- Categoria: Osservatorio Tex
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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COLORTEX 18: Recensione, intervista ed analisi
Hola, amigos!
Quest'albo fuoriserie contiene, come di consueto per quel che riguarda l'uscita invernale, storie brevi nelle quali si ospitano sperimentazioni a livello artistico con eventualmente new entries in ambito bonelliano o relativamente a Tex. Stavolta riscontriamo entrambe le situazioni, ma andiamo per ordine.
La prima storia “La casa del giudice” è firmata da veterani dell'avventura: Mauro Boselli alla sceneggiatura e Massimo Carnevale, è sua anche la splendida copertina dell'albo, ai disegni e per quest'occasione anche ai colori. La realizzazione grafica è quella che ben conosciamo, avendo potuto ammirarla anche nel recentissimo Texone "La vendetta delle ombre": ancora una volta l'artista ci regala un vero "signor" fumetto, polveroso e ruvido come piace a noi, una storia western che pare avere, come dire, un po' la voce roca per i troppi whisky scolati ed i sigari sfumacchiati.
Inoltre quando c'è nei dintorni Carnevale non può mancare la sfumatura di mistero, quel tocco di horror in più, caratterizzante il suo inconfondibile ed ipnotico stile. Pertanto: bella storia per inaugurare l'albo, anche il colpo di scena conclusivo rappresenta qualcosa che di sicuro nessun appassionato si aspetterebbe. Ci sarebbe da storcere un po' il naso? Bah, non più di tanto: i puristi non dovrebbero lamentarsi troppo, specie rispetto ad altri "incontri" ravvicinati horror, non voluti, avvenuti in un paio di volumi fuoriserie del non lontano passato, quelli sì texianamente orripilanti.
Passiamo a “Rotaie”, che vede il battesimo del fuoco di un nuovo disegnatore, Luca Michelucci (che ho provato a contattare ma senza successo purtroppo) supportato da Pasquale Ruju ai testi e dall'eccellente Oscar Celestini per la colorazione. Qui si va sul classico, tipica storia di Tex con Aquila della Notte e Capelli d'Argento che fanno il loro lavoro di repulisti, come si evince dal titolo, a bordo di un treno. Le chine sono molto pulite, lineari e ben realizzate, i Nostri sono riconoscibilissimi quindi mi sbilancio a dire che nove su dieci rivedremo prossimamente “su questi schermi” Michelucci, che con questo primo colpo di fucile surclassa già almeno un paio di professionisti navigati.
“Sulla pista per Prescott” è la terza avventura che troviamo nel volume ma diciamo che si meriterebbe la medaglia di bronzo in ogni caso. In effetti l'ordine con cui si presentano le cinque storie ricalca piuttosto fedelmente il livello che i singoli lavori raggiungono partendo dall'eccellenza a scendere di seguito un po' di qualche gradino. Il compito di raffigurare i Rangers è per questo turno affidato a Giuseppe Candita, sui testi del mitico Nizzi. Ai colori c'è la brava Erika Bendazzoli. La trama, pur ormai ben sapendo che per assurdo è più complicato ideare una storia breve rispetto ad una che sbrodola in numerosi albi, appare leggermente statica, con uno schema che i lettori non di primo pelo hanno imparato bene a conoscere, dall'iniziale incontro fortuito con i guai del caso fino al confronto finale in stile “Signora Fletcher” tra Tex ed il cattivo.
Nota a parte: Candida ha utilizzato come modello, presumibilmente, alcuni tratti dello stile di Villa, dal momento che il barman che compare a pagina 84 è il sosia identico di quello di “L'uomo senza passato”. Qualcuno potrebbe dire: “Beh, saranno nello stesso villaggio.” Naaa, malfidati. Qui siamo nel non ben precisato paese di Rainbow mentre nel numero 423 della serie regolare l'azione si svolgeva a Tuba City, Arizona. Eppure ci sono le stesse posture e c'è perfino il medesimo barilotto sul bancone. Anche durante la sparatoria di qualche pagina dopo la nostra memoria già stuzzicata dal barista fa collimare un paio di vignette con altrettante della vicenda che ci aveva portati “Nella terra degli Utes” ma poi si aggiunge anche l'ispirazione derivata, parere personale ma non credo di sbagliare troppo, dalla zona di Fort Kearny, targata Raul & Gianluca Cestaro. Gli stessi Brothers in altre occasioni avevano notato qualche influenza del loro stile e come affermato in quella conversazione tenutasi tramite social (io l'ho solo letta, non ho partecipato): capita.
Ritratto di Doc Holliday ad opera di Lorenzo Barruscotto:
è ricavato da una delle sole due foto accreditate dagli storici
raffiguranti John henry Holliday,
scattata proprio a Prescott, Arizona.
Per quanto riguarda “Il mio nome è Waneka”, la quarta storia, vi offro un'intervista che ho realizzato raggiungendo l'ideatore dei testi: Filippo Iiriti. I disegni sono di Giovanni Bruzzo ed i colori nuovamente ad opera di Erika Bendazzoli che fornisce un'egregia prova della sua abilità. Oltre all'intervista ci sono anche approfondimenti storici legati alla storia, inseriti all'interno delle domande a cui il signor Iiriti ha gentilmente risposto.
Disegno ad opera di Lorenzo Barruscotto, tributo a VILLA.
Buongiorno e grazie per il suo tempo.
Gli interlocutori delle interviste di cui mi occupo solitamente sono i disegnatori, ma in questo caso vogliamo buttare uno sguardo dietro le quinte del lavoro di chi si è occupato del soggetto e della sceneggiatura di una delle storie.
- La prima domanda è d'obbligo: in che modo è giunto alla Bonelli per presentare la sua proposta di soggetto? E' stata la prima volta o aveva già inviato in via Buonarroti altri scritti ed idee? Si tratta di un sogno realizzato una tantum o è la sua strada professionale?
La colpa ricade sulle spalle di due amici, conosciuti ad una fiera del fumetto. Stupiti dalla mia passione per Tex, inusuale per un ragazzo nato nel ‘90, mi hanno sfidato a scrivere dei soggetti per inviarli al curatore Boselli. Fino a quel momento, l’idea non mi era mai passata per l’anticamera del cervello. Abbiamo fatto una scommessa: loro a mio favore e io contro. Ho perso e ho dovuto pagare un barilotto di birra, ma l’ho fatto volentieri. Da bambino non avrei mai immaginato di poter scrivere per Tex e anche adesso stento a crederci. Nel frattempo sono diventato professore di storia e filosofia, al liceo: la mia strada principale è quella.
Considerazione personale: non così inusuale, soprattutto grazie ai social ed internet, anche se non dovrebbe esserlo per nulla, sebbene sia pur(troppo) vero che la maggior parte del target di pubblico attuale come fascia di età vada più verso i 40 (ed anche oltre) parlando puramente del Ranger, a giudicare anche dai miei ricordi nelle file delle Fiere del Fumetto a cui ho partecipato. Però non sono pochi i trentenni che leggono Tex, e chi ha la bocca ancora sporca di latte e non lo fa, dovrebbe.
Beh, quei due amici devono essere di casa al Trading Post di Kayenta: un barilotto a testa!
L'avventura intitolata “Il mio nome è Waneka” nasconde, ma neanche poi tanto, diversi riferimenti al mondo del West vero, quello reale, che è veramente esistito: oggi li chiameremmo Easter eggs. Vediamo di svelarne qualcuno. Innanzitutto la vicenda come location ruota attorno a Fort Sill, Ocklahoma. Il grande lavoro di documentazione che sta alla base della realizzazione grafica di una sceneggiatura di Tex è ben noto a tutti gli appassionati, dalle armi ad alcuni riferimenti storici, giusto per fare un paio di esempi.
Fotografia dell'entrata dell'odierno Fort Sill reperita online
Fort Sill è una postazione dell'esercito degli Stati Uniti situata a nord di Lawton, Oklahoma, a circa 85 miglia a sud-ovest di Oklahoma City. Copre quasi 94.000 acri (38.000 ettari). Il forte fu costruito per la prima volta durante le guerre indiane. È designato come monumento storico nazionale e serve come sede della Scuola di artiglieria dello US Army, nonché al Corpo dei Marines per la Scuola MOS di artiglieria da campo, della Scuola di artiglieria di difesa aerea dell'esercito ed ancora come sede della 31esima Brigata artiglieria di difesa aerea e la 75esima Brigata di artiglieria da campo.
E' anche una delle quattro sezioni per l'addestramento al combattimento di base dell'esercito. Ha svolto un ruolo significativo in tutti i principali conflitti americani dal 1869: il punto dove sorge Fort Sill fu scelto l'8 gennaio 1869 dal Generale Philip H. Sheridan, che guidò una campagna in territorio indiano ufficialmente per impedire alle tribù di razziare gli insediamenti di confine in Texas e Kansas. Tale massiccia azione svoltasi durante il periodo invernale coinvolse sei reggimenti di cavalleria accompagnati da esploratori come Buffalo Bill Cody, Wild Bill Hickok, Ben Clark e Jack Stilwell.
Le truppe accampate nella posizione del nuovo forte includevano il 7° Cavalleria, il 19° Volontari del Kansas ed il 10° Cavalleria, un gruppo distinto di Buffalo Soldiers, i soldati di colore, i quali ricostruirono rinforzandoli molti degli edifici in pietra che ancora circondavano il vecchio quadrilatero di posta. All'inizio, la guarnigione si chiamava "Camp Wichita" e gli indiani la indicavano col nome di "Casa del Soldato presso Medicine Bluffs".
Sheridan in seguito gli diede il nome definitivo in onore del suo compagno di classe ed amico di West Point, il generale di brigata Joshua W. Sill, ucciso durante la Guerra civile americana. Il primo comandante di posizione fu il Generale Benjamin Grierson ed il primo agente indiano il Colonnello Albert Gallatin Boone, nipote del più famoso e famigerato Daniel Boone.
Nel giugno 1874, la cosiddetta Guerra del Fiume Rosso fu condotta contro Comanches, Kiowas e Cheyennes. La lotta durata un anno divenne una guerra di logoramento che causò un incessante stillicidio di vite da ambo i fronti facendo convergere in quei territori parecchie colonne militari. Il Generale Sheridan ordinò a cinque di queste colonne di attestarsi nell'area del Texas Panhandle ed in particolare sugli affluenti superiori del Red River (il Fiume Rosso). La strategia era quella di negare ai Nativi qualsiasi rifugio sicuro ed attaccarli ininterrottamente fino a quando non fossero confinati definitivamente nelle riserve. Tre delle cinque colonne erano sotto il comando del Colonnello Ranald S. Mackenzie (esatto con la A, e sì lo stesso “Colonnello Mano Cattiva” di una - relativamente - recente storia di Tex).
L'uomo di medicina Little Big Mouth (Piccola Grande Bocca)
seduto davanti al suo "studio" presso Fort Sill
Ma non è finita qui.
Il Decimo cavalleria, al comando del Tenente Colonnello John W. Davidson, arrivò ad ovest da Fort Sill. L'Undicesimo fanteria, al comando del Tenente Colonnello George P. Buell, si trasferì a nord-ovest da Fort Griffin. Lo stesso Mackenzie guidò anche il Quarto Cavalleria a nord di Fort Concho. La quarta colonna, composta dal Sesto Cavalleria e dal Quinto Fanteria, era comandata dal Colonnello Nelson A. Miles e proveniva da Fort Dodge.
La quinta colonna, cioè l'Ottavo Cavalleria, comandata dal maggiore William R. Price, un totale di 225 ufficiali e uomini, più sei esploratori indiani e due guide provenivano da Fort Union, marciò verso est. Il piano quindi prevedeva che le compagnie convergenti mantenessero un'offensiva continua fino a quando una sconfitta decisiva non fosse stata inflitta ai pellerossa. Ben una ventina di scontri ebbero luogo in tutto il Texas Panhandle.
Gli indiani, viaggiando con donne, bambini ed anziani, cercavano però spesso di evitarli: quando i due fronti contrapposti si incontravano di solito cercavano di scappare prima che l'esercito potesse costringerli ad arrendersi o al confronto armato. Tuttavia, anche una fuga riuscita, cioè anche se si salvava la pelle per il momento, avrebbe avuto conseguenze disastrosamente care se si fossero dovuti lasciare cavalli, cibo e suppellettili.
Al contrario, le Giacche Blu ed i loro esploratori avevano accesso a rifornimenti ed equipaggiamenti essenzialmente illimitati, spesso bruciavano tutto ciò che catturavano ai pellerossa in ritirata ed erano in grado di continuare le operazioni indefinitamente. La guerra proseguì per tutto l'autunno del 1874, ma un numero sempre crescente di "ribelli" fu costretto ad arrendersi ed a dirigersi verso Fort Sill.
Senza la possibilità di pascolare il loro bestiame e di fronte alla scomparsa delle grandi mandrie di bisonti, le tribù alla fine cedettero le armi. Quanah Parker ed i suoi Quahadi Comanches furono gli ultimi ad abbandonare la lotta. Il loro arrivo sempre a Fort Sill nel giugno 1875, segnò la fine delle guerre indiane nelle pianure meridionali.
Nel 1877, il primo afroamericano a diplomarsi a West Point, Henry O. Flipper, fu assegnato al 10° reggimento di Cavalleria, i famosi Buffalo Soldiers di Fort Sill. Oltre ai suoi doveri di comando, ordinò ai suoi uomini di scavare un fossato per drenare una palude: questo è ancora chiamato Flipper's Ditch e ad oggi rappresenta sulle mappe un punto di riferimento su Upton Road vicino al Fort Sill Golf Course.
A differenza di altri territori degli Stati Uniti, postazioni dell'esercito come Fort Reno, Fort Supply e Fort Sill si sono trovate a rappresentare, diciamo cosi, la presenza federale e legale in una vastissima area. Fornivano protezione agli indiani ed ai civili allo stesso modo, a volte venivano usati come spazio neutro per le trattative con gli agenti dell'Indian Affair Bureau.
Nel 1880 si sparse la voce che l'oro fosse stato trovato nei vicini monti Wichita e perfino ufficiali e soldati si precipitarono a rivendicare crediti ed appezzamenti.
In piedi a sinistra: Geronimo a Fort Sill.
Foto rinvenuta online, rivisitata.
Nel 1894, Geronimo e gli altri trecentocinquanta (circa) prigionieri di guerra Apache Chiricahua supersiti furono portati a Fort Sill e rimasero nella zona limitrofa. Dopo un paio d'anni, ottenne il permesso di viaggiare con il “Wild West Show” e si unì al contingente indiano in diverse Esposizioni Mondiali ed Esposizioni Indiane annuali per diverso tempo.
Geronimo ed altri leaders indiani parteciparono alla parata inaugurale del presidente Theodore Roosevelt ed incontrarono anche il Presidente stesso durante quel viaggio.
Geronimo non era un prigioniero di guerra qualunque: era un membro dei Native Scouts di Fort Sill, ma era pur sempre un Apache dal cuore indomito e libero pertanto fece almeno un tentativo, documentato, di fuggire dal Forte, anche se non nel modo drammatico di saltare giù dai bastioni su un cavallo in mezzo ad una pioggia di proiettili, come reso popolare nel film del 1939 “Geronimo” (che ispirò i paracadutisti del 501° reggimento di Fanteria a gridare il suo nome quando si buttavano dall'aereo e che rimane ancora oggi una sorta di grido di battaglia utilizzato nelle più disparate occasioni).
Il vecchio guerriero morì di polmonite nel 1909. E' sepolto a Fort Sill.
Il resto degli Apaches rimase a Fort Sill fino al 1913. Ai Chiricahuas erano state promesse le terre circostanti il Forte, tuttavia nel 1914 i due terzi della tribù rimasta si trasferirono nella Riserva Mescalero Apache ed il restante terzo si stabilì in piccoli terreni intorno a Fletcher ed Apache, cittadine in Oklahoma. Sono diventati ciò che è conosciuto oggi come la "tribù degli Apaches di Fort Sill".
Fort Sill è stato dichiarato monumento storico nazionale nel 1960.
E' inoltre attualmente la sede di tre musei: il “Fort Sill National Historic Landmark and Museum”, che comprende il forte originale e le trentaquattro strutture storiche, il che lo rende l'avamposto di frontiera dell'era delle guerre indiane più completo oggi ancora esistente, l' “US Army Field Artillery Museum”, inaugurato nel 2009 e che ospita una variegata collezione di pezzi di artiglieria e relativi manufatti in mostra per raccontare la storia della Field Artillery Branch ed il “Museo dell'Artiglieria della difesa aerea dell'Esercito americano”, ospitato in strutture temporanee, essendosi trasferito da Fort Bliss, Texas, nel 2010.
Come detto, un distaccamento del Corpo dei Marines comandato da un colonnello, è di stanza a Fort Sill. Denominata MARDET, l'unità lavora con la “Field Artillery School” per addestrare artiglieri della Marina.
Capo Dieci Orsi in una foto d'epoca rinvenuta online, rivisitata.
Fort Sill non vide spegnersi unicamente Geronimo ma anche altri grandi capi come il sakem Kiowa Lupo Solitario e quello Comanche Dieci Orsi.
Forse non siamo troppo distanti dalla verità se associamo quest'ultimo al personaggio della storia a fumetti che si chiama Due Orsi e che guida la sua gente, Comanches per l'appunto.
Per l'indole sostanzialmente pacifica seguita soprattutto in età avanzata e per non avere partecipato alle guerre contro gli invasori bianchi, benché valoroso (come dimostrò ampiamente nel corso delle guerre "interindiane" combattendo contro gli Utes, i Pawnees, gli Cheyennes e gli Arapahos), non viene ricordato come un grande guerriero rispetto ad altri suoi “colleghi”.
Dieci Orsi, fu promotore della pace con gli Utes, insieme ai quali poi visse per qualche tempo, all'inizio del decennio 1820, e poi, nel 1840, insieme ai capi Kiowa Piccola Montagna e Orso Seduto, della pace e dell'alleanza tra Comanches e Kiowas da un lato e Cheyennes ed Arapahos dall'altro. Fu rispettato da molti popoli ed anche da capi noti per la loro intransigenza verso i bianchi.
Rimane nel ricordo di indigeni e bianchi per i suoi commoventi discorsi, il suo linguaggio poetico e le sue abilità diplomatiche.
Nell'estate 1853 i Kiowas ed i Comanches concordarono un nuovo trattato, per il quale gli Indiani concedevano agli Statunitensi il diritto di costruire piste, di stabilire depositi e stazioni e di proteggere gli emigranti che transitassero nel territorio, mentre il Governo federale si impegnava a distribuire alle tribù merci, provviste, strumenti agricoli e altri beni per un valore di circa diciotto dollari (dell'epoca ma non è che avessero vinto alla lotteria) annuali, per un periodo minimo di cinque anni. Il trattato fu firmato a Fort Atkinson da Dieci Orsi (il suo nome in dialetto era Parrawasamen, erroneamente trascritto "Parosawano" e tradotto come "Dieci Bacchette") ed altri sakem,
Divenuto capo principale degli Yamparika Comanches, Dieci Orsi visitò Washington per la prima volta nel 1863, rendendosi conto dello strapotere dei bianchi, ma purtroppo non riuscì a far riconoscere dagli scaldasedie i diritti del suo popolo. Nel 1865 Dieci Orsi firmò un nuovo trattato presso il Little Arkansas River in Kansas, che dava vita ad una riserva per i Comanches nell'area sudoccidentale dell'Oklahoma.
Alla conferenza di medicine Lodge tenuta nel 1867, Dieci Orsi tenne un discorso molto toccante, in cui espresse il suo malcontento per la vita nella riserva. Tuttavia, i suoi tentativi di negoziato furono infruttuosi: il Governo americano decretò che i Comanches dovessero cedere la maggior parte dei loro territori in cambio della piccola "Reservation" a loro assegnata.
Dieci Orsi morì nel 1873 a Fort Sill.
Dal suo discorso a Medicine Lodge (trovato in più siti tra quelli consultati per incrociare le fonti e le informazioni ricercate per questo articolo): consiglio a tutti di leggere le sue parole perchè non si tratta della battute di un film western ma è il monologo di un uomo realmente esistito, un uomo che guidava il suo popolo e che manifesta emozioni concrete ed umanissime ma sebbene in certi frangenti, come dice quella famosa frase di Shakespeare che compare nel terzo atto dell' "Enrico V" sia necessario "prendere a modello il contegno della tigre" - no, non l'ha detta solo Kevin Costner ne "L'uomo del giorno dopo" - rimane aperto al dialogo, ragionando per il bene della sua gente e non spinto unicamente dal suo orgoglio, il quale è comunque presente specie nel passaggio più crudo, un orgoglio tipico dei pellerossa, misto ad una grande dignità ed in sostanza al desiderio di essere semplicemente lasciato in pace a casa propria. Non chiedeva mica la Luna.
« … I miei uomini non hanno mai teso un arco o sparato un colpo per primi contro i bianchi. Ci sono stati disordini tra di noi, e i giovani della mia tribù hanno ballato la danza di guerra. Ma non abbiamo cominciato noi. Voi avete mandato il primo soldato e noi il secondo. Due anni fa venni su questa pista, inseguendo i bisonti, affinché le mie mogli e i miei figli potessero avere guance paffute e corpi caldi. Ma i soldati hanno sparato contro di noi e da allora c'è sempre stato un rumore come di tempesta e non sapevamo più dove andare. ... Eppure non siamo stati creati per piangere da soli. I soldati blu vennero fuori dalla notte mentre era calma e buia, e incendiarono le nostre capanne come fuochi da campo. Invece di cacciare hanno ucciso i miei uomini e i guerrieri della tribù si sono tagliati i capelli in segno di lutto. Questo accadde in Texas. Hanno portato la disperazione nei nostri accampamenti e allora noi siamo usciti fuori (dalle capanne) come maschi di bisonte quando le loro femmine vengono attaccate. Quando li abbiamo trovati li abbiamo uccisi e i loro scalpi sono stati appesi nelle nostre capanne. I Comanches non sono deboli e ciechi come cagnolini di sette giorni. Sono forti e hanno la vista lunga come cavalli adulti. Ci siamo messi sulle loro tracce e le abbiamo seguite. Le donne bianche hanno pianto e le nostre hanno riso. Ci sono cose che avete detto che non mi piacciono. Non sono dolci come zucchero ma aspre come zucche. Avete detto di volerci mandare in una riserva, per costruirci case e ospedali. Non li voglio. Sono nato nella prateria dove il vento soffiava libero, e dove non c'era nulla che spezzasse la luce del sole. Sono nato dove non esistevano confini e dove tutto respirava libero. Voglio morire lì, e non all'interno di mura. Conosco ogni ruscello e bosco dal Rio Grande all'Arkansas. Ho cacciato e vissuto nella prateria. Ho vissuto come i miei antenati e, come loro, ho vissuto felicemente. Quando sono stato a Washington il Grande Padre (il Presidente) mi ha detto che tutti i territori Comanche erano nostri e che nessuno avrebbe dovuto impedirci di vivere lì. Allora, perché ci chiedete di lasciare i fiumi, il sole e il vento per vivere dentro case? Non chiedeteci di barattare il bisonte con la pecora. I giovani hanno sentito questa dicerìa, che li ha fatti diventare tristi e arrabbiati. Non parlatene più. Amo riportare le parole del Grande Padre. Quando riceviamo doni io e la mia gente siamo contenti, perché significa che tiene a noi. Avrebbe potuto esserci la pace se i Texani fossero rimasti fuori dalla mia terra. Ma quella su cui dite che dobbiamo vivere è troppo piccola. I Texani si sono presi i pascoli e le foreste migliori. Ce li avessimo ancora noi, avremmo potuto accettare le vostre richieste. Ma è troppo tardi. L'uomo bianco possiede la terra che amiamo, e noi chiediamo solo di poter vagare nella prateria fino alla morte. Qualsiasi cosa buona mi diciate non sarà dimenticata. La porterò nel cuore come faccio con i miei figli, e sarà sempre sulla mia lingua assieme al nome del Grande Padre. Non voglio che il sangue macchi l'erba sulla mia terra. La voglio pulita e pura e lo voglio al punto che tutti quelli che arriveranno tra la mia gente trovino pace e la perdano non appena andranno via. » |
Ritratto di Mauro Boselli ad opera di Lorenzo Barruscotto,
autografato dal curatore di Tex.
Riguardo al nome del personaggio attorno a cui ruota la vicenda, il giovane Waneka esiste il Waneka Lake vicino a Lafayette, in Colorado.
Il comandante delle Giacche Blu dell'avventura di carta si chiama Hancock. E' esistito un Winfield Scott Hancock (Montgomery, 1824 – New York 1886) che è stato un generale ed un politico: fu un ufficiale di carriera dell'esercito, servì come generale dell'Unione durante la Guerra civile. La sua notorietà è data in particolare per l'attitudine al comando manifestata durante la battaglia di Gettysburg nel luglio del 1863.
Hancock concorse, per il Partito Democratico alle elezioni presidenziali del 1880 ma senza successo.
Carson in un tributo a VILLA, ripreso da "Nella terra degli Utes",
disegno realizzato da Lorenzo Barruscotto.
Riprendiamo con l'intervista.
- Tra i vari riferimenti storici elencati ce n'è qualcuno che è stato effettivamente di ispirazione per la creazione della sceneggiatura?
Il contesto storico da cui prende spunto il mio soggetto è ovviamente quello della Red River War del 1874. Una vicenda a cui si sono già riferiti, con risultati ben più alti, G.L. Bonelli (“Sulle tracce di Tom Foster”) e Mauro Boselli (“I Rangers di Lost Valley”). Ma Tex vive le sue avventure in un West fortemente idealizzato, in cui i riferimenti storici devono essere dosati con cautela, da mani più esperte, per cui tutti i personaggi della mia storia sono inventati. Qualcuno ha trovato poco realistico che un bambino bianco, rapito dai Comanches, volesse continuare a vivere con loro. Faccio però notare che uno degli ultimi Comanches irriducibili fu Herman Lehmann, un bianco rapito da undicenne, cresciuto tra i nativi ed arreosi all’esercito solo nel 1877. A lui, tra l’altro, è dedicato l’ultimo albo della collana “I protagonisti” del grande Albertarelli.
Ci azzardiamo ad affermare che chi ha manifestato tale disappunto non deve essere pervaso dalla passione per il West e per il genere western fino al midollo, dal momento che è cosa assai plausibile invece, accaduta come sottolineato nella risposta davvero, non solo nella fantasia. Un altro esempio illustre di bianco che ha preferito la vita con i nativi sebbene non si tratti di un bambino ma che ha avuto la sua parte di peripezie è Cynthia Ann Parker.
- E' mai stato nei territori del “vecchio West”? O quale luogo vorrebbe visitare tra quelli in cui Tex e il Duca hanno fatto cantare le loro Colts?
Non sono mai stato nel Sudovest americano, ma credo che prima o poi una capatina da quelle parti sarà inevitabile. Naturalmente la Navajo Nation sarebbe la meta prediletta. Una volta arrivato lì, per niente al mondo rinuncerei ad una gita a cavallo al Canyon de Chelly, tanto per citare un’attrazione ben conosciuta dai Texiani di ferro.
Sottoscrivo! Una gita a cavallo nel Parco della Foresta Pietrificata nel Deserto Dipinto, con sosta, imperdibile, a Fort Defiance che si trova sulla strada da Holbrook per visitare la sede dell'Agenzia indiana situata proprio nel capoluogo... Ad immaginarseli viene istintivamente l'espressione che ha Homer Simpson quando pensa alle ciambelle. Il Canyon de Chelly citato fa parte di un'area protetta che si trova nella parte nord-est dell'Arizona ed è divenuta monumento nazionale nel 1931. L'area è interamente all'interno dei confini dell'attuale Riserva Navajo. Volete saperne di più? Date uno sguardo a questo link: https://www.nps.gov/cach/index.htm .
I Dinè, così si chiamano i Navajos nel loro dialetto, vi danno il benvenuto nella loro lingua sul sito ufficiale.
- Non credo di andare troppo distante dal bersaglio presumendo che lei sia un appassionato del genere western oltre che di Tex, ovviamente. C'è qualche storia del Ranger che le è rimasta impressa particolarmente? O un personaggio, amico o nemico, della saga di Tex che ha un posto speciale nella sua memoria e sul quale magari vorrebbe o avrebbe voluto cimentarsi scrivendo una sceneggiatura a riguardo?
Ho imparato a leggere sugli albi di Tex di mio padre, ancor prima di andare a scuola: erano le storie comprese tra “Vendetta indiana” e “Terra promessa”. Contemporaneamente, in edicola, uscivano i lavori della ditta Boselli-Marcello. Questo è stato il mio svezzamento, ma a Tex sono legato da cima a fondo. Consiglio di studiare le prime avventure nella versione non censurata, uno scrigno prezioso che purtroppo non tutti conoscono.
Tra i comprimari storici, nutro particolare simpatia per El Morisco. Trovo molto stimolante il connubio tra la “ragion pura” del sapiente egiziano e la “ragion pratica” di Tex e soci. La coppia Bonelli-Letteri ha sfruttato questa dicotomia per creare avventure tra le più affascinanti di tutta la saga.
El Morisco in un disegno ad opera di Lorenzo Barruscotto, tributo a CIVITELLI.
- Quali sono stati gli step che hanno portato alla realizzazione del prodotto finito? Oltre a superare il rigidissimo controllo di Mauro Boselli, ma non solo lui, come si è strutturata la cooperazione, e in che grado c'è stata, con il disegnatore Giovanni Bruzzo per lo sviluppo delle scene e la trasposizione in “carne e china” dei personaggi?
Boselli, in qualità di curatore, supervisiona sia le sceneggiature che i disegni, perciò io non ho avuto un coordinamento diretto con Bruzzo; d’altra parte, dopo aver ammirato le prime tavole, ho contattato telefonicamente Giovanni e abbiamo instaurato un rapporto di simpatia e stima di cui gli sono grato. “Waneka” si regge in gran parte sulle spalle sue e di Boselli, non sulle mie.
- Che ci dice del western in generale? Quali sono i suoi film preferiti e parlando di letteratura, i suoi libri sempre ambientati tra sabbia e serpenti a sonagli?
Il cinema western fa parte della mia religione ed i sacerdoti si chiamano Ford, Hawks, Mann, Aldrich, Leone e Peckinpah. Ma in mancanza di meglio, sono capace di sorbirmi anche le pellicole più immonde, purché si senta la musica dei Winchester. Non sono un cultore della narrativa western in prosa, ma voglio fare una menzione speciale per i racconti di Elmore Leonard.
John Wayne in "Sentieri Selvaggi" (The Searchers) in un ritratto ad opera di Lorenzo Barruscotto
- Ha qualche illustre scrittore, non importa se di Tex o neanche necessariamente di fumetti bonelliani, a cui si ispira per lo stile dei suoi racconti o che magari utilizza come esempio al fine di migliorare e raffinare il suo percorso lavorativo ed artistico?
Sono un lettore onnivoro, spazio con entusiasmo da Omero fino a Leo Ortolani. Ma per chi si accinge a scrivere una sceneggiatura di Tex, il modello ideale può e deve essere solo uno, ed è G.L. Bonelli.
- Le piacerebbe cimentarsi con altri generi narrativi o altri personaggi di casa Bonelli, magari? La vedremo tornare nuovamente sulla pista che conduce a Kayenta e quindi alla “nostra” Riserva in un prossimo futuro?
Quién sabe?
- Una delle domande ricorrenti nelle mie interviste ai disegnatori riguarda le tempistiche. Ha senso chiedere la stessa cosa relativamente ad una sceneggiatura? Considerando che deve prima spuntare l'idea di una trama, che forse potrebbe parallelamente venire associata alla fase di studio dei personaggi da parte di un fumettista, dalla bozza iniziale al testo completo quanto ci è voluto per questa storia in particolare? Non sempre le cosiddette “storie brevi” sono le più semplici da affrontare perché devono esserci gli stessi elementi di un racconto di lunghezza più ampia ma in meno spazio, dagli eventi che devono avere un senso e non risultare banali o “telefonati” al twist nella vicenda fino alla conclusione.
Una volta accettata la scommessa, mi sono buttato nell’impresa scrivendo più soggetti e sceneggiature complete, nel giro di qualche settimana. Insomma ho peccato per eccesso di velocità ed entusiasmo. Ci ha pensato Mauro Boselli a raffreddare la mia “hybris”, facendomi notare gli errori ed imponendomi lunghe pause di riflessione. Tra l’altro, in qualità di autore e curatore di Tex e Dampyr, ha ovviamente ben poco tempo da dedicare agli esordienti. Perciò la lavorazione è stata nel complesso abbastanza lunga.
- Per finire, c'è un episodio verificatosi durante il processo di creazione della storia, sia sulla carta da parte sua sia poi una volta scelto dalla Redazione, che vuole raccontarci? Ha un consiglio per chi scrive e vorrebbe proporre o ha già proposto vedendo bocciata la propria idea un soggetto su Tex o su un'altra testata?
Ricordo con piacere la mia unica visita in redazione, durante la quale sono stato accompagnato in una sorta di tour guidato, per conoscere tutte le figure professionali che lavorano nella Casa Editrice. Ero così entusiasta che avrei voluto abbracciare tutti, ma per timore di ricevere in cambio un cazzotto GLBonelliano, mi sono trattenuto. In ogni caso è un’esperienza emozionante per qualunque appassionato lettore.
I consigli non spettano certo a me, li lascio ai veri professionisti. Però una cosa spero mi sia concesso dirla: per scrivere Tex bisogna conoscerne tutte le avventure, da cima a fondo, e possibilmente averle interiorizzate fin da bambini. Credo che questa sia una condizione necessaria, anche se non sufficiente.
Grazie
Grazie a voi, è stato un piacere.
Un giovane Tex: disegno ad opera di Lorenzo Barruscotto, tributo a GALEP.
L'ultima storia si intitola “Al palo della tortura” e vede Aquila della Notte invischiato in una brutta situazione in cui lo hanno messo Ruju ai testi e Aldo Di Gennaro ai disegni. I colori sono affidati ad un altro fuoriclasse: Matteo Vattani.
E' interessante l'inizio “in medias res” cioè già al culmine della vicenda con il flashback esplicativo che si ricollega al momento di massima tensione della trama. Ci aspettiamo ovviamente che succeda qualcosa ma ciò che poi accade è una delle ipotesi che il nostro cervello da Texiani aveva formulato mentre eravamo costretti a fare un salto indietro nel tempo per comprendere i fatti. E bisogna dire che si verifica poi l'opzione più dannatamente “da Tex” che poteva avverarsi ed a noi piace così. Ci piace maledettamente.
La mano del maestro Di Gennaro non ha bisogno di complimenti o recensioni, basta il nome per definirla, sebbene, volendo usare i raggi x, un colpo di pistola a bruciapelo ad un certo punto non ottiene le conseguenze che ci si aspetterebbe, cosa che lascia per lo meno sulle prime alquanto interdetti.
L'impeccabile lettering di tutte le avventure è stato magistralmente eseguito da Luca Corda che si riconferma un grande e preciso esperto nel suo lavoro.
Disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a TICCI
State al riparo dal freddo e lontani dai guai il più possibile, amigos: il che significa mettere la mascherina, con il naso dentro, non accalcarsi a comprare tanti regali dal momento che il regalo più bello rimane conservare la pellaccia anche per i vostri cari, saltare qualche aperitivo piuttosto che restare inchiotati in un letto imitando Darth Vader, quello con la maschera nera di Guerre Stellari (non è una battuta), e quindi, come sempre, che siate nel selvaggio West o nel selvaggio presente, la parola d'ordine è sempre la stessa: buonsenso!
Visto che sono già spuntati parecchi alberi di Natale, nel caso non passaste più per il Trading Post in questo strano e ben poco “festaiolo” Dicembre, faccio a tutti voi i miei sentiti auguri: possiate trascorrere delle Festività il più possibile serene nella speranza che il prossimo anno sia meglio del 2020, il quale è stato e purtroppo è ancora balordo come un toro imbizzarrito ed altrettanto pericoloso per molta, troppa gente.
Vayanse con Dios, hermanos!