- Categoria: Critica d'Autore
- Scritto da Redazione
- Visite: 19457
I voli pindarici di Mister No
In requiem del pilota Jerry Drake, paladino dei diritti umani nel fumetto italiano: verso il rilancio!
Premessa: i vecchi nostalgici lo rivorrebbero dal 380. Difatti non tutte le cose, in ossequio alla realtà non (o anti ?) relativa, cominciano dallo 0 e proseguono direttamente con l’1, per poi giungere al 2 e, così via, all’infinito. Ciò non accade quasi mai laddove, per motivi cronologici, si giunge al 300 senza aver mai toccato l’1. Evento la cui fattualità potrebbe apparire tanto strana se unicamente considerata entro i confini limitativi della numerazione algebrica lineare, per cui dall’1 occorre necessariamente – e non a saltare – procedere, come già detto, finché si vuole.
Questa saltuarietà appare tuttavia propria, più che di alcune numerazioni, di certe letture che su queste insistono, come quella rappresentata da una saga a fumetti di cui non sempre – anzi quasi mai – si ha memoria cognitiva dal primo all’ultimo episodio edito; e le cui prime personali frequentazioni, a memoria d’uomo, si attestano entro albi ben superiori all’atavismo proprio del numero 1, che presto e spesso diviene un albo eccezionale e pertanto da ricordare: forse per la sua unicità, se non altro numerale.
Così avviene che quanti intraprendano per la prima volta la lettura di un fumetto incappino non nel primissimo numero, ma nei successivi (spesso molto avanti rispetto agli esordi), così da non capirci nulla e desistere magari ai primi tentativi di un’incostante lettura, certamente più agevolata qualora (come nelle storiche serie a fumetti italiane) non esiste, se non nella struttura di default che caratterizza il layout proprio della serie, una continuità narrativa tra le storie che si susseguono e che spesso terminano, se non entro il medesimo albo, subito nel seguente.
Proprio un episodio conclusivo segnò il mio ingresso – nella primavera del 1997 – alla lettura di Mister No: quell’albo non era il primo in assoluto, uscito nel giugno del 1975 e che, in versione ristampa (nella celebre versione del “Tutto Mister No” lanciato proprio sul finire dei gloriosi anni ’80), avrei cominciato ordinatamente a leggere circa un anno dopo. Si trattava invece del 264, dal titolo “Il vendicatore”, uscito quasi in contemporanea e da cui, ricordo, non fui particolarmente preso. Tuttavia preferii, più che dissipare del tutto e tanto celermente questa mia frequentazione novizia, immergermi nella lettura cardinale della serie, principiando da quegli albi già acquistati nel decennio immediatamente precedente dal mio progenitore di linea maschile, cultore di quella magnifica serie che è stata proprio Mister No. Già: “Ei fu, siccome immobile”, sicché ora riposa ordinatamente tra gli scatoloni e gli scaffali del mio domicilio. Mister No invero ha chiuso: dal dicembre 2006 con la serie regolare in cui prospettava già dal titolo “Una nuova vita” e dal giugno 2009 con la serie semestrale degli albi speciali di cui l’ultimo, il ventesimo (Jangadas!), proponeva un incontro con un vecchio Corto Maltese, la cui figura mi fu chiarita solo dopo un virtuale quanto fugace colloquio con lo sceneggiatore della storia, quel Luigi Mignacco che è stato, assieme al creatore nonché omonimo editore Sergio Bonelli alias Guido Nolitta (pseudonimo con cui ha sempre firmato le storie), il più prolifico redattore dei 34 anni esatti di pubblicazioni misternoniane. 34, uno più di Cristo.
In effetti, restando in tema cristiano, è davvero un miracolo editoriale come questo personaggio non sia collassato anteriormente al compimento del primo anno di età (anzi, degli iniziali sei mesi di programmazione) e giungendo, un millennio dopo, oltre la metà degli “anni zero”, sul finire di essi seppur con alterati consensi di critica ma, soprattutto, di pubblico. Proprio quello che, nel corso del tempo, ha decrementato le vendite, dunque la possibilità di mantenere ancora in vita (editorialmente parlando) un personaggio che ci faceva volare, nel vero senso della parola.
Lo spericolato pilota nordamericano trasferitosi in Brasile a Manaus nel secondo dopoguerra, pressappoco in concomitanza con la guerra in Corea, riuscì - sebbene all’epoca non avessi ancora preso un aereo - a farmi varcare le soglie dell’oceano Atlantico, catapultandomi addirittura nel Pacifico americano lungo epiche saghe che lo volevano (e lo volavano) in un funambolico peregrinare per tutto il Sud America: schedato in ogni stazione di polizia ed ospitato, di solito per brevi periodi e davvero immeritatamente, nelle triviali carceri brasiliane. Così gli ho volato a fianco, assieme ad imbonitori e malviventi ed i turisti (o farabutti per tali spacciatisi) dal grilletto facile, sorvolando con il suo scalcinato piper gli sconfinati cieli dell’Amazzonia e attraversandone i numerosi fiumi e fiumiciattoli.
Primo fra tutti il Rio delle Amazzoni (sebbene, por todos los diablos!, di leggendarie guerriere seminude non ne abbia sinora mai neppure vagamente intercettate), attraversabile più rapidamente con il voador (una piroga a motore) stando sempre attenti ai caimani che fulminei sbucavano, o ai piranha di cui quelle torbide acque sono infestate: oltre che da sciacalli della speculazione edile. Con Jerry Drake sono approdato quindi su entrambe le sponde dei fiumi: dapprima lungo i margini, poi sempre più all’interno, abitato a macchia di leopardo dalle diverse tribù di indigeni.
Quegli indios, confinati dall’uomo bianco, dalle vicende apparivano una “razza” (quella umana invero non lo è forse più) in via d’estinzione, come anche “il polmone verde del mondo” ormai solcato dalla Transamazzonica, la super autostrada che taglia la foresta come le multinazionali i suoi secolari alberi e, i locali zagaieros, falciano quei giaguari membri di una fauna che, assieme alla sua popolazione autoctona, sembra sempre minacciata dagli alieni, ovvero gli uomini.
Questo e tant’altro ha denunciato il più realistico dei fumetti italiani (sebbene appaia assai improbabile e quasi parodica una concentrazione così densa di incidenti aerei a puntata), che, al pari dell’antesignano Tex Willer e dell’epigono Ken Parker, si è più volte fatto portavoce dei diritti umani in avventure delle categorie deboli e delle minoranze, mettendo a repentaglio la propria incolumità per difendere gli innocenti: e, talvolta, anche coloro i quali fino a pochi attimi prima gli erano stati avversi. Un esempio da onorare per il fumetto italiano, che nel 2006 ha perso non solo un mucchio di carta (quelle 100 pagine mensili paradossalmente antitetiche al messaggio ecologico del personaggio) ma anche e soprattutto un ottimo paradigma, tale da inserirsi tra i colossi di sempre.
Con la differenza che ad altri “colleghi” era ed è concessa un’ampia licenza d’inventare, laddove la struttura intrinseca di questi non potrebbe assai concedersi, rispetto alle teoretiche più libertarie degli altri, oltre una pragmatica riflessione su una realtà la quale, degnamente rappresentata dal “nostro”, lo ha consacrato forse più degli altri al vertice dei sognatori, con quei suoi utopistici voli pindarici ripetutamente costretti a fortunosi atterraggi d’emergenza: condizione tanto intima che ancora oggi, puxa vida!, ci inerisce. Pertanto credo a prescindere nel progetto di rilancio della testata fortemente voluto da SBE ed attendo con impazienza questo vecchio amico, per dargli idealmente due scossoni: un calcio alla sua sfortuna editoriale ed un altro per far ripartirne definitivamente il piper.
Roberto Scaglione