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Justice League - Una critica d'autore - Parte 2
Justice League of Marvel
Di Alessio Sgarlato
Dopo questa lunga ma necessaria premessa, veniamo all’oggetto del contendere, ovvero Justice League, il più bel sequel di Avengers uscito finora. I film Marvel e quelli della DC con questa pellicola si trovano a dover rendere conto allo spettatore di ingombranti somiglianze estetiche. Tanto negli uni quanto nell’altro c’è un dio cornuto proveniente da un altro pianeta che deve recuperare degli oggetti di potere a forma di cubo, custoditi in passato da civiltà superpotenti, con l’aiuto di un’orda anonima di soldati alieni. In entrambi i film il colosso muscolare del gruppo ha modi da vichingo e un’inspiegabile attrazione per i paesaggi dell’Atlantico del Nord. In entrambi i film i buoni non potrebbero salvare la situazione se non potessero ricorrere anche l’immenso capitale di un supereroe-capitano d’industria scandalosamente ricco. Ma queste somiglianze c’erano già nella materia originale, e sarebbe superfluo affrontarle quando stiamo parlando strettamente di cinema.
I problemi di Justice League, che ne fanno un film gravemente inferiore a Batman v Superman, sono tutti derivanti dal suo essersi addomesticato al modello industriale della Marvel: Zack Snyder con questo film ha rinunciato sia a esprimere la sua personalità registica, sia a darci la misura del fatto che c’è un mondo attorno ai supereroi.
Ecco allora che Steppenwolf, l’alieno conquistatore che probabilmente non ha mai letto Herman Hesse, non ha un chiaro pianeta d’origine, non ha un piano univoco (può terraformare il pianeta, dominarlo, o tutt’e due), né un vero motivo per essere stato tutto quel tempo lontano dal suo vero obbiettivo, la terra. (Ma nel frattempo ha mandato dei ricognitori affinché Batman potesse picchiare degli alieni insettosi e non dei veri delinquenti in carne e ossa). Ecco allora che Aquaman, il Balto dei mari, (Non è uomo, non è pesce, sa soltanto quello che non è), anche se tutta la sua personalità è prigioniera di questa ambiguità tra i suoi due mondi, appena Atlantide è in pericolo corre a salvarla (ma la odia, eh), ne reclama le armi, e l’eredità della regina Atlanna, regina che nel fondamentale flashback esplicativo a centro film hanno cura di non mostrarci affatto. Il personaggio di Arthur Curry è talmente affidato alla potenza fisica e alla simpatia di Jason Momoa che il film non si perita neanche di dirci se è un essere longevo come Wonder Woman o se è giovane come gli altri Leaguer reclutati durante il film. Considerando l’insistenza con cui queste informazioni vengono date rispetto agli altri personaggi, ciò ha del ridicolo. E proprio l’eternamente bella Wonder Woman, in cento anni di vita tra i mortali, non ha fatto altro che restaurare opere d’arte e piangere Steve Trevor, per uscire allo scoperto soltanto quando Luthor le ruba l’unica foto che ha di lui. Sembra quasi che la sua missione di pace tra i mortali sia stata sospesa… Perché coinvolgeva i mortali, e noi executive della Warner DC di loro non parliamo mai, altrimenti c’è il rischio che il pubblico si immedesimi e dimentichi che è solo un film. Quest’ultimo passaggio è qualcosa di cui la pellicola è talmente consapevole che Bruce Wayne lo dice a muso brutto, quasi con la stessa schiettezza di termini, a Diana Prince. Ma il problema più grande di questa “assenza di mondo circostante” è - SPOILER - il momento in cui Superman torna tra i vivi in preda a una furia distruttiva e ad accorgersene, oltre ai supereroi, sono solo due volanti della polizia. Uno scenario tanto innocuo che qualcuno può permettersi di gridare ad alta voce “Clark” senza conseguenze.
Quindi Justice League è un brutto film? Diamine, no. Per fortuna i brutti film sono altri. Ma è un film privo di ogni personalità autorale e di qualsivoglia sfida all’intelligenza o all’emotività dello spettatore: è addomesticato a un gusto, quello stabilito dalla Marvel con i suoi episodi tv sotto steroidi, dove ritmo e narrazione esplicativa cercano di stare in equilibrio tra loro senza dare mai uno scossone a chi guarda, a scapito della grammatica del cinema come linguaggio e forma d’arte.
In Justice League tutti i personaggi hanno un’introduzione pedissequa, persino Martha Kent e Lois Lane, protagoniste insieme di una delle scene più piatte insiginificanti che abbia mai visto. Aquaman ne ha due, probabilmente perché quella con più personalità cinematografica (la seconda, con l’eroe che balza dai flutti per salvare un naufrago) non era tanto parlata quanto l’altra (la prima) in cui Jason Momoa con le lenti a contatto di Rob Zombie scambia battutine con Ben Affleck su quanto è poco figo vestirsi da pipistrello – infatti noi comuni mortali non lo facciamo mai e continuiamo invece a fare cose noiose come andare a lavorare per pagare le bollette – e intanto c’è anche la scusa per aggiungere un quadrato disegnato sul muro. Caso mai qualcuno, distratto dal rumore dello sgranocchiare dei pop-corn, non avesse capito che il film parla di un tizio che cerca delle scatole. Poi c’è una sequenza d’azione di massa, poi c’è un momento cuore-amore, poi c’è una battutina per stemperare il tutto, e poi a ripetere finché il film è finito e si è arrivati alle immancabili scene dopo i titoli di coda.
Nel corso dell’estradizione delle personalità registiche dalla cinematografia Warner-DC c’è stato anche Suicide Squad, un incidente di percorso che almeno ha avuto il pregio di ricordarci che, se un film non ha una sua identità ben definita, si può arginare il danno cercando di fargli un’iniezione di carattere attraverso una colonna sonora potente ed evocativa. Joss Whedon, mestierante televisivo che ha ucciso il cinema di supereroi andando a stabilire il canone degli Avengers per la Marvel, e poi ne è stato estromesso anche lui - probabilmente per aver tentato, in un rigurgito di coscienza, di dire delle cose rilevanti - è intervenuto a completare il lavoro di Snyder su Justice League e ha avuto la brillante idea di esordire nel compito licenziando il compositore Junkie XL e assumendo al suo posto l’ormai bollito Danny Elfman, che non azzecca più una colonna sonora da La Fabbrica di Cioccolato di Tim Burton (un regista vero), e che in questo film si impegna così poco da riuscire persino a usare a sproposito e con cattivo gusto una citazione da John Williams travisando il senso del personaggio più importante.
Nel corso degli anni, film come Blade Runner o Superman II, frutto di conflitti fra produzione e autore, sono stati rimaneggiati per ottenere, almeno per l’home video, una versione definitiva che recuperasse la visione dei loro creatori. La mia Speranza (maiuscola come la S di Superman) è che un giorno esca un Justice League – The Zack Snyder’s Cut a darci il vero film che avremmo potuto avere se il talento di questo regista non fosse stato neutralizzato da ingerenze produttive e tragedie personali che gli hanno impedito di portare a termine il film che aveva in mente.