nel 2009, la popolazione stimata era 265. Pochini.
La città prende il nome da Washington, in Georgia, a sua volta chiamata così da George Washington, ovviamente. È ufficialmente conosciuta solo come "Washington", ma dopo la guerra civile divenne nota come "Washington-on-the-Brazos" per distinguere l'insediamento da "Washington-on-the-Potomac", cioè Washington, DC.
Una cittadina che viene nominata più di una volta nel volume è Fredericksburg (in tedesco: Friedrichsburg): si tratta di un comune (city) degli Stati Uniti d'America e capoluogo della contea di Gillespie,Texas. La popolazione era di 10.530 abitanti al censimento del 2010.
Fredericksburg fu fondata nel 1846 e prende il nome dal principe Federico di Prussia. I residenti tedeschi di vecchia data si riferivano spesso alla città come Fritztown, un soprannome che è ancora usato in alcune aziende. E' anche nota come la casa del Texasdeutsch, un dialetto parlato dalle prime generazioni di coloni tedeschi che inizialmente rifiutarono di imparare l'inglese. Fredericksburg condivide molte caratteristiche culturali con New Braunfels, che era stata fondata dal principe Carlo di Solms-Braunfels l'anno precedente. È città gemella di Montabaur, in Germania. Il 14 ottobre 1970, il Fredericksburg Historic District fu aggiunto al National Register of Historic Places in Texas.
Volete farvi un giretto virtuale? Pronto: https://www.visitfredericksburgtx.com/ .
Zagor in un tributo ad EMANUELE BARISON, opera di Lorenzo Barruscotto.
E' ora di dire due parole su un paio di personaggi che sono inventati sia per noi che per Tex e i suoi amici. Torneremo a chiamarli in causa ma per adesso facciamo la loro conoscenza.
Pecos Bill è protagonista di numerose storie ambientate nel West. Si ritiene che vennero inventate da Edward O'Reilly nei primi anni del Ventesimo secolo nonostante questi affermasse di averle tratte dalla tradizione orale americana e sono quindi considerate un esempio del cosiddetto fakelore (da "fake", falso, + folklore), ovvero storie che vengono presentate in modo da essere avvolte da un'aura che le fa apparire come appartenenti alla tradizione, per l'appunto. "Pecos Bill" fu anche il soprannome del generale William Shafter durante la guerra di secessione quindi precedente all'opera di O'Reilly: Shafter era considerato un eroe in Texas e gli venne dedicato qualche componimento poetico ispirato alla sua figura.
Il personaggio ha avuto alcune trasposizioni cinematografiche e a fumetti che hanno goduto di un duraturo successo.
Secondo la leggenda, Pecos Bill nacque in Texas nel 1830 (o in altre versioni nel 1845, l'anno di istituzione dello stato del Texas). La sua famiglia decise di trasferirsi perché la città era "troppo affollata". Da bambino, mentre era in viaggio su un carro coperto, cadde senza che nessuno se ne accorgesse nelle vicinanze del fiume Pecos e venne accolto e cresciuto da un branco di coyote. Anni dopo fu ritrovato da suo fratello, che riuscì a convincerlo che non era un coyote.
Una volta cresciuto divenne un cowboy. Era in grado di usare un serpente a sonagli, Shake, come un lazo e un altro serpente come una piccola frusta. Il suo cavallo, Widow-Maker (anche chiamato Lightning), era così amabilmente soprannominato perché nessun altro uomo poteva provare a cavalcarlo senza morire. Carino. Si narrava che la dinamite fosse il suo cibo preferito ma anche che a volte cavalcasse un puma invece di un cavallo. Fra le sue imprese: una volta riuscì a prendere al lazo un tornado, poi lottò contro il Bear Lake Monster per diversi giorni fino a quando non lo ebbe finalmente sconfitto. Aveva una fidanzata chiamata Slue-Foot Sue, la quale cavalcò un gigantesco pesce gatto lungo il Rio Grande e che lui incontrò andando a pesca.
Ehm, ok...
Il resto delle avventure sono un mix assurdo che sembra partorito dalle menti di uno sceneggiatore di “Beautiful” che incontra un ubriaco appena uscito dal cinema dopo aver visto per la terza volta “Monolith” quindi soprassediamo.
Le prime storie furono pubblicate O'Reilly nel 1917 per “The Century Magazine” e raccolte e ristampate nel 1923 nel libro Saga of Pecos Bill. O'Reilly raccontò che facevano parte della tradizione orale di storie raccontate dai cowboys durante l'espansione ad Ovest e negli insediamenti fra Texas, New Mexico e Arizona. Tuttavia il folklorista americano Richard M. Dorson stabilì che erano opera di O'Reilly, il quale poi le aveva spacciate per storie folkloristiche e che in seguito altri scrittori le presero in prestito da lui aggiungendone di nuove di loro invenzione al ciclo.
Una delle versioni più note delle storie di Pecos Bill è di James Bowman Cloyd: "Pecos Bill: The Greatest of All Time Cowboy" (1937).
Ne venne realizzata anche una versione a fumetti per mano di Edward "Tex", essendo del Texas quale altro nomignolo poteva avere, O'Reilly e del disegnatore Jack Warren tra il 1929 e il 1938. Quando O'Reilly morì nel 1938, Warren iniziò una striscia intitolata “Pecos Pete”, una versione del personaggio "Pecos Bill", vittima di una amnesia. Originariamente furono pubblicate su “The Sun” e furono successivamente distribuite sui quotidiani. Ha anche una moglie, chiamata sempre Slue-Foot Sue.
Nel 1948 l'editore Patches Publications lanciò il fumetto “The Westerner Comics”, avendo come protagonista, Wild Bill Pecos, la rivista fu pubblicata fino al 1951.
In Italia Guido Martina venne incaricato dall'editore Mondadori della realizzazione di una nuova serie a fumetti ispirato al personaggio, da pubblicare nella collana Albi d'Oro.
La serie esordì nel 1949 e, nata come riempitivo, ottenne un grande successo grazie anche ai disegni realizzati da molti autori tra cui Rinaldo D'Ami, Francesco Gamba, Gino d'Antonio e Dino Battaglia. Dopo la conclusione nel 1955 la serie venne più volte riproposta da altri editori in altre collane: nel 1956 la casa editrice Alpe realizza una nuova serie, “Le nuove avventure di Pecos Bill”, con una differente interpretazione del personaggio disegnata da Pietro Gamba.
Nel 1960 la Mondadori riprese il personaggio riproponendone nella collana “Gli albi di Pecos Bill” la ristampa delle storie già presentate nella collana degli Albi d'Oro per poi cederla nel 1962 all'editore Fasani che la continua pubblicando per oltre trecento numeri con storie di nuova realizzazione fino al 1967. Ci sono state poi anche ulteriori ristampe, ma avete capito l'antifona.
William Rufus Shafter (16 ottobre 1835 - 12 novembre 1906) è stato un ufficiale dell'esercito dell'Unione durante la guerra civile americana che ha ricevuto la più alta decorazione militare, la medaglia d'onore, per le sue azioni nella battaglia di Fair Oaks. Shafter ha anche svolto un ruolo di primo piano come maggiore generale nella guerra ispano-americana. Fort Shafter, Hawaii, prende il nome da lui, così come la città di Shafter, in California, e la città fantasma di Shafter, in Texas. Fu soprannominato "Pecos Bill", ispirato al personaggio immaginario delle “tall stories”.
Shafter era considerato un eroe in Texas. Questa la menzione per la medaglia d'onore: “Il tenente Shafter era impegnato nella costruzione di ponti e non era necessario lì ma tornò con i suoi uomini per ingaggiare il nemico partecipando a una carica in campo aperto che provocò perdite per 18 dei 22 uomini. Alla fine della battaglia il suo cavallo fu colpito da un colpo di arma da fuoco e fu gravemente ferito. Rimase in campo quel giorno e il giorno successivo a combattere solo nascondendo le ferite. Per non essere rimandato a casa con i feriti ha tenuto nascoste le sue ferite per altri 3 giorni fino a quando altri feriti non hanno lasciato la zona.”
La battaglia di Fair Oaks e Darbytown Road (conosciuta anche come la seconda battaglia di Fair Oaks) fu combattuta dal 27 al 28 ottobre 1864 nella contea di Henrico, in Virginia, come parte della campagna Richmond-Petersburg della guerra civile americana.
Shafter prestò servizio come tenente del Settimo reggimento di fanteria volontaria del Michigan dell'esercito dell'Unione. Il 22 agosto 1862 fu ritirato dal servizio di volontariato ma tornò sul campo come maggiore del Diciannovesimo reggimento sempre di fanteria volontaria del Michigan. Fu catturato nella battaglia della stazione di Thompson e trascorse tre mesi in una prigione confederata. Nell'aprile 1864 dopo il suo rilascio fu nominato colonnello della 17a fanteria di colore degli Stati Uniti e guidò il reggimento nella battaglia di Nashville.
Alla fine della guerra, era stato promosso a generale di brigata dei volontari. Rimase nell'esercito regolare quando la guerra finì. Fu durante il suo successivo servizio nelle guerre indiane che ricevette il soprannome di "Pecos Bill". Ha guidato il 24esimo fanteria, un altro reggimento delle truppe dei Buffalo Soldiers degli Stati Uniti, in campagne contro Cheyennes, Comanches, Kickapoos e Kiowas in Texas. Fu comandante di Fort Davis. Nel maggio 1897 venne nominato generale di brigata.
Il Pecos è un fiume del Nex Mexico che scorre per una lunghezza di 1490 chilometri attraverso la parte orientale dello Stato e si dirige verso il Texas dove diviene affluente del Rio Grande vicino a De Rio.
Paul Bunyan è un gigantesco boscaiolo ed eroe popolare nel folklore americano e canadese. Le sue imprese ruotano attorno ai racconti delle sue fatiche sovrumane. Altre Tall stories. Nel 1910 il giornalista americano James MacGillivray ne scrisse un libro attingendo a storie più antiche.
Il personaggio ha avuto origine nella tradizione orale dei taglialegna nordamericani ed è stato successivamente reso popolare dallo scrittore freelance William B. Laughead (1882 - 1958) in un opuscolo promozionale del 1916 per la Red River Lumber Company. È stato oggetto di varie composizioni letterarie, brani musicali, opere commerciali e produzioni teatrali. La sua figura è mostrata in diverse statue di grandi dimensioni in tutto il Nord America.
Ci sono molte ipotesi sull'etimologia del nome Paul Bunyan. Gran parte dei commenti si concentra su un'origine franco-canadese per il nome. Foneticamente, Bunyan è simile all'espressione del Quebec "bonyenne!" che esprime sorpresa o stupore. Il cognome inglese Bunyan deriva dalla stessa radice di "bunion" nell'antico francese “bugne”, riferendosi ad un grosso nodulo o gonfiore. Diversi ricercatori hanno tentato di far risalire Paul Bunyan al personaggio di Bon Jean della traizione franco-canadese, anch'egli boscaiolo.
Ritratto di William Shafter ad opera di Lorenzo Barruscotto
La battaglia del fiume Pease avvenne il 18 dicembre 1860, vicino all'attuale città di Margaret nella contea di Foard, non lontano dall'odierna Quanah (eh già) in Texas.
Un monumento segna il luogo in cui un gruppo di Comanches (per lo più donne e bambini) è stato ucciso da un distaccamento di Texas Rangers e milizia sotto il comando capitano Ranger "Sul" Ross. Il campo indiano era stato attaccato come rappresaglia contro gli attacchi ai coloni bianchi.
Questa incursione è ricordata principalmente perché svoltasi nel luogo in cui Cynthia Ann Parker fu “riconquistata” o “liberata” dai Comanches che l'avevano adottata dopo averla catturata ventiquattro anni prima.
Cynthia, ne abbiamo parlato prima, era una donna di origini europee che era stata rapita nell'assalto di Fort Parker nel 1836. Dai nove anni era cresciuta tra i Comanches. Aveva sposato il capo della guerra Peta Nocona e gli aveva dato 3 figli. Suo zio, James Parker, aveva trascorso la maggior parte della sua vita e la sua fortuna, in una ricerca infruttuosa per riaverla.
La sua presenza e il suo conseguente salvataggio a Pease River erano una questione di importanza nazionale, probabilmente perché, come si dice nel libro “Indian Depredations” di J.W. Wilbarger: "La maggior parte delle famiglie sulla frontiera aveva perso qualcuno a causa degli indiani. Il recupero di Cynthia Ann sarebbe stato considerato quasi un miracolo da quelle persone".
Peta Nocona era uno dei capi di guerra presenti all'attacco a Fort Parker e aveva formato la propria banda di Comanches chiamata Nokoni. Occuparono il territorio lungo il Red River. Nocona aveva preso in moglie Cynthia Ann Parker alcuni anni dopo che era stata catturata. Un grande tributo al suo amore per lei era che non aveva mai preso un'altra moglie. La coppia in totale ebbe due figli, Quanah Parker e Pecos, e una figlia, Topsannah.
All'inizio del 1860 Peta Nocona guidò i Comanches in un raid attraverso la contea di Parker, in Texas, che ironicamente fu chiamata così in onore della famiglia di sua moglie. Dopo l'incursione tornò con la sua banda in quello che credeva fosse un rifugio sicuro sotto le scogliere di arenaria del fiume Pease. Il sito è stato a lungo uno dei preferiti dei Comanches, fornendo sia copertura dai feroci blizzard che colpivano le pianure sia ampio foraggio per i cavalli, con facile caccia ai bufali dalle aree vicine.
Il governatore del Texas Sam Houston aveva incaricato il capitano dei Ranger Sul Ross di organizzare una compagnia di 40 Rangers e 20 miliziani, se i numeri sono esatti, per porre fine alle incursioni indiane. La compagnia aveva sede a Fort Belknap, nella contea di Young.
Ross capì che semplicemente non aveva uomini sufficienti per coprire il territorio e decise che il modo migliore per proteggere i coloni fosse quello di organizzare una controffensiva ai danni degli indiani alla prima occasione. In preparazione, iniziò a perlustrare l'area alla ricerca di segni di accampamenti indiani. Dopo il raid di Peta Nocona nella contea di Parker, Ross ed i suoi combattenti iniziarono a seguire i Nokoni, che erano considerati i combattenti più duri tra i Comanches.
La ricerca moderna ha rivelato che Peta Nocona non aveva intenzione di rimanere a Pease River e si stava apprestando a levare il campo quando l'attacco al suo campo si concretizzò. Era l'alba del 18 dicembre 1860, quando lo stesso capitano Ross esplorò l'area sul fiume Pease mentre i suoi esploratori riferivano della presenza di un gruppo di cacciatori abbastanza grande e di un accampamento sulle rive.
Ross inviò un distaccamento di una ventina di uomini della sua forza a posizionarsi dietro una catena di colline sabbiose per intercettare la ritirata del nemico verso nord-ovest, mentre con 40 uomini, guidò la carica nel campo indiano. Il risultato fu che la tribù venne colta completamente di sorpresa. Sul Ross ha scritto, citato in “Indian Depredations”, che lui e i suoi spararono a tutti i presenti: "L'attacco è stato così improvviso che un numero considerevole è stato ucciso prima che potessero prepararsi alla difesa. Sono fuggiti precipitosamente proprio in direzione del sergente e dei suoi uomini. - Cioè i venti uomini per chiudere a tenaglia gli eventuali fuggitivi. - Qui hanno incontrato una calorosa accoglienza e trovandosi completamente accerchiati, ciascuno scappò per la propria strada, e fu perseguitato ardentemente e duramente oppresso".
Ci sono due storie distinte e molto diverse sulla morte di Peta Nocona.
La prima è che sia morto cercando di scappare con la moglie e la figlia, che è la storia generalmente creduta e quella riportata ufficialmente anche da Sul Ross. Secondo questa storia, vedendo che il campo era irrimediabilmente invaso, Peta Nocona e Cynthia Ann Parker fuggirono a est tramite il letto di un torrente. Secondo quanto riferito, dietro Nocona c'era una ragazza messicana di 15 anni, mentre Cynthia Ann Parker portava la sua bambina di due anni, Topasannah ("Prairie Flower", fiore della prateria). Il capitano Ross e il suo luogotenente, Tom Killiheir, inseguirono l'uomo che credevano essere il leggendario Peta Nocona. Ma secondo quanto riferito, Quanah Parker, il figlio maggiore del capo, una volta disse a Dallas a Sul Ross: "Non uccidesti mio padre; non era lì. Voglio che sia chiaro qui nella storia del Texas. Dopo due anni, forse tre anni, io vidi mio padre malato morire".
Nella seconda versione, lascio a voi fare due più due dopo aver letto l'albo, Peta Nocona era a caccia con il figlio maggiore e pochi altri quando si verificò l'attacco. Questa storia è supportata anche da un colonnello dell'esercito che ha riferito di aver interrogato uomini affidabili che hanno visto Nocona “dopo la sua morte” a Pease River.
Nel racconto popolare raccolto da Sul Ross e stampato per la prima volta nel libro “Cynthia Ann Parker” di James T. DeShields del 1886, lui e il Ranger Tom Killiheir inseguirono accanitamente un uomo che pensavano fosse un sakem per via del suo copricapo ed in più c'era un secondo pony con una donna che portava un bambino piccolo. Ross ha affermato di aver sparato all'uomo ma anche Killiheir ha detto di averlo fatto. Bah.
Il cadavere pare poi essersi rivelato quello di una ragazza messicana che cavalcava il mustang di Nocona, ed entrambi gli uomini bianchi in seguito avrebbero affermato di non sapere che fosse una ragazza, con solo la testa fuori dalla veste di bufalo in cui era avvolta. Fu uccisa all'istante dallo sparo. Sempre secondo il loro dettagliatissimo rapporto, il capo Comanche iniziò a tirare frecce contro Ross in avvicinamento. Una colpì il suo cavallo. Un colpo delle pistole di Ross avrebbe rotto il braccio di Nocona, mentre altri due colpi avrebbero colpito il suo corpo al bersaglio grosso. Apparentemente mortalmente ferito, Nocona riuscì a trascinarsi su un piccolo albero e, appoggiandosi contro di esso, iniziò a cantare la canzone della morte dei Comanches.
Il servitore messicano di Ross, Antonio Martinez, che parlava comanche, e secondo quanto riferito era stato fatto prigioniero da bambino da Nocona stesso, si avvicinò al guerriero morente e gli parlò. Dicendogli di arrendersi. Voleva fare lo spiritoso, evidentemente. La risposta sarebbe stata un tentativo di scagliare una lancia contro il leader dei Rangers.
Fate un po' voi, doveva offrirgli un cioccolatino? La sua famiglia catturata - fatta eccezione per suo figlio Quanah, che era sfuggito al massacro - e i suoi guerrieri morti o morenti, le loro famiglie morte o prigionieri... Proseguendo col rapporto, Nocona sarebbe stato giustiziato sul posto da un colpo del fucile di Martinez. Qualcosa mi dice che hanno leggerissimamente esagerato e che hanno riportato un sacco di sonore balle, quegli “impavidi” assalitori.
Tra l'altro il resoconto popolare della battaglia del fiume Pease è messo in discussione da resoconti contrastanti dei partecipanti, incluso lo stesso Ross. Ci sono prove nella sua successiva corrispondenza sul fatto che Ross fosse consapevole dei vantaggi politici conferiti dalle percezioni ampiamente condivise sul suo ruolo nella battaglia. La sua versione della storia cambia nel tempo, generalmente gettando il suo coinvolgimento in una luce sempre più positiva e grandiosa.
La figura ambigua e tutt'altro che coraggiosa di Ross viene ripresa anche nel racconto a fumetti, nel quale si delinea come un odioso, pericoloso e viscido verme con la stella sul petto al quale perdere un paio di denti in seguito ad un affettuoso massaggio non avrebbe fatto che bene.
Quanah Parker ha sempre negato categoricamente che l'uomo ucciso con sua madre fosse suo padre. Inoltre, Quanah stesso sosteneva che lui e suo padre, insieme a pochi altri, avevano lasciato l'accampamento la notte prima per andare a caccia, e quindi non erano presenti la mattina dell'attacco alla loro banda. Una volta tornati, praticamente non erano rimaste persone vive per raccontare a lui o a suo padre esattamente cosa era successo, né che fine avesse fatto sua madre. Peta Nocona avrebbe preso la difficile decisione di fuggire, per garantire la sicurezza del figlio rimasto. Secondo Quanah, Ross non sapeva chi fosse l'uomo che aveva ucciso e suo padre sarebbe po deceduto per via di vecchie ferite riportate negli anni, diverso tempo dopo l'attacco.
Va anche notato che un libro, raro, supporta l'affermazione di Quanah secondo cui suo padre non morì a Pease River. Fuori catalogo da decenni, scritto nel 1890, “The Story of Old Fort Sill”, redatto dal colonnello W.S. Nye, il colonnello sostiene la versione della storia di Quanah. Ney dice: "I resoconti variano su quello che è successo. Il capitano Ross, che è stato acclamato come un eroe per l'atto, ha affermato, e probabilmente lo credeva onestamente, di aver catturato e ucciso Peta Nacona. Ma nella mischia ha inseguito e sparato allo schiavo messicano di Nawkohnee, che stava cercando di salvare le donne Comanche in fuga."
Nye è colui che ha incontrato uomini che hanno visto Nocona vivo anni dopo il fiume Pease, quando era malato, con una ferita di guerra infetta.
Un libro del 2012, “Myth, Memory and Massacre: The Pease River Capture of Cynthia Ann Parker” del professore emerito di storia della “Texas Tech University” Paul H. Carlson sfata la maggior parte del materiale nel libro del 1886 apparentemente ispirato alla politica di James T. Deshields . Documentano anche le fonti primarie che verificano che Peta Nocona non fosse sulla scena del massacro e morì intorno al 1865, non nel dicembre 1860.
All'inizio Ross credeva che la donna che aveva catturato fosse un'indiana.
Alcuni resoconti dicono che Martinez avrebbe notato i suoi occhi azzurri, un tratto raro per un nativo Comanche, e quando la donna fu interrogata, avrebbe detto "me Cynthia".
Ci sono state molte affermazioni su chi abbia “salvato” Cynthia. Martinez stesso ha affermato di averla identificata dai suoi capelli e dai suoi occhi, così come Killhair.
Quando Ross tornò a Fort Belknap, mandò subito a chiamare Isaac Parker, fratello di Silas Parker e zio di Cynthia Ann, che viveva vicino a Weatherford, Texas, ma questi non fu in grado di identificare con certezza la fragile prigioniera.
Purtroppo, anche se le poche parole in inglese che lei ricordava alla fine convinsero Parker che era sua nipote, i suoi travagli erano appena iniziati. Sebbene Cynthia Ann fosse amorevolmente curata dalla sua famiglia bianca, era infelice nel suo nuovo ambiente. Topasannah morì di influenza nel 1864, seguita poco dopo proprio da sua madre, che pare si lasciò morire di fame.
Cynthia Ann era già in lutto per i suoi figli quando sua figlia morì, lasciandola senza motivo di vivere. Secondo i suoi parenti: "Pensava che i suoi figli si fossero persi nella prateria dopo essere stata catturata. Prendeva un coltello e si tagliava i seni finché non sanguinavano, poi versava il sangue su del tabacco, lo bruciava e piangeva per ore". Il lutto indiano.
Ironia della sorte, dei due figli maschi di Cynthia Ann, entrambi sfuggirono alla battaglia del fiume Pease, ma uno morì più tardi prima che potesse essere restituito a sua madre.
Quanah divenne un famoso capo tra i Comanches, anzi, fu l'ultimo dei loro capi di guerra.
Solo alla fine della sua vita avrebbe visto i resti di sua madre e sua sorella riesumati e seppelliti accanto a lui a Fort Sill.
Tale John Wesley di Foard County, Texas, nel 1880, acquistò la terra su cui si era svolto il combattimento, lungo Mule Creek. Nel 1918 scrisse "Ho conosciuto Quanah Parker nel 1882 o 1883 e l'ho incontrato abbastanza spesso a Vernon, dove lui e i membri della sua tribù venivano a commerciare. Era molto amichevole e voleva sapere tutto sui suoi parenti nella contea di Parker. Lui mi ha chiesto di fargli visita a Fort Sill e io in cambio gli ho chiesto di venirmi a trovare, ma ha detto che non è mai andato a Mule Creek perché suo padre è stato ucciso lì e sua sorella e sua madre sono state catturate e portate via. Ha detto che non ha mai voluto vedere il luogo."
Camp Cooper si trovava sulla Clear Fork del fiume Brazos, sette miglia a nord dell'attuale sito storico statale di Fort Griffin, nella contea centro-meridionale di Throckmorton. Fu istituito dal legislatore del Texas nel gennaio 1856 e prese il nome dall'aiutante generale dell'esercito degli Stati Uniti Samuel Cooper. La funzione era proteggere la frontiera e monitorare la vicina riserva indiana Comanche. L'area era stata un accampamento per tre compagnie del Quinto fanteria nel 1851.
Il sito fu successivamente ispezionato dal capitano Randolph B. Marcy e da Robert S. Neighbors ma ci torneremo.
Fu fondato dal colonnello Albert Sidney Johnston nel gennaio 1856 e divenne quartier generale di quattro compagnie del Secondo cavalleria degli Stati Uniti sotto il comando del tenente colonnello Robert E. Lee. Mica uno qualunque. Questo è stato il primo comando di Lee di un forte. Rimase in carica per quindici mesi, dal 9 aprile 1856 al 22 luglio 1857. I capitani sotto il suo comando includevano Earl Van Dorn e Theodore O'Hara.
Sebbene il campo inizialmente avesse scorte militari adeguate, era afflitto da condizioni meteorologiche avverse, insetti e treni di rifornimenti irregolari. I serpenti a sonagli erano visitatori costanti e Lee ne teneva uno come animale domestico. Quando lasciò il campo nel 1857 per San Antonio, subentrò il Maggiore George H. Thomas. Nello stesso anno Thomas comandò la spedizione Cimarron nel nord-ovest del Texas.
Le truppe di Camp Cooper hanno partecipato a numerose campagne ed azioni contro indiani ostili, incluso l'inseguimento dei Comanche di Peta Nocona. I disordini locali diminuirono dopo il 1859, quando la riserva dei Comanches fu sciolta e gli indiani furono rimossi dall'area.
Gli arruolati e la banda del reggimento erano acquartierati in baracche con tetti di tavolette di legno e muri di mattoni di fango. Un ufficio postale operò nel campo dal marzo all'ottobre 1860, ma l'arrivo della guerra civile pose fine all'utilità del campo. Il posto fu ufficialmente abbandonato il 21 febbraio 1861.
Earl Van Dorn (Contea di Claiborne, 17 settembre 1820 - Spring Hill, 7 maggio 1863) è stato un generale statunitense che combatté nella guerra USA - Messico e contro numerose tribù. Prestò servizio anche come generale confederato nella guerra civile con episodi tristemente noti e poco edificanti: aveva fama di essere impulsivo e molto emotivo. Van Dorn era anche un pittore, un poeta e un riconosciuto abile cavallerizzo. Pare fosse anche un donnaiolo. Un giornalista del tempo lo definì "il terrore del mariti brutti" poco dopo il suo omicidio.
Nel maggio del 1863 mentre si trovava nel suo quartier generale a Spring Hill, nella contea di Maury, il dottor James Bodie Peters gli sparò alla nuca nel suo ufficio. Peters venne arrestato ma mai processato per il suo gesto. Il corpo di Van Dorn fu riportato in Mississippi e sepolto a Port Gibson insieme al padre.
La sua casa natale, Van Dorn House a Port Gibson in Mississippi, è stata inserita nel National Register of Historic Places.
John O. Meusebach, nato Otfried Hans von Meusebach (Dillengurg, 26 maggio 1812 – Loyal Valley 27 maggio 1987), fu un imprenditore, naturalista e politico tedesco naturalizzato americano. Fu tra i primi coloni tedeschi giunti in Texas ad occuparsi attivamente dell'operato dell'Adelsverein per promuovere e gestire la colonizzazione europea di quelle aree. Fu inoltre senatore del Texas.
Meusebach pianificò nel 1846 la fondazione di Fredericksburg per conto dell’Adelsverein, un'associazione formatasi a Biebrich, in Germania, il 20 aprile 1842, da parte di un gruppo di nobili, per promuovere la colonizzazione tedesca del Texas. Il co-fondatore, il conte Victor August von Leiningen-Westerburg-Alt-Leiningen (provate a dirlo tutto di fila) era presidente della società.
La Repubblica del Texas aveva dato disponibilità di colonizzazione per più di 18.000 chilometri quadrati di terra, ponendo come unica condizione il fatto che i coloni dovessero rendersi autosufficienti nel giro di un anno, salvo perdere la concessione. Il 7 giugno 1842, Henry Francis Fisher e Burchard Miller ricevettero un diritto di colonizzazione per un migliaio di famiglie immigranti di origine tedesca, olandese, svizzera, danese, svedese e norvegese in quella che divenne nota come, beh, concessione Fisher-Miller. Il contratto venne rinnovato il 1 settembre 1843 dalla camera dei rappresentanti della Repubblica del Texas. Il 30 dicembre 1845, sia Fisher che Miller vendettero i loro diritti rimasti all'associazione che era divantata diciamo indipendente.
La contea di Bell è una contea del Texas. Il capoluogo di contea è Belton. La contea è stata fondata nel 1850, e prende il nome da Peter Hansborough Bell, il terzo governatore dello Stato.
Il fiume Bosque è lungo 115 miglia (185 km circa) e scorre nel Texas centrale alimentato da quattro rami primari. Il ramo più lungo, il North Bosque, si forma vicino a Stephenville e andando verso Waco passa attraverso le contee di Hamilton, Bosque e McLennan. Successivamente è affiancato dall'East Bosque nella contea di Bosque e dai fiumi Middle e South Bosque più vicino a Waco. Il fiume termina nel Brazos ed è arginato nelle vicinanze per formare il lago Waco.
Il Middle Bosque confina con la Prairie Chapel Ranch, casa del presidente George W. Bush, a nord-ovest di Crawford, in Texas.
John Robert Baylor (27 luglio 1822 - 6 febbraio 1894) è stato un agente indiano, politico ed alto ufficiale dell'esercito degli Stati Confederati. Dopo essere stato licenziato come agente indiano, divenne uno dei redattori fondatori di “The White Man”, che pertanto non è un'invenzione di Boselli, un giornale del nord del Texas, e un forte critico oppositore del governatore Sam Houston.
Durante la guerra civile, Baylor guidò le forze sudiste del Texas nel New Mexico e si dichiarò primo governatore del territorio dell'Arizona. Così, di suo. E venne pure confermato dal presidente confederato Jefferson Davis. Se le cantavano e se le suonavano. In un alterco, Baylor arrivò ad uccire un editore di un giornale rivale. Che personcina. Davis però disapprovava gli ordini impartiti da Baylor al suo reggimento di sterminare gli Apaches nel suo territorio e lo rimosse dall'incarico di governatore, privandolo della sua commissione in Texas. Ma tu guarda che peccato...
Successivamente Baylor si stabilì a San Antonio. Fu eletto al governo statale come legislatore, va beh ma allora ve le cercate, e divenne un allevatore. Nel 1881 uccise un altro uomo in una discussione, quando aveva circa 59 anni, ma fu assolto al processo. Non ho approfondito perché mi sta già troppo antipatico così. Morì nel suo ranch.
"Historical marker" di Neighbors a Fort Belknap in una foto reperita in rete
Il fiume Washita scorre negli Stati del Texas e dell'Oklahoma. Il fiume è lungo 295 miglia (475 km) e termina alla sua confluenza con il fiume Rosso al confine tra quei due Stati.
Il Washita si forma nella contea orientale di Roberts, in Texas vicino alla città di Miami, un'altra. nel Texas Panhandle.
Il letto del fiume Washita è costituito da fango e sabbia instabili e le sue sponde sono composte da terra rossa fortemente erosiva. Questo lo rende uno dei corsi d'acqua più carichi di limo del Nord America.
Gli esploratori francesi incontrarono il fiume Washita all'inizio del XVIII secolo mentre viaggiavano a monte del Red River e pensarono che fosse lo stesso ruscello descritto dagli amichevoli membri delle tribù Choctaw come il fiume Ouachita. Presto scoprirono che sembrava molto diverso dalle descrizioni e lo chiamarono Faux Ouachita (Falso Ouachita). Il nome fu in seguito indicato dai coloni americani di lingua inglese come False Washita. E successivamente solo Washita.
Nel 1842, il generale e futuro presidente Zachary Taylor stabilì Fort Washita vicino all'estremità inferiore del fiume per proteggere i cittadini reinsediati delle nazioni Choctaw. Questa tribù era stata spostata negli Stati Uniti sudorientali, ma anche dagli indiani delle pianure che abitavano l'area. Il forte era a circa 19 miglia (31 km) sopra la confluenza dei fiumi Washita e Red.
Durante le successive guerre indiane, la battaglia del fiume Washita (noto anche come massacro del fiume Washita) avvenne all'alba del 27 novembre 1868. Il Settimo cavalleria del tenente colonnello, non era generale davvero, George Armstrong Custer attaccò il villaggio Cheyenne di Black Kettle uccidendo molti abitanti. Tragici fatti sono avvenuti lungo le rive del Washita, purtroppo.
Robert Simpson Neighbors (3 novembre 1815 - 14 settembre 1859) è stato un agente indiano e legislatore statale del Texas. Conosciuto come un protettore equo e determinato degli interessi indiani fu assassinato per le sue convinzioni da un texano che evidentemente non era d'accordo con la concessione di alcun diritto ai Comanches. Diventò agente indiano per la Repubblica del Texas il 12 febbraio 1845.
Ricevette un incarico federale come agente indiano speciale, il 20 marzo 1847, e nel marzo 1847 prese parte al trattato tra i Comanches ed i coloni tedeschi sul fiume San Saba, che sfociò nel cosiddetto Trattato Meusebach-Comanche. Quindi aveva davvero avuto contatti con americani “german speaking”. In qualità di agente per i Comanches, coltivò quella che allora era una pratica molto insolita: visitare effettivamente gli indiani nelle loro terre ed imparare la loro lingua e cultura.
Chiamato il "sistema di campo" era unico per l'epoca.
Il risultato finale fu che trascorse molto tempo ben oltre l'allora frontiera e, secondo l'opinione degli storici, esercitò una maggiore influenza sugli indiani del Texas rispetto a qualsiasi altro uomo bianco della sua generazione. In effetti, oltre a Sam Houston, probabilmente è stato uno dei pochi bianchi a preoccuparsi di imparare dai Comanches, per non parlare dei viaggi nel cuore della Comancheria. Nel 1845 Neighbors registrò uno degli incontri più noti con il sakem dei Penateka Comanches, Capo Vecchio Gufo, mentre visitava un campo di Tonkawas.
Il Capo Vecchio Gufo arrivò con una quarantina di guerrieri e chiese ai Tonkawa di nutrire il suo gruppo di guerra ed abbeverare i loro cavalli nonchè di fornire loro intrattenimento.
I Tonkawas "obbedirono con alacrità", fornendo "quaranta bellissime fanciulle”.
Neighbors conosciuto come un uomo senza paura, colse l'occasione per essere presentati al sakem Comanche. Vecchio Gufo si complimentò con lui per il suo bel mantello blu e Neighbors non esitò a farne omaggio al guerriero. Il fatto è che anche altri guerrieri ne ammirarono prima i pantaloni, poi gli stivali e gli indumenti, e presto Neighbors rimase solo con una camicia da notte.
Vecchio Gufo, tuttavia o forse proprio per questo, lo prese in simpatia e gli disse che sebbene la maggior parte dei bianchi lo irritasse, lui gli piaceva e lo invitò ad accompagnare il gruppo di guerra prponendo di “fare di lui un uomo civile” e dicendo che lo avrebbe adottato nella tribù.
All'inizio della primavera del 1849 Neighbors fu scelto per guidare la spedizione che stabilisse la cosiddetta "via superiore" per El Paso perchè era forse l'unico uomo in Texas che poteva cavalcare in sicurezza nella Comancheria. Neighbors guidava una forza combinata militari - Rangers che includeva il suo amico personale "Rip" Ford e di fatto venne tracciato un percorso che non solo diventò quello utilizzato dalla “Overland Stage Company”, ma è lo stesso percorso preso dal autostrada oggi.
In effetti, Neighbors annotò che c'erano 598 miglia tra Austin (capitale dello stato) ed El Paso, esattamente lo stesso chilometraggio elencato oggi tra le due città.
Neighbors riuscì a convincere perfino Buffalo Hump a guidalo. I capi di guerra Penateka Yellow Wolf (cugino di Buffalo Hump) e Santa Anna, si chiamava così, si unirono a loro lungo il sentiero. L'abilità di Neighbors di comunicare ed interagire con i Comanches, e il suo rapporto con loro, rese possibile la spedizione. A quei tempi, le nomine per tali incarichi come agente indiano erano determinate in gran parte dal partito politico al potere e dall'affiliazione politica dell'agente stesso. Neighbors era un democratico, quindi i suoi servigi furono interrotti dalle elezioni e dalla successiva amministrazione nazionale Whig nel settembre 1849. Nominato commissario del Texas, fu inviato dal governatore Peter Hansborough Bell, per organizzare la contea di El Paso nel febbraio e marzo 1850. Neighbors in seguito all'elezione di Franklin Pierce nel 1853, fu nominato agente di supervisione del servizio indiano in Texas.
Divenne odiato dai texani bianchi. Egli stesso riferì che gli ufficiali dell'esercito di stanza a Fort Belknap e Camp Cooper, vicino alle riserve, non avevano fornito un sostegno adeguato a lui e ai suoi agenti nè una protezione adeguata sia agli indiani che ai coloni. L'atteggiamento dei militari era condiviso dai coloni, che credevano che gli indiani della riserva Comanche stessero commettendo continue incursioni negli insediamenti bianchi. Nonostante le continue minacce alla sua vita, Neighbors non vacillò mai nella sua determinazione di proteggere gli indiani. "La principale fonte di opposizione a Neighbors e alla sua politica era John R. Baylor, l'ex agente Comanche, che apparentemente lo incolpava per il licenziamento e si risentiva amaramente... sobillando l'opinione pubblica per cacciare il maggiore - cioè Neighbors - distruggendo la riserva..."
Neighbors riuscì a sventare con successo un attacco il 23 maggio 1859 da parte di John Baylor e 250 predoni. Convinto però che gli indiani, in particolare i Comanches, non sarebbero mai stati al sicuro in Texas a causa delle continue provocazioni dei bianhi e delle risposte armate da parte di quelle bande che ancora resistevano all'insediamento nella Comancheria, decise di portare tutti gli indiani al sicuro nei territori indiani. Ne abbiamo parlato prima.
Nell'agosto 1859 lui, e quattro compagnie al comando del maggiore George H. Thomas, riuscirono a trasferire 1420 indiani, senza perdite di vite umane, in una nuova riserva. Questo episodio viene trattato nel volume a fumetti, ottimamente inserito tra avvenimenti storici e racconto includente Tex, Zagor e gli altri personaggi, che interagiscono da vicino, fino alla sua morte, proprio con l'agente indiano. Aveva cercato di negoziare, di far ragionare i coloni, ma ciò gli portò solo minacce di morte. Non poteva pi garantire la propria sicurezza come non aveva potuto farlo, pur avendo tentato di tutto, per la tribù che cercava di proteggere. Per lo meno sulle loro antiche terre. Dopo il lungo viaggio si aspettava di tornare a San Antonio, dove stavano aspettando sua moglie Elizabeth ed i loro due figli. Ma c'era ancora una tappa da fare prima di tornare dalla sua famiglia. Purtroppo.
Neighbors si recò al villaggio di Belknap la mattina successiva per "risolvere i suoi conti come sovrintendente agli affari indiani". Il 14 settembre 1860, mentre stava parlando con due uomini, rimase colpito alla schiena da Edward Cornett. Il vigliacco fu incriminato per l'omicidio. Suo cognato, Patrick Murphy, fece parte del gran giurì che lo accusava ma non venne mai processato. Stando ai resoconti c'erano tre testimoni oculari dell'assassinio però nessuno si fece aventi ufficialmente.
Comunque Cornett cadde ucciso da un certo sceriffo Wolfarth e dai suoi uomini mentre questi cercavano di arrestarlo per il tentato omicidio pare di suo suocero, Dennis Murphy, secondo le dichiarazioni giurate dello sceriffo e della posse ai suoi ordini, come appaiono nei registri della contea di Young, in Texas.
Neighbors fu sepolto nel cimitero civile di Fort Belknap.
John Henry "Doc" Holliday e John Escapule non sono i soli a venire confusi tra loro:
capita anche per Robert Neighbors, a sinistra, e John Baylor, a destra.
Questi ultimi però non sono neanche lontanamente sosia.
Ritratti di Lorenzo Barruscotto
Stephen Fuller Austin (3 novembre 1793 - 27 dicembre 1836) è conosciuto come il "Padre del Texas" e il fondatore dell' “Anglo Texas”.
Nato in Virginia e cresciuto nel Missouri sud-orientale, Austin ha prestato servizio nella legislatura territoriale del Missouri prima di trasferirsi nel territorio dell'Arkansas e successivamente in Louisiana. Suo padre, Moses Austin, ricevette una borsa di studio dalla Spagna per stabilirsi in Texas. Dopo la morte di Moses nel 1821, Stephen Austin ottenne il riconoscimento della borsa di empresario dal nuovo stato indipendente del Messico.
Austin convinse numerosi coloni americani a trasferirsi in Texas e nel 1825 aveva portato nel territorio le prime 300 famiglie americane. Per tutti gli anni '20 dell'Ottocento, cercò di mantenere buoni rapporti con il governo messicano. Ma ha anche contribuito a garantire l'introduzione della schiavitù in Texas nonostante i tentativi del governo messicano di vietare l'istituzione. Ha guidato le azioni iniziali contro il popolo Karankawa in quest'area. Non era un santo.
Man mano che i coloni del Texas diventavano sempre più insoddisfatti, Austin sostenne la conciliazione, ma il dissenso contro il Messico si intensificò nella rivoluzione del Texas.
Guidò le forze del Texas durante il riuscito assedio di Béxar prima di servire come commissario negli Stati Uniti. Corse alle presidenziali del Texas del 1836, ma fu sconfitto da Sam Houston, che entrò in gara solo due settimane prima delle elezioni. Houston nominò Austin Segretario di Stato per la nuova repubblica e Stephen mantenne quella posizione fino alla sua morte nel dicembre 1836.
Numerosi luoghi ed istituzioni sono stati nominati in suo onore, tra cui la capitale del Texas, la contea di Austin, Austin Bayou, la “Stephen F. Austin State University”, l'Austin College e numerose scuole pubbliche.
In sua assenza, diversi eventi hanno spinto i coloni verso il confronto con il governo centralista di Santa Ana. La guerra iniziò nell'ottobre 1835 a Gonzales. L
a Repubblica del Texas, creata lo abbiamo detto da una nuova costituzione il 2 marzo 1836, ottenne l'indipendenza dopo una serie di sconfitte con la drammatica vittoria dell'inversione di rotta della battaglia di San Jacinto, il 21 aprile 1836, e la conseguente cattura di Santa Ana la mattina seguente.
Ritratto di Stephen Austin ad opera di Lorenzo Barruscotto
“Uffa, basta Storia!”
Lo siento, non avete tutti i torti. Lo sapete che è un argomento che mi piace e ogni tanto ci ricado nonostante i buoni propositi.
Da estimatore in primo luogo di Tex ma anche di Zagor non ho potuto che apprezzare e seguire con un divertito sorriso il malinconico ritratto ammantato di leggenda che viene fatto proprio dello Spirito con la scure, quasi al fine di preparare sia il magnifico fuorilegge sia i lettori all'imminente incontro, lasciando quasi l'incertezza che si tratti solo di una specie di diceria o di un personaggio inventato al quadrato.
Altro merito del disegnatore è quello di essersela cavata egregiamente con qualche faccia mica facile da gestire. Cioè già realizzare graficamente lo sguardo ed i lineamenti di un personaggio dei fumetti del quale tutti possono avere una propria versione non è una passeggiata, immaginate di aggiungere il livello di difficoltà di invecchiarne uno e ringiovanirne un altro. Non solo per un ritratto “in posa”, ma per pagine e pagine. E poi bisogna farlo anche con attori non protagonisti, come avviene per Adam Crane, sua moglie, Rose, Burnette o il figlio di Lupo Grigio. Giusto per mettere in fila i principali.
Segnalo come sottolineatura di questo mio pensiero la vignetta di pagina 98 in cui Zagor e Tex sono visti uno di fronte all'altro, di profilo.
In questa pepita però ci sono anche delle chiamiamole imperfezioni ed entrambe mi hanno lasciato abbastanza disorientato.
Senza girarci troppo intorno, la copertina non è la migliore che si sia vista per la collana “Tex Willer”. Maurizio Dotti, che è il copertinista ufficiale, ci ha abituato a veri e propri quadri ideati con maestria e dotati di grande espressività, mentre qui qualcosa non va. Non che sia un brutto disegno, ci mancherebbe, però non traspare ciò che dovrebbe attirare come il raggio traente di un'astronave qualcuno che arriva in edicola a cercare l'albo, l'espressione dei due protagonisti potrebbe andare per una tavola ma non per una cover, sembrano due figure slegate tra loro e sicuramente credo che non sia stata la sola prova perciò mi chiedo se non fosse il caso di vagliare più a fondo la scelta, soprattutto virando per un'immagine che rendesse un faccia a faccia assai più immediato ed accattivante. Insomma, in qusto caso si poteva fare meglio, soprattutto per un simile una tantum di così pesante entità. Lo sguardo di Tex in special modo, la cui espressività è ormai ben conosciuta dall'artista appare spinto volutamente nel vuoto come se si trattasse di un interprete alla sua prima parte importante che si ripete continuamente nella testa “non guardare la telecamera, non guardare la telecamera”. A mio modesto avviso, Zagor alle spalle di Tex stesso ci può stare benissimo ma il giovane avrebbe dovuto avere una posizione che ricordasse magari quella de “Il figlio di Mefisto” o “Terrore a Silver Bell”, con i dovuti aggiustamenti. Secondo me.
Stavolta non mi è stato possibile apprezzare completamente il lavoro di lettering di Luca Corda che risulta sempre impeccabile di per sé dal momento che nei balloons di gran parte del mio volume c'erano macchie di inchiostro come quando nella stampa di un foglio la rotativa risulta sporca o magari un difetto viene riportato più volte nel susseguirsi delle copie. Non so se sia stato una mancanza unicamente dell'albo che ho comprato io, cosa che non mi stupirebbe vista la capacità di trasformarsi in cecchino della mia scarsa fortuna, o se sia stato un problema diffuso.
So però che non trattandosi di una pagina o due qua e là ma di intere sezioni del racconto mi ha fatto, e mi fa ancora a ripensarci, girare notevolmente gli speroni. Trattandosi di un volume speciale, qualora non sia stato io particolarmente sfigato, mi sento di bacchettare chi di dovere per controllare questo genere di cose, visto che inficiano la qualità di un ottimo prodotto.
E ripeto causano un piccolo tornado nelle parti basse.
Tiger Jack, a sinistra, rappresenta il disagio interiore nell'animo dell'appassionato
quando un albo particolarmente atteso ha difetti di fabbricazione imprevisti
o quando un prodotto in generale presenta grossi errori nella realizzazione.
A destra Tex, nello specifico ricavato da pagina 92 di "Nella terra degli Utes",
che ha ispirato anche una vignetta in una recente storia su Tex Magazine.
< L'avventura che inizia con "L'uomo senza passato", disegnata da Villa,
ancora oggi fornisce molti spunti a diversi disegnatori,
al pari di quella che parte da "Sulle piste del Nord" firmata dal maestro Ticci. >
Entrambi sono tributi al maestro CLAUDIO VILLA realizzati da Lorenzo Barruscotto
Nel leggere non bisogna dare per scontato nulla, dietro ogni nome può nascondersi una storia nella storia nella Storia, come abbiamo visto. Stessa musica per i luoghi. Poi magari le impressioni dell'autore ed il suo modo di avvicinarsi ad un certo fatto hanno indubbiamente influenzato la versione a fumetti di quel tal personaggio, sbiancandogli la reputazione o rendendolo particolarmente odioso, al contrario. Per esempio, degno di annotazione è lo scambio di frasi di pagina 46 e seguenti.
Tra l'altro per lo meno in questa occasione se qualcuno si chiedesse dove sono andati a inventarsi il dialetto Comanche, beh, non se lo sono inventati. Da buon segugio ho controllato tramite un sito apposito e vi posso confermare che si tratta davvero della lingua di quel popolo. “Haa-maruawe” giusto per dirne una, saluto che viene avanzato da Rip Ford a Naduah, è un reale saluto che si potrebbe udire da un vero rappresentante dei Quahadi e che significa salve/ciao. Un tocco di classe che magari non viene considerato da tutti.
Non manca il piacere di una forsennata scazzottata tra uomini con il cuore ed il cervello al posto giusto, e il ferro nelle mani, contrapposti al corrispettivo di un'accozzaglia tra bulletti o membri sgangherati di una gang odierni. I quali per loro malasorte vengono senza troppa fatica trasformati in sgualciti scendiletto. Anche nei nostri “civilizzati” tempi moderni qualche volta ci sarebbe bisogno di una salutare e solenne centrifuga per lavare via il pattume da purtroppo sempre più numerose teste dure. E sarebbe un lavoro da sbucciarsi le nocche per mesi.
Nel nostro piccolo ci si deve realisticamente impegnare ad usare la materia grigia e rispettare chiunque troviamo sul nostro cammino, tenendo gli occhi aperti per evitare in tutti i modi gli scontri, fosse anche abbassando la cresta o cambiando strada dato che chi ha maggiore contenuto tra le orecchie è anche tenuto ad usarlo. Ma forse a volte proprio per questo ci si disegna sul grugno incupito da preoccupazioni e rancori un sottile sorriso quando almeno con l'immaginazione possiamo spalleggiare un paio di Rangers contro, come definirli, esemplari di feccia a buon mercato.
Il potere evocativo di una vignetta fa tornare la mente ad altre situazioni, altre storie, causando un'alzata di occhi della suddetta mente al cielo nel ritrovarci tra i piedi, con ancora meno neuroni rispondenti all'appello tra l'altro, qualcuno che se l'era già cavata a più riprese per il rotto della cuffia solamente grazie alla generosità di chi avrebbe invece potuto schiacciare un vermetto e poi andarsene tranquillamente a pranzo. Niente, con certa gente non è possibile ragionare e non ci si può aspettare neanche per caso una dimostrazione di ragionevolezza, specialmente se corrosa dal veleno del pregiudizio con una spolveratina di odio personale. Inutile dire che l'idiota in questione se la caverà ancora una volta, forse con un paio di denti in meno ma sempre e solo perché chi avrebbe potuto, e ne avrebbe avuto anche ben donde, non ha voluto. Avete capito a cosa alludo.
A pagina 72 invece inizia una delle tre sequenze a parer mio causa di maggiori straripamenti di acquolina dalle fauci di qualsiasi appassionato: il vero fulcro del volume, il primo incontro, finalmente, tra Zagor e Tex.
Non vi svelerò niente di nuovo dato che anche sulla pagina ufficiale di Tex erano state pubblicate un paio di tavole in merito: più che incontro bisognerebbe dire scontro, visto che i due si prendono le misure a suon di sganassoni. Ed effettivamente sembra quasi di udire i rintocchi dei montanti e dei diretti che si scambiano come complimenti, insieme alle frecciatine ed alle battute al vetriolo che riescono ad inserire tra un sock ed uno smack.
Semplicemente fantastico!
Anche noi come Adam Crane rimaniamo interdetti a goderci lo spettacolo nonostante l'istinto di intervenire in qualche maniera per farli smettere. Tanto avevano messo giù le armi proprio per avere le mani libere... tranquilli, tranquilli che dopo un po' smettono.
Ed ecco arrivare il secondo dei momenti centrali: la conoscenza post-schiaffoni. Le impressioni che Tex esterna nei confronti di Zagor e viceversa con Adam che svolge in questo caso la funzione di arbitro imparziale attorno al fuoco di un bivacco credo rappresentino uno di quegli intrecci, non narrativi ma tra i cammini di due intere testate, che difficilmente possono ripetersi in decenni di uscite. Sembra quasi che si sia data voce alle bonarie critiche o impressioni dei lettori del Ranger quando hanno sotto mano soprattutto per la prima volta un'avventura del giustiziare dalla casacca rossa, con le perplessità su come ci si pone nei confronti della spiritualità indiana, sul modo di vestire cioè la stessa casacca con il simbolo dell'aquila sul petto, le considerazioni sulle modalità con cui agire, se bene o in fretta e meglio se “in fretta e bene”, i richiami appena accennati a ciò che noi abbiamo affrontato all'inizio di questa conversazione vale a dire il tema della vendetta, dell'errore e del dubbio, manifesti nelle parole di Zagor, quasi inesistenti nel temperamento del giovane Tex, il quale viene prudentemente tenuto a freno da Crane, che ha comunque il suo bel da fare anche per far capire al suo amico di vecchia data proveniente da Darkwood che quell'avventato ragazzo non ha tutti i torti e che alla fine non differiscono così tanto l'uno dall'altro.
Si rischia di ricominciare di nuovo con le carezze quando viene avanzata la lontanissima ipotesi che i Texani esagerino un po' nel riferire certi racconti, ma in effetti anche a stare ad ascoltare quelli di un tizio che penzola da liane ed alberi in una foresta non è che non verrebbe qualche perplessità prima di berseli come un bicchierino del più buono tra i bruciabudella.
A pagina 80 c'è un rimando ad una vecchia storia di Zagor che già all'epoca ci aveva fatto venire la pelle d'oca annusando aria di cross-over, inteso anche solamente come “crocicchio” di racconti.
Alla fine dell'albo tale rimando viene ripreso e riproposto con un'ulteriore strizzata di occhio che vale sia per chi non ne sa niente che per chi da solo aveva immediatamente fatto saltare fuori dalla memoria proprio quelle vignette di non poco tempo fa. Noi siamo fatti così, magari sul momento non ci ricordiamo il pin del bancomat ma quando si tratta di qualcosa che ci colpisce in un fumetto rimane marchiato a fuoco come il marchio sul manto di un cavallo.
Se vi dico Nakai non vi si smuove nulla? “Conquistadores”, “Le sette città di Cibola”, “Il segreto degli Anasazi”, “La strega della Sierra”... ancora niente? Ok, ok, non prendetevela così. Vi faccio un piccolo riassunto. Anzi, vi riporto cosa dice il sito Bonelli a riguardo, con qualche aggiustatina.
Le storie in questione che voglio riportare a galla sono due, per i testi di Boselli, che per la seconda storia ha ideato il soggetto, con la sceneggiatura di Burattini, ed i disegni prima di Chiarolla e poi di Torricelli. Il tutto inizia dal numero di Zagor 354.
“Zagor e Cico vagano sotto il sole accecante del deserto. Sono soccorsi dagli indiani Hopi e fanno conoscenza con lo sciamano Masewi e con sua figlia, la bella Shumavi. Masewi parla loro di Pahana, il fratello bianco degli Hopi, colui che ha insegnato agli Anasazi (gli antenati degli Hopi) la strada della pace. E racconta delle leggendarie Sette Città di Cibola, che fanno gola ad alcuni spietati uomini bianchi. Poi i due sono sulle tracce di don Emiliano Sombra e di don Diego de Coronado, che, alleatisi con i Navajos di Nakai, rapiscono Shumavi per costringere Masewi a portarli alle leggendarie Città di Cibola. Ma il viaggio verso le Sette Città è arduo e faticoso e terribili guardiani le proteggono! Poi finalmente: la città dai tetti d'oro! L'ultima, la più importante delle Sette Città! I criminali ci sono finalmente arrivati. Ma Nakai, si è innamorato di Shumavi e sta per passare dalla parte di Zagor. Sarà la stessa sofisticata tecnologia degli Anasazi a punire la cupidigia di don Emiliano e don Diego.”
Ed ancora: “Paurose, soprannaturali presenze si aggirano nella notte e minacciano Zagor, Cico e i loro nuovi amici, il capo dei Navajos, Nakai, e la sua sposa Shumavi. Sono gli Yenalos, i demoni cambiapelle, umani che si trasformano in orride belve. E obbediscono agli ordini di Mawanah, la malvagia strega della Sierra...” Brrrrividi.
Nella conclusione della prima di queste due avventure concatenate lo sciamano Masewi profetizza a Nakai che i Navajos sarebbero presto tornati una nazione forte e che un “saggio capo bianco li avrebbe protetti dal male”. Ecco perché Zagor fa una certa domanda a Tex, dopo aver saputo il suo luogo d'origine ed ecco perché gli suggerisce di informarsi su un certo sakem. E perché noi se tutto questo fosse avvenuto in un teatro ci saremmo scambiati cenni di intesa e toccate di gomito in stile “te lo avevo detto, io”.
Di questo terzo albo speciale della collana di Tex da giovane si parla anche, beh, nella collana di Tex da giovane. In particolare mi ha colpito cosa venga detto in “Wanted!”, la rubrica che precede la storia a fumetti nel numero 39 “El Cangrejo”. Colpito non positivamente, nel caso qualcuno se lo stesse domandando. Chi di voi segue questa di rubrica non si stupirà nell'apprenderlo, dal momento che viene tirato in ballo "un" esperto.
In poche parole Boselli, che scrive la presentazione, suggerisce quello che se siete arrivati fin qui già sapete, cioè che molti personaggi dell'avventura dello speciale sono persone, veramente vissute ai tempi del West, fornendone un breve elenco. Bueno, li ho messi tutti, mi è servito come verifica. Per ora tutto ok. Ma è nella seconda colonna che iniziano i guai.
Come perché? Perché ho letto “... uno dei cui compiti è quello di fare le pulci alle storie prima della pubblicazione...”
Fermi, fermi: cosa?! Dai, ora ditelo che siamo su candid camera e diamoci un taglio!
Dunque, fatemi capire: a “garante” della plausibilità/veridicità/chiamatela come vi pare delle storie perfino di Tex è stato messo qualcuno che non riesce a completare un suo articolo senza ineleganti carpiati, ogni singola volta, conseguenza evidente di faciloneria e genericità nelle ricerche, inesperienza palesemente non contrastata dalla accuratezza nelle verifiche o nello spulciare le fonti, che non distingue un sosia da Doc Holliday, per ben due volte, lasciamo stare la terza perché mi sto ancora chiedendo chi sia davvero quel bambino spacciato per un John Henry in fasce, che considera i disegni di alcuni personaggi da parte del Galep degli inizi “ridicoli”, che inciampa più volte scrivendo il nome della tribù su cui vuole disquisire, si inventa una vita parallela per comprimari, come Gros-Jean, fa confusione con le date anche per le sceneggiature, prende a calci la tradizione di decine e decine di anni in un paio di storie proprio da lui ideate, stavolta mi riferisco a Zagor e non voglio più neanche pensare ai ragnoni telepatici, confonde sarcasmo con pessimo gusto in battute sulle amputazioni ai tempi della Frontiera, non completa nemmeno le liste quando si tratta di ricordare ai lettori una serie di albi inerenti un certo argomento, liste che gli stessi lettori potrebbero sciorinare sull'unghia, esalta certe “rotondità linguistiche” quando invece sarebbe d'uopo semplicemente un saluto ed un ringraziamento... come sarebbe stato credo normale al fine di onorare anche la memoria di chi gli consente indirettamente di lavorare, così ma sempre per lui lavoro è.
Per citare la mitica Sora Lella: “Ah annamobbene, proprio bene!”
Quelle sono “gag” che non fanno ridere per niente, anche se dopo l'effetto sorpresa delle prime, direi che potrebbero anch'esse definirsi, ehm, “prevedibili” perché, dati certi precedenti e senza un qualche indirizzo nel senso di indicazione per spingere a correggere il tiro, c'era, c'è e ci sarà da aspettarselo.
Anzi per me non “ci sarà” visto che io ho deciso di saltare del tutto certi articoli e sebbene a malincuore ponderare l'acquisto di albi, come metterla... con lo stesso passo e perciò non di uguale cuore. Questa la capiscono forse in pochi ma se aggiungo come “indizio” Dragonero per molti la nebbia svanisce. In realtà tale decisione non si orienta solo nei confronti di storie con sceneggiatura, e in rari casi con disegni, di un unico autore. Forse, solo per quel che riguarda Tex non farò distinzioni per via del fatto che non autolimiterò la mia libertà di scelta personale impedendomi di bearmi del mio fumetto preferito, il quale costituisce tra l'altro la mia unica “abitudine voluttuaria” considerando che non fumo, non bevo o altro. Sperando anche qui in tempi migliori.
Come ho sempre sostenuto, guardate che io non ho e non ho mai avuto intenzione di sconfinare nell'ambito personale, cosa che invece al contrario hanno fatto un paio di professionisti che con le parole dovrebbero anche camparci e pertanto dovrebbero essere in grado di non scivolare nel becero insulto. Io mi limito a constatazioni del tutto personali sebbene sostenute da oggettività ritengo piuttosto solide considerando che non c'è nulla di non dimostrabile o non dimostrato, che restano e vogliono restare nel puro ambito lavorativo, cioè dei lavori, dei fumetti che compro e che quindi vengono sottoposti al pubblico.
Credo fermamente che ci sia spazio per le opinioni di tutti, pro o contro che siano ad un determinato tema, qualora si rimanga nel seminato di una conversazione civile ed il sottoscritto si permette unicamente di utilizzare qualche goccia di ironia al servizio della passione per il Fumetto, sacrosanta, distinguendo benissimo tutto ciò dai problemi reali del periodo che stiamo vivendo.
Ma dato che non si sta parlando di forniture di prima necessità e comunque se per noi, purtroppo o per fortuna, rimane un hobby per altri i fumetti sono un lavoro e come tale costituiscono o dovrebbero costituire un serio argomento di discussione atto a migliorare le proprie “prestazioni”. Quindi rivendico il diritto di poter dire la mia nella mia rubrica ma anche di esprimere un pallido parere, una pallida opinione a mo' di commento su una pagina social, per esempio, dove ho già e più volte ampiamente dimostrato che non cerco risse, non prendo in giro mai nessuno, non “dico parolacce” né in generale né rivolte verso chicchessia e parlo con cognizione di causa senza che venga applicata una sorta di “bonaria censura” del tipo: “Non ti metterai a criticare sotto ogni post simile come hai fatto in precedenza, vero?”.
Forse, mi permetto di asserire, parallelamente a chi si spertica sempre e solo in lodi qualunque cosa si faccia, avere qualcuno che quando c'è da applaudire lo fa ma quando c'è da storcere il naso non ha paura di farlo, non è un male ma potrebbe rivelarsi una specie di cartina tornasole, o quanto meno la prova che c'è chi ancora sussurra onestamente un “mah” quando... qualquadra non gli cosa e non esita a zompare in piedi per dire ad alta voce “bravi” in caso di emozioni positive. Come in questo caso, per altro.
Ci hanno fatto due orecchie così per mesi e mesi su argomentazioni orrendamente insensate proprio perché per fortuna da noi c'è ancora la libertà di espressione e non penso sia simpatico venire indirettamente censurato proprio nella pagina di un personaggio che lotta per la convivenza. Il mio parere non conta più di quello di altri ma ritengo che conti per lo mano alla pari. Niente di particolarmente “grave” in ogni caso. Però forse sarebbe stato molto più “bello” ricevere una risposta del tipo: ci scusiamo se sono state riscontrate delle mancanze e ci impegneremo per colmarle al fine di migliorare sempre di più la qualità degli albi. Sincera o meno, una frase del genere suona meglio della frecciatina che vuol dire: abbiamo letto cosa ci hai scritto ma non ci interessa verificare se è vero quello che dici, tu sei un pirla che straparla e lascia perdere perché tanto la cosa non cambia. Figuriamoci verificare se le parole del suddetto fessacchiotto corrispondono anche lontanamente a ciò che poi è.
Che poi mi infastidisca, e ritengo di avere anche almeno un po' di ragione specie dopo alcune esperienze che non starò a ritirare fuori qui, quando qualcuno viene etichettato come “esperto” di una qualche specifica materia a priori e che alla prova dei fatti poi sia quantomeno un semplice appassionato che ci prova, per l'appunto, è un altro discorso. Ma tale considerazione è valida in moltissimi aspetti del quotidiano, ben più pesanti di quello sul quale stiamo conversando.
"Momento, momento..." e "..." : tributi a "I Griffin" e "I Simpson"
con Peter Griffin e Krusty, ad opera di Lorenzo Barruscotto.
Consentitemi un minuto che esula dall'esame critico ma che serve per spiegarmi meglio.
Il discorso del “non è un fatto personale” invece non è sempre stato valido nei miei riguardi, a parte le... coincidenze che ho potuto constatare tra certe pubblicazioni di certi autori e le mie, anche ma non necessariamente sulla carta stampata.
Al tempo in cui era uscito al cinema “Monolith”, esatto il film che ho citato prima, avevo fatto una recensione sul film, che è stato obiettivamente un disastro, e nel pezzo inserendo anche osservazioni sui buchi di sceneggiatura e le contraddittorietà palesi avevo analizzato l'intero lungometraggio.
E per questo, insieme al fatto che non ho voluto prestarmi al basso gioco di discutere online di fronte all'arroganza ed al muro di sufficienza contro il quale anche normali considerazioni andavano a schiantarsi, uno degli autori in pubblico mi aveva fatto oggetto di insulti indicandomi come uno che tiene un comportamento spregevole, questa era stata la parola usata, quando ho messo in atto il mio non voler “bisticciare” su Facebook, ovviamente sostenuto dalla corte di più o meno “accaniti sostenitori”, che ora mi ricordano certi assai più simpatici “cosini gialli”, evidentemente dotati di paraocchi.
Come avevo aggiunto al mio pezzo già allora, e come ho ribadito relativamente al commento social, penso fermamente che chi vive di parole e chi dovrebbe camparci per lavoro dovrebbe essere anche fornito di una dialettica tale da permettergli di ribattere ad eventuali perplessità e perfino ironie esprimendo il proprio dissenso o disappunto senza cadere dopo tre parole nell'insulto vero e proprio, nell'ingiuria e nell'offesa, anche e soprattutto quando in quel frangente si rappresenta la propria azienda, in questo caso la Bonelli.
Io non ho in quell'occasione e in nessun'altra indirizzato considerazioni che esulano dal mero ambito lavorativo, nel senso del lavoro che viene messo a disposizione del pubblico nelle edicole.
E visti i tempi che corrono, forse un altro al mio posto, meno rispettoso nei confronti proprio di quell'azienda avrebbe soffiato sulla polvere per creare un... polverone, invece di lasciar perdere.
Non comprendo poi alcuni atteggiamenti alla “santo subito” nei confronti di autori che invece hanno più volte dimostrato di non conoscere così profondamente la materia sulla quale al contrario vengono considerati espertissimi nonostante le ripetute esternazioni che sfiorano la mancanza di rispetto nei confronti di ciò per e di cui si scrive, nonché quindi di riflesso verso i lettori.
Per me scrivere di e su un fumetto è una cosa seria, altrimenti non lo faccio.
Ovviamente, ripetiamolo, non si tratta di beni di prima necessità e non è che si perdono di vista le priorità ma per me non è un lavoro mentre per altri lo è quindi dovrebbe risultare assai più importante. Ok, non lo dico più.
Se avessi messo nero su bianco io le stesse opinabili “cose” sarei stato buttato fuori a calci nel tempo di dire amen mentre invece nessuno pare accorgersi degli enormi scivoloni in cui sistematicamente ben più di un articolo incorre, anzi pare che ogni omissione, ogni informazione sbagliata frutti una specie di conferma quando invece mi domando se chi affida queste “conferme” per l'appunto abbia almeno una volta davvero letto uno a caso di quegli articoli per rendersi conto di cosa c'è dentro.
Intendiamoci, errori e sviste succedono a tutti, ci mancherebbe, a volte anche rileggendo sfuggono, però non si tratta di errori di battitura.
Se ci arrivo io che non ho alcun mezzo alle mie spalle, non dovrebbe arrivarci chi può contare su un mezzo un impero per le informazioni? C'è stata un volta, in occasione proprio del Texone “I Ranges di Finnegan” in cui uno degli autori degli articoli ha impostato il pezzo su qualcosa che NON accade nella storia, come se avesse letto un'altra cosa.
Basta andare leggermente a fondo nella ricerca, porsi dei dubbi, verificare, magari anche nelle pagine in inglese. Anche perché loro vengono pagati. Secondo me se si lavora a certi livelli, tali trappole dettate dalle ricerche che si concludono alla prima pagina di Google o Wikipedia non dovrebbero esistere. Per fare una battuta di bassa lega, mi chiedo cosa possa venire fuori se si decidesse di scrivere un articolo sulle Colt e si cercasse “pistole”, su Google.
Non vale neanche la questione dei tempi editoriali incalzanti perché se c'è troppo lavoro per chi c'è, allora la risposta è facile, prontissimo a dare una mano, e in ogni caso non credo che la quantità debba soppiantare la qualità.
Nelle recensioni capita di fare riferimenti a film o altre storie che magari vengono ricordate dalla trama di avventure più moderne. E' anche bello se succede, ma da qui a riadattare spezzoni di vecchi western al soggetto pensando che nessun altro li conosca ce ne corre.
Un po' come capita dal punto di vista meramente dei disegni per certe vignette riproposte uguali come facevano i grandi, costretti dal superlavoro in quanto da soli. Anch'io per imparare e farmi la mano ho iniziato copiando - a questo servono i maestri - prima di “specializzarmi” nei ritratti, però sugli articoli la ritengo una questione un po' diversa.
A volte un no può rientrare, diciamo, nei gusti personali. Come capita per le proposte bocciate. Però credo ci siano parametri oggettivi sempre validi, quando si parla di classici ma anche quando si parla di fantascienza o comunque di fantastico. Parametri completamente inesplorati a volte.
Una storia breve in un villaggio con una “tranquilla” sparatoria è un clichè ma ogni tanto fa anche bene e gli appassionati di western non vogliono vedere John Wayne che tira il frisbee ad un unicorno rosa ma sentire l'odore della polvere da sparo, il rumore dei cazzotti e frasi da duro contro il cattivo di turno che se le prende o scappa. Specie se si tratta di 32 pagine. Parlo di western perché sono orientato verso quel genere.
Non può esserci il “troppo complesso” se poi il meno complesso diventa una cosa da “boh” e se il meno complesso vale a seconda delle giornate.
A mio avviso ciò che traspare e che purtroppo ho avuto modo di sperimentare è che i lettori diciamo medi dicono “bellissimo” a tutto quello che ha a che vedere con una marca che interessa loro, lo direbbero perfino se si facessero i cestini da pic-nic o i pannolini con la scritta Zagor, Tex o altro. Appaiono come fan esageratamente esagitate nei confronti di una boy band negli anni 90.
Stampa con una stupenda "foto di famiglia" disegnata, ed autografata, da Maurizio Dotti.
Questo è uno stralcio di un pezzo da “Fumettiku” ma a mio avviso è utile a fagiolo per chiudere.
“Parallelamente alla mostra per gli 80 anni della Bonelli ancora visitabile alla Fabbrica del Vapore a Milano, occhio che possono rompervi qualcosa se esponete li, lo dico per esperienza, è uscito in vendita dal 25 novembre 2021 il corrispettivo cartaceo sulla storia della Casa editrice, a cura di Graziano Frediani.
Periodicamente sono state pubblicate alcune pagine, come per esempio incipit di articoli scritti da vari autori, su molteplici argomenti tutti legati al percorso editoriale della Bonelli.
Bene, interessante, direte voi. Sì, sì, verissimo, detto senza ironie.
Una delle pagine presentate al pubblico ha un titolo che capeggia maestoso: “Il decennio del futuro”. Eh la peppa! Fermiamoci a leggere di cosa si parla. Io di pipponi me ne intendo e quindi so riconoscerne un altro: inizia infatti un rimescolamento di parole per dire che il Duemila “incarnava” le speranze di un nuovo inizio all'insegna della tecnologia e del progresso. Va bene e... ecco le prime note stonate. Cito testualmente: “... traguardo apparentemente irraggiungibile ove collocare ogni sorta di meraviglia e prodigio della tecnica, aiutato in questo suo ruolo anche dalla 'rotondità', sia numerica che vocale, provate a pronunciarlo ad alta voce, non possiede un suono sublime?...”
Vi lascio un attimo.
Provate a pronunciarlo? Possiede un suono sublime? Fino al fatto che è una cifra tonda ed è “bella da vedere” ci possiamo ancora stare ma poi? Che “rotondità” ti sei bevuto, Mister C.?! E' uno scherzo, non è possibile che sia tutto vero. A parte il fatto che “il 2000” non è un decennio, ma un millennio, poi l'articolo continua dicendo che “era inevitabile che la Sergio Bonelli Editore aprisse le porte a una serie di novità per lungo tempo rimaste pazientemente ad aspettare fuori, nell'androne”. Nell'androne non è una battuta mia.
E quali sono queste novità: maggior uso del colore, nuove formule come le miniserie o i romanzi a fumetti. Quindi partiamo in quarta, vai col turbo, che inizio di millenno!
Però... Neanche la riga successiva ma proprio sulla stessa riga poi si continua così: “Il decennio si apre con la notizia della scomparsa di Gianluigi Bonelli, che avviene ad Alessandria il 2 dicembre 2001, un triste evento che rende orfano il personaggio più rappresentativo e iconico della Casa editrice...”.
Alla faccia della partenza a razzo. Complimentoni!
Noto solo io una sottilissima discrepanza e che forse, ma forse, non era il caso di impostare l'inizio in modo così inutilmente festoso e per giunta infantilmente avventato?
Se “duemila” suona rotondo, “immensa figura di...” come suona? Sferico, come minimo.
Non so se sono state pubblicate altre pagine ma mi è bastata questa, anche per autoconfermare il fatto che da ora in avanti quando troverò un “articolo”, le virgolette ormai sono imprescindibili, del genere, non solo ma specialmente, io faro un bel saltello non carpiato ma preciso preciso che mi farà atterrare alla fine, magari prenderò una altrettanto simpatica clip e lo pinzerò senza danneggiare l'albo e fine della storia. Lontano dagli occhi lontano dal cuore. Andiamo, possibile che non ci sia nessuno messo lì col compito di rileggere ed approvare o respingere gli articoli specie quando si va anche proprio alla deriva come una foglia al vento abbandonandosi a tali uscite non soltanto poco consone in generale ma proprio irrispettose tanto quanto la sfilza di fesserie già scritte e che purtroppo molti si bevono tranquillamente, nonchè che dimostrano assai scarso riguardo verso il posto di lavoro?!
Ricordiamo che se per noi è un passatempo per altri si tratta proprio di impiego, quindi il tutto cambia leggermente aspetto. Il suono sublime è diventato un rumore equiparabile a quello di una vuvuzela in una giornata in cui abbiamo avuto mal di testa dal momento in cui ci siamo alzati dal letto e sarebbe stato il caso di ripensare la partenza per lo meno, iniziando magari proprio dalla perdita, dicendo che dopo il dolore tutti alla Bonelli si sono rimboccati le maniche al fine di onorare chi ha creato la Fabbrica di sogni, per farla continuare a dignitosa testa alta e mantenerla una competitiva produttrice di emozioni, una fucina di passioni ed un luogo di rispetto, competenza e qualità di livello eccellente, che l'ottimo non sarebbe mai diventato l'eccezione e che l'impegno e la serietà non sarebbero/saranno mai oscurate dalla ricerca del profitto o dalla mancanza di luce riguardo ogni cosa, ogni atteggiamento, ogni punto di vista.
Questo si doveva dire.
No, ancora meglio: si doveva dire grazie. Sentite com'è davvero “rotonda” per quanto qualche sinonimo come armonica, melodiosa, musicale fosse sicuramente più calzante, questa parola. Ed il significato sarebbe stato, ed è, a doppio senso perché in questo utopico caso noi ringraziamo per le emozioni ma loro ringraziano perché alla fin fine siamo noi i loro datori di lavoro.
Perché si è consapevoli che donare un sorriso, costruire un ricordo, instillare un momento di svago quando tutto intorno è avvolto nelle tenebre è qualcosa di più di un compito che si può fare svogliatamente, e non ditemi che non è così, ma si tratta di una missione che si rinnova ogni volta che si incrocia lo sguardo di un appassionato appena corso in edicola per la sua mensile o comunque periodica “dose di sogni e china”.
Fermatevi a farci un pensierino, amigos. Tutti dovrebbero, lettori e addetti.
Anche perchè "questo", nel suo complesso, arriva se non a distruggere per lo meno a pestare di brutto il vivo entusiasmo e la pura passione di chi ci mette il cuore, in ciò che fa, di chi non è solito mollare, mai, di chi ha solamente la propria spinta interiore a sostenerlo nei tentativi, nel metterci la faccia, il tempo, il talento, di chi ci crede e si lancia investendo su se stesso, sulle proprie energie intellettive ed emotive e che se fallisce vuole fallire dopo essersi reso conto che "là", in quello spazio, esiste qualcosa di livello concretamente superiore.”
C'erano altre considerazioni ma nel caso vi rimando all'articolo nel suo complesso.
Zorro: un omaggio al personaggio, realizzato da Lorenzo Barruscotto.
Tornando a noi, Boselli sempre in “Wanted!” risponde ad un'obiezione abbastanza fumosa a mio avviso, riguardo l'anacronismo che dovrebbe esserci nel fatto che Tex paragoni Zagor a Pecos Bill dal momento che quest'ultimo, come detto pi in su in questo articolo, pare sia stato inventato nei primi anni del Novecento e quindi alle porta del 1860 non poteva ancora essere conosciuto.
Ehm… d'accordo, perché invece ci sono reperti relativi a un realmente esistito Spirito con la scure, proprio a due passi dalla vera casa della vera Signora Fletcher.
Abbiamo già notato come la stessa pistola che impugna Zagor non solo non dovrebbe esistere ai tempi delle sue avventure di quando non gli era ancora nevicato sulle tempie e che comunque sono state apportate delle modifiche anche tecniche quali ad esempio la metodologia di ricarica dell'arma che non era la stessa di una Colt Peacemaker ma in sostanza il tamburo ospitava il “becchime” tramite avancarica. Amen, sono cose nate decenni fa e tutti le accettano di buon grado. Al pari di un certo John Escapule che un bel giorno si sarà stufato di dire che non aveva la tisi e che non gli piaceva giocare a carte e magari avrà perfino firmato qualche autografo con il nome di un tale ex dentista pur di essere lasciato in pace. Come dite? L'ho già ripetuto? Ma dai!
Senza tornare sulla spiegazione di quella che si chiama “sospensione dell'incredulità” sviscerata più volte in passato... intanto, hombre, anche meno. Poi io darei un'occhiatina a quello che scrivo io, non io io ma io generico, prima di cinciunare, prima di fare le pulci a mezza frase buttata lì. Perché se proprio non rientrano nelle “tall stories”, letteralmente bufale, racconti esagerati, direi che di cosette che non stanno in piedi se ne trovano parecchie. O no?
L'ipotesi del tutto condivisibile e che potrebbe anche non essere troppo campata in aria che Boselli offre per sfuggire a questa “onta terrificante” è che se è vero che le storie su Pecos Bill sono state pubblicate dopo il periodo della conquista del West, può darsi che oralmente tali racconti si siano tramandati di bivacco in bivacco e che siano stati fissati sulla carta solamente in tempi successivi.
Causa una reazione piuttosto ilare pensare che, a meno di non trovarsi davanti ad un mero espediente letterario che ha chiamato in causa Mr Coiffeur suo malgrado, si tratta di una sorta di risposta aperta ad una domanda/critica. Cioè fa sorridere per due motivi: il primo è più un sorriso amaro per i motivi che ho qui sopra espresso e dopo il sorriso ci viene istintivo asciugare la fronte dal sudore, fronte già contratta nella tipica alzata di sopracciglio di perplessità. Il secondo, almeno per quel che mi riguarda, soprattutto dopo aver letto la conclusione dell'intervento, mi fa venire in mente la reazione della mia fidanzata quando le racconto un episodio o l'incontro con una persona che mi ha irritato per qualche scorrettezza o qualche ragione che si è trovata incompatibile con il mio modo di ragionare. Diverse volte mi sono sentito dire: “Sì, però anche tu ogni tanto sei troppo permaloso.” Come diceva Pippo: “Hep...”
Certo, nessuno nasce imparato, come si suol dire, ma c'è sempre un ma.Non bisogna faticare troppo, però è necessario far andare le dita sulla testiera qualche minuto di più della tipica fermata su “Wikipedia”. Anche se non si deve poi andare troppo al largo perché banalmente la pagina in inglese proprio di Wikipedia lo dice. Cosa dice? Vi servo subito: "Pecos Bill was also the nickname of Civil War general William Shatfer, although this was before O'Reilly created the legend. Shafter was considered a hero in Texas, and even had some legendary poetry written about how tough he was.”
E non lo dice dopo metri di righe, quindi facendo un passettino ino ino di ricerca, dato che come ho detto non si nasce con tutte le informazioni, ci piove addosso il nome del generale Shafter e andare a cercare qualcosa su di lui credo sia matematico, quanto meno per chi è interessato. Io lo ero e l'ho fatto. Come vi ho raccontato precedentemente. Certo, ovviamente tutto ciò implica almeno una tacca nel “passionometro” relativo a ciò per cui si dice di essere appassionati, a maggior ragione quando ci si costruisce una carriera su tale “appassionamento”.
Mah, sono tante le cose che non capisco. Questa è solo una delle, e neanche la più importante.
Un'ultima cosa: se menzionare Pecos Bill, quello vero e quello di fantasia, poteva causare “difficoltà” allora si poteva pescare un altro nome, come magari John Henry.
John Henry è un eroe popolare americano. Un liberto afroamericano, si dice che abbia lavorato come "uomo alla guida dell'acciaio", un uomo incaricato di martellare un trapano d'acciaio nella roccia per fare buchi per gli esplosivi per far esplodere la roccia nella costruzione di un tunnel ferroviario. La storia di John Henry è raccontata in una classica canzone folk blues, che esiste in molte versioni, ed è stata oggetto di numerose storie, opere teatrali, libri e romanzi.
Secondo la leggenda, l'abilità di John Henry fu misurata in una corsa contro una perforatrice da roccia a vapore, una gara che vinse solo per morire con un martello in mano mentre il suo cuore cedeva per lo stress. Varie località, tra cui Big Bend Tunnel e Lewis Tunnel in Virginia e Coosa Mountain Tunnel in Alabama, sono state suggerite come sede del concorso.
L'accuratezza storica di molti degli aspetti della leggenda di John Henry è oggetto di dibattito. Secondo il ricercatore Scott Reynolds Nelson, il “vero” John Henry nacque nel 1848 nel New Jersey e morì di silicosi e non per “esaurimento” sul lavoro.
Mmm... a pensarci bene avete ragione, non sarebbe stata una grande idea. Già così non siamo ancora riusciti, cioè “siamo”, a distinguere un John Henry da un John “che passava di lì”, figuriamoci se ne tiriamo dentro un altro con lo stesso nome. Meglio lasciar perdere. Alziamo “bandera” bianca perché è un attimo che troviamo da qualche parte scritto che i fondatori della cittadina erano parenti di Zorro e che si recavano a Tombstone per degustare le nuove specialità di gelato o, che so, di semifreddo.
In quest'ottica poi figuriamoci quanto vengono tenuti in considerazione "dettagliucoli" facenti parte invece della storia del Fumetto italiano. Esempio? Prendiamo allegramente a calci una tradizione pluridecennale mettendo sotto i posteriori di chi potrebbe fare da testimonial ad una marca di scarpe da trekking, come Zagor e Cico per il fatto che praticamente sempre anche in situazioni di emergenza vanno a piedi, regalandogli un bel paio di ronzini, inutili per il contesto specialmente se ci si deve muovere nell'intrico di una foresta tra l'altro, spuntati dal nulla ben due volte su due. Se ci sempre state in questi brutti recenti anni persone che imperterrite tenevano e tutt'ora tengono il naso fuori dalla mascherina, inutile neanche sperare di accennare al suddetto "insignificante particolare", quello dei quadrupedi è solamente uno: sarà sicuramente un altro tocco di geniale, infallibile ed incompresa, sembra unicamente da chi scrive e pochi altri, modernità.
Colonnello John "Hannibal" Smith - George Peppard: ritratto di Lorenzo Barruscotto.
Nello Speciale non mancano certo le sparatorie e anche le Colt hanno tutto il tempo di schiarirsi la voce, sulla scia di quella emozione che ormai ci accompagna fino alla fine dell'albo, specie quando i “bang” provengono dalle sputafuoco di Tex e Zagor che fanno a gara a chi mette a dormire più rapidamente i propri avversari. I quali non ci rimettono la ghirba solo per la volontà dei Nostri e grazie alla chirurgica abilità di far saltare la pistola di mano senza colpire per uccidere, quando non strettamente necessario.
Cosa che purtroppo non risulta sempre possibile, a maggior ragione quando c'è in ballo seriamente la pellaccia o non si può andare tanto per il sottile al fine di salvare anche un mucchio di persone innocenti dall'insensata sete di sangue o dal più vile e stupido accanimento contro chi non ha fatto nulla di male ma al contrario cerca di mantenere un difficile equilibrio rischiando la vita anche per coloro i quali invece non capiscono neanche dove finiscono i capelli ed inizia il cappello che hanno sopra quella caricatura di alveare vuoto che si ostinano a proteggere dal sole.
Sentiamo la tensione che sale e chi conosce i fumetti di genere western dopo un po' percepisce che prima o poi arriverà lo scontro in cui si dovrà smettere di negoziare o di usare i guanti.
La maestria del narratore consiste nell'innescare la miccia e lasciare che bruci anche “distraendoci” con eventi che potremmo considerare satelliti, per poi scatenare l'esplosione della sparatoria quasi come se ormai non ci aspettassimo più qualcosa di così in grande stile: un tocco di realtà visto che spesso i guai ci scoppiano tra le mani senza preavviso. E poi non si poteva non realizzare uno scambio di opinioni a base di piombo senza che Rangers, o meglio un ex ranger, un Comanche, un fuorilegge texano ed un avventuriero votato alla causa della giustizia, facessero cantare le loro sei-colpi, più un arco, tutti insieme.
Quando i pochi superstiti gettano via le armi mugolando “Vi prego, non sparate più!”, viene concentrato in una frase un calzante esempio della codardia di fondo, specialmente con quel “più”, che sta dietro a, e dentro, chiunque, nel West come nella vita, vuole fare la voce grossa solamente perché crede di poterlo fare dato che è il più forte. O meglio, è più forte di chi vessa. Finchè non arriva qualcuno che gli fa ingoiare le certezze.
Peccato che ciò avvenga molto meno spesso nella realtà rispetto a quanto succede nei fumetti. Purtroppo la vittoria ha il suo prezzo, assai alto, e perdiamo una persona amica nonché onesta e di valore. Però, almeno questo, tutti ma proprio tutti i colpevoli vengono puniti, nonostante il terzetto di protagonisti si veda costretto ad abbandonare il palcoscenico senza troppe parate, un po' in stile A-Team quando i problemi erano risolti.
In questo caso invece di Hannibal che si accende un sigaro dicendo la sua tipica frase: “Vado matto per i piani ben riusciti!” il nostro spirito da rudi cowboys viene scosso alle fondamenta da quello che si potrebbe definire in termini canonici un “commovente addio”, anche se chissà forse non è un addio e la parola commovente potrebbe essere un po' esagerata.
Stemperato dalle proteste del giovane che avrebbe preferito un altro tipo di “adios” e che si vede arrivare addosso un mucchio di complimenti, veri non pugni, ma anche di consigli da parte del più esperto, l'ultima delle sequenze da bacheca di un museo prende le sembianze di un malinconico e toccante arrivederci, causa di un piccolo sussulto, un altro brivido da pelle d'oca in special modo per ogni lettore già consapevole di quella “sensibilità da fumettaro” data dal non essere più un imberbe papoose, che si sviluppa con decine ed anche centinaia di albi accumulati nella propria libreria e nel proprio animo.
Vado matto per gli articoli ben riusciti!
Hasta luego, compadres.
Soggetto e sceneggiatura: Mauro Boselli
Disegni: Alessandro Piccinelli
Copertina: Maurizio Dotti
Lettering: Luca Corda
128 pagine