- Categoria: Osservatorio Tex
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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RECENSIONE TEX INEDITO 705: “LA MASCHERA DI CERA”
Hola, hermanos!
Diciamo due parole sulla prima parte della storia che inizia con il numero 705, l'inedito del mese di Luglio 2019.
Disegni:
A mio parere sono la colonna portante dell'albo. Il disegnatore è una (quasi) new entry sulla pagine di Tex ma non è certo un novellino con la matita in mano, men che meno un nuovo arrivato in casa Bonelli. Michele Benevento, classe 1978, ha un curriculum di tutto rispetto alle spalle. Si va da collaborazioni con Giuseppe Palumbo per la realizzazione di sfondi in alcuni speciali di "Diabolik", ad una miniserie su "Nick Raider" fino a comparire con illustrazioni in appendice a “Il Comandante Mark”, giusto per fare qualche esempio. Insegna alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze, compatibilmente con i suoi impegni lavorativi. Per la Bonelli ha lavorato sulla serie "Caravan", completato un numero di "Dampyr" e riproposto la sua arte per un'altra miniserie, "Lukas", di cui è coautore con Michele Medda, quest'ultimo autore di Caravan. Noi Texiani lo abbiamo già conosciuto: erano sue le chine di un'avventura che compariva nel ColorTex numero 6 uscito nel 2014 e che dava proprio il titolo al volume: “Stelle di latta”, su soggetto e sceneggiatura sempre di Michele Medda con il quale deve avere una buona affinità lavorativa. I colori erano di Oscar Celestini. Già da quella storia breve si poteva capire che non sarebbe stata solo una toccata e fuga perché lo stile dell'artista si adatta perfettamente alle atmosfere del West dove i Rangers sono di casa.
Ho anche trovato una vecchia intervista sul blog portoghese “Tex Willer Blog”, nella quale Benevento confida le difficoltà tecniche del cimentarsi con la Leggenda. Ad esempio sostiene che “per disegnare meglio le atmosfere western avrebbe dovuto eseguire il ripasso completamente a pennello”. Mentre solitamente applicava “una inchiostrazione a pennarello per le parti architettoniche o per gli elementi quali pistole ed armi” e a pennello unicamente “per le figure o gli elementi naturali (rocce, alberi, nuvole)”. Questa maggiore precisione comporta inevitabilmente allungamenti nei tempi di produzione. Sembra che lo stesso Claudio Villa abbia associato lo stile di Benevento a quello di Giolitti ed a pensarci bene l'occhio del mitico Villa è sempre acuto come quello di un guerriero Navajo.
Altri autori che per sua stessa ammissione considera maestri sono Ticci e Venturi. Beh, come dargli torto. Lo stile di Benevento si destreggia magnificamente tra le strade di una città fin troppo affollata per i gusti di Carson, ma anche del sottoscritto, che sia vista dal basso e dalla polvere sollevata da una diligenza che arriva a tutta velocità, rischiando se non di travolgerci quanto meno di trasformarci in statue ricoperte di terriccio alzato dalle zampe dei cavalli e dalle ruote, oppure che la osserviamo da una prospettiva differente, vale a dire dai tetti delle case, mentre inseguiamo un nemico pauroso ed insolito.
La cura dei dettagli traspare dalle tavole proprio come l'acquolina in bocca riempie le fauci ad un assetato avventore di un saloon quando gli viene prospettata una bevuta gratis: la nebbia che avvolge edifici e magazzini all'alba nella zona del porto, la storia è ambientata a Los Angeles, i particolari e le rifiniture di casolari che al solo voltare la pagina ed osservarli con attenzione sembrano far uscire dalle stesse vignette gli scricchiolii del legno di cui sono fatte, rumori che oltre ad essere inquietanti rischiano di rivelare la nostra posizione, poiché i disegni dell'artista ci risucchiano costringendoci a diventare volenti o nolenti agenti speciali “sul campo”, infondendo quando serve un clima di sospetto ed obbligandoci a restare sul chi vive per evitare spiacevoli sorprese a base di piombo. Ma anche sotto forma di un poco simpatico palmo di freddo acciaio tra le scapole. Stesso discorso per le ambientazioni: parlando degli interni, rimaniamo a bocca aperta ammirando praticamente tutto, dalle pieghe delle tovaglie dei tavoli dell'albergo in cui risiediamo, ai candelabri appoggiati sui mobili, alle rifiniture di una poltrona intarsiata dove un galantuomo svogliatamente seduto è apparentemente impegnato a leggere il giornale... non abbassate la guardia perché potrebbe invece benissimo trattarsi di qualcuno messo alle nostre costole per tenerci d'occhio. Anche le vedute di più ampio respiro sono degne di nota: il porto l'ho già citato, la stessa città che si apre al passaggio dei due Pards a cavallo lungo la main street o mentre camminano per strade secondarie diretti verso l'ufficio dello sceriffo o verso un locale per zavorrare lo stomaco, lo stesso saloon con tutti i clienti, cowboys o piedidolci, raffigurati splendidamente, fornisce un senso di goliardia quando la gente sbevazza e scherza ai tavoli nell'attesa delle ballerine o della bella cantante di turno, quasi portandoci alle narici l'acre odore dei sigari che impregna l'aria della sala, atmosfera che muta per diventare poi tutt'altro che allegra quando iniziano a volare le pallottole.
Anche i Nostri “sono proprio Tex e Carson”, riconoscibili non solamente dai loro abiti come accade talvolta: la postura, le espressioni facciali (impagabili quelle che Capelli d'Argento a volte ci regala ben sapendo la montagna di grane a cui sta andando incontro) ed il modo di agire collimano con l'idea che un Texiano esperto si è costruito dei Rangers. Inutile dire che la mano del disegnatore offre uno stile moderno, frutto di studio e di aggiustamenti che alla fine lo hanno fatto giungere a concretizzare un suo proprio tratto, pulito nella forma ma, come dire, sporco nella resa di certe inquadrature, e quando si tratta di genere western questo non può che essere un punto a favore, massiccio ed a tratti spigoloso dove serve. Anche gli altri personaggi che si susseguono nella narrazione sono molto ben caratterizzati: incontreremo un bonariamente rude ma sveglio tutore dell'ordine, alcune leggiadre (anche se non saprei fino a che punto) fanciulle, un a prima vista dotto e posato medico, ma anche viscidi serpenti celati dietro modi melliflui e balordi di prima categoria che rimangono pendagli da forca nonostante vadano in giro conciati come dei pinguini il giorno della domenica. A parte gli elementi “normali” che un disegnatore deve affrontare quando si approccia ad una storia di Aquila della Notte, in più stavolta c'è la difficoltà del confronto diretto con un vero e proprio mito, cioè Galep. Ebbene sì, il realizzatore grafico di Tex tornerà in mente a tutti gli appassionati poiché viene rievocata con i tratti di Benevento, in una sequenza sostanzialmente sovrapponibile all'originale, una scena di tanti anni fa, risalente al numero 5, quando i giovani Tex e Carson si trovarono faccia a faccia con qualcosa di totalmente inaspettato anche per chi come loro ne aveva già viste di tutti i colori: un enorme gorilla che irrompe nella loro camera d'albergo e cerca di farne polpette. Allora per curare il carattere tutt'altro che docile di Gombo, questo il nome della “bestiola” che avrebbe fatto invidia nei modi ad un maniscalco con emicrania, mal di denti e postumi freschi di una martellata sul mignolo tutti messi insieme, c'era voluto un buon mezzo chilo di piombo sputato dalle fiammeggianti Colt senza contare il terrore puro che aveva raggelato le vene dei nostri eroi di fronte ad un tale orrore peloso. (Se volete ripassare l'episodio, avevamo parlato di “Satania” in una recensione ormai datata. Vi allego qui il link: http://www.fumettodautore.com/index.php/magazine/osservatorio-tex/5371-classic-tex-numero-11-satania )
Per quanto riguarda la rievocazione, a mio parere, per dirla in due parole: missione compiuta. Dal punto di vista artistico questo volume è ottimamente riuscito.
Kit Carson in un disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a BARISON
Storia:
Ecco, se leggendo fin qui avete pensato che questa è la solita recensione entusiasta snocciolata da un tizio “troppo innamorato di Tex”, come un paio di volte mi è stato obiettato, avrete tempo di ricredervi. Infatti, sempre secondo me, la trama è il punto debole dell'albo.
Sappiamo che da un po' di tempo a questa parte ci sono stati ritorni anche illustri. Alcuni importanti personaggi hanno nuovamente incrociato la pista dei Pards: pensiamo a Yama, Proteus o al Maestro ad esempio. Non sono stati tutti incontri negativi, dal momento che abbiamo rinnovato l'amicizia con qualcuno che è tornato dal passato, sempre a portare guai ma non direttamente per colpa sua (inutile stare a polemizzare ulteriormente su chi vorrebbe o avrebbe voluto qualcosa di più di un forte ed inossidabile rapporto di “fratellanza” tra il Ranger e la messicana Lupe o peggio tra Aquila della Notte e la “piccola Tesah”). Tale valanga di memorie non è ancora finita poiché ci era stata promessa l'entrata in scena di quella che avrebbe dovuto essere la figlia di Satania. Ed in effetti questa storia sembra proprio costituire la prima parte dell'avventura in cui i Nostri avranno a che fare con un altro salto indietro nel tempo. Fin qui tutto bene, personalmente se organizzati ad arte amo i volumi con le vendette dei cattivi che credevamo stecchiti mentre invece spuntano fuori dalla presunta tomba come se neanche l'inferno li volesse.
Per quanto riguarda certi tipi di intrecci narrativi sono validi se e finchè la storia regge e, per riprendere i due nomi illustri appena nominati, secondo chi vi scrive quelli di Lupe e Tesah, per quest'ultima mi riferisco unicamente alla serie regolare inedita, dato che per gli albi sul giovane “Tex Willer” nella collana parallela ci sarà spazio in un'altra analisi, sono stati già sufficientemente ed ampiamente sviscerati, altrimenti si rischia di creare un susseguirsi di vecchi personaggi con il loro carico di polemiche e di polveroni alla "purchè se ne parli", alimentati o creati da una parte del lettori, finendo inoltre per far diventare ripetitivo il modello su cui si basa il racconto stesso. Ed è in parte ciò che accade proprio in occasione dell'albo di cui parliamo. I lettori con la memoria più da elefante avranno già subodorato qualcosa ammirando la copertina realizzata da Villa: dinamica, accattivante ed angosciante allo stesso tempo, fornisce un elemento chiave che ci fa tornare con la mente al suddetto numero 5: il mostro, a prima vista un gorillone, che in stile King Kong ma meno vitaminizzato si porta via una fanciulla saltellando sui tetti.
L'accostamento al gorilla di Satania scatta come il cane di una Colt quando sentiamo un rumore che non ci piace provenire dalle ombre poco lontane dal nostro bivacco.
Ora, per precauzione lo dico ma non è un vero e proprio allarme anticipazioni, dal momento che ci si poteva arrivare già dalla cover, però per correttezza devo avvertirvi che potrebbero esserci un paio di spoiler qua e là nelle prossime righe. Soft, ovviamente, senza sputacchiare troppo di quello che dice la trama. Dunque: è evidente che la maschera di cera del titolo celi nascosta l'identità del capo di una misteriosa organizzazione criminale che Tex e Carson si trovano a contrastare chiamati da un loro amico di vecchia data, il detective della Pinkerton Mac Parland, come annunciava il trailer del mese scorso.
Il fatto è che la prima scena dopo il prologo iniziale ricalca quelle riunioni di cattivi che devono rendere conto del proprio operato al capo dell'organizzazione, sciorinando i dati sulle varie sezioni e rispondendo di ammanchi o fallimenti. Non sono stato il solo a pensare che sia un neanche troppo velato, non saprei se voluto o meno, passatemi il gioco di parole, richiamo ai film di 007, dal momento che uno dei diciamo sottoposti impara cosa significhi “deludere” il proprio boss facendo una brutta fine. Proprio come nelle pellicole di James Bond. La differenza sta nel fatto che qui il cattivo ha in braccio una scimmietta, per altro simpatica quando un cactus piantato tra le natiche, mentre il classico avversario dell'agente speciale britannico con licenza di uccidere aveva un gatto bianco.
Per non menzionare il nome del capo della banda: mister Doom, molto “bondiano” e non solo.
Per chi invece preferisce i film moderni viene in mente una scena di "Kill Bill" (volume 1) di Tarantino, quando la spietata Lucy Liu discute i piani per il futuro con i vari capi delle sottosezioni organizzati in un tavolo proprio come nella storia di Tex e, diciamo, si lascia trasportare, quando uno di questi contesta le sue decisioni facendogli... perdere la testa. Letteralmente.
Ma non temete, ce n'è per tutti i gusti: infatti l'animale anche se, lo ripeto, non ne condivide la simpatia, riporta alla mente Jack, la scimmietta dei “Pirati dei Caraibi”, omonima del Capitano Jack Sparrow, interpretato da Johnny Depp.
Durante le indagini che prevedono colloqui con Mac Parland, con lo sceriffo di Los Angeles e qualche interrogatorio sotto copertura (sebbene non si possa dire che i nomi falsi usati dai due Rangers si discostino propri così tanto da quelli originali neanche per assonanza, cosa che è accaduta spesso in passato, non è questa la prima volta) si susseguono ad un buon ritmo che serve ai Nostri ed al lettore che cammina silenzioso al loro fianco per iniziare a raccogliere i primi elementi. Finché si inciampa in un'altra coincidenza per Tex e Carson, ripetizione per un Texiano: (ecco il secondo spoiler anche se tale personaggio compare già nelle primissime pagine) chi usare come sicario che non parla, non contesta gli ordini, non sbaglia mai, privo di scrupoli e fedele come un cagnolino? Ovviamente il solito servo malese. Se non erro la stessa Satania aveva un servitore proveniente dalla patria di Sandokan, si chiamava Dakyar, ed anche Andrew Liddel in una delle vecchie avventure ne aveva uno che uccideva col veleno (il terribile Kalang ne "La minaccia invisibile" firmato da Letteri). Per non parlare della Tigre Nera ma in quel caso tutti gli sgherri provenivano dalla medesima nazione.
Dato che siamo sul viale dei ricordi, inquadriamo meglio Mac Parland: incontrato per la prima volta anni fa, in corrispondenza del numero 31, è un uomo che potrebbe facilmente passare inosservato, non molto alto di statura ma sagace ed arguto, oltre che coraggioso. Spesso lo abbiamo solo sentito nominare in quanto "dispensatore di grane", infatti in diverse occasioni i Rangers sono in missione per conto o su richiesta dell'agente Pinkerton che al massimo è presente in fugaci apparizioni. Succede nel "La banda del teschio" di Blasco e Nizzi o nel più recente "Puerta del Diablo" di Ortiz - Nizzi, mentre invece era tornato ad essere un comprimario nella lunga e favolosa inchiesta contro la Tigre Nera, quando imperversa a Leadville (da "Il regno del silenzio" a "Percorso infernale", disegni di Villa su testi di Nizzi).
Comunque sia, nella storia di cui parliamo oggi ci sono probabilmente depistaggi, alcuni palesi per chi da anni cavalca insieme al Ranger, altri più sottili, si instaura un clima di sospetto che potrebbe anche reggere e coinvolgere il lettore ad un livello maggiormente profondo, tra i vicoli nebbiosi di Los Angeles. Però a mio parere stavolta il soggetto e la sceneggiatura di Boselli non riescono fino in fondo nel loro intento.
E' interessante che ci sia la fase preparatoria con alcuni personaggi che solo apparentemente non c'entrano con la storia, ci sono due ragazze di primo acchito estremamente diverse tra loro, oserei dire proprio agli antipodi, forse troppo per non avere qualcosa in comune che potrebbe venire fuori più avanti, un filo conduttore che include anche un certo dottore molto capace che capita per caso sempre al momento giusto o fornisce imbeccate agli investigatori. Potrebbe essere un semplice buon diavolaccio, come direbbe Carson, ma né lui né le due amabili fanciulle me la contano giusta. Se è come sembra, potrebbero anche esserci in mezzo mille sparatorie, mille binari morti nelle indagini ma, ripeto, se c'è davvero la figlia di Satania a capo di un'organizzazione che si muove nell'ombra e si scopre essere una certa donna che ho in mente, consentitemi di espormi, risulterebbe banalotto. Sarebbe non banale ma facile da scoprire anche se per esempio si verificassero le ipotesi che mi sono fatto e che, in un'amichevole conversazione, per quanto stranamente interessata alla mia opinione sul soggetto, dal momento che avevo espresso una certa riserva sull'eccezionalità della trama per i motivi che enuncio in questo articolo, tenuta su e “con” la pagina ufficiale di Tex su Facebook, ho avuto modo quasi “spintaneamente” di spiegare.
Che ci sia una “parente” di Satania ormai è praticamente appurato. Ma le o i parenti potrebbero essere più di una/o. Come ho detto nei commenti social probabilmente la storia è, ce lo auguriamo tutti, molto più complicata ed intricata di quello che appare e ci saranno colpi di scena molto più “gombosi” (infimo neologismo riferito al nome del gorilla Gombo) ma rimane il fatto che ci siano molti elementi che sono completamente sovrapponibili alla vecchia storia e che scricchiolano nell'ambito della credibilità come le assi di lagno delle case summenzionate in precedenza.
La mamma era una pazza psicopatica con ai suoi comandi una banda di assassini e rapinatori, la figlia uguale, la mamma si teneva come animale da compagnia un gorillone e la figlia fa addirittura il bis: scimmietta in braccio e bestione in versione 2.0 che vuole trasformare Tex e Carson in carne trita proprio come allora. Non mi stupirebbe se scoprissimo che questo sia un discendente del Gombo usato da Satania, visto l'andazzo.
Sarebbe stato a mio parere un bel rimando, fine e da intenditori, se ci fosse stata solo la scimmietta perché magari nel DNA di famiglia c'era la passione per esotici animali pelosi.
Altro elemento sul DNA: tutta la storia si basa sul fatto che se un genitore è cattivo anche il figlio deve diventarlo. A volte può essere anche vero, ma non è una certezza matematica. Se vogliamo dare un minimo di verosimiglianza e non sconfinare nel territorio degli unicorni coccolosi, parlando dal punto di vista della sospensione dell'incredulità, chiamata in causa più volte in questa Rubrica spesso a difesa della storia che si recensiva, appare leggermente tirato per i capelli il discorso “tale madre tale figlia”. Una cosa è se questa “impronta genetica” coinvolge i fratelli di criminali, come accaduto nello stupendo “E venne il giorno” (disegni di Brindisi, soggetto e sceneggiatura di Boselli) o se si tratta di elementi marginali ma solidi o personaggi minori come in “Ritorno a Culver City” (splendida storia disegnata da CIvitelli su testi di Nizzi), ma dare per scontato la faccenda stride un po'. Certo, può anche darsi che poi tutto venga ampiamente spiegato, nel qual caso sarò ben lieto di aver preso una cantonata.
Per esempio potrebbe realizzarsi una delle mie ipotesi: le figlie sono due, impersonando a turno la leader dietro la maschera per fornirsi un alibi a vicenda o dominare meglio con la paura i loro subalterni. Un vero colpaccio sarebbe invece se sì, ci fossero due cattive, ma che una fosse la stessa Satania non stecchita, una Cora Gray magari sfigurata dalla caduta nello strapiombo, questo spiegherebbe la maschera, che aveva una figlia e che l'ha allevata per tutti questi anni nell'odio. Questo per me sarebbe un colpo di scena coi fiocchi nella trama ed avrebbe senso il ricorrere all'albero genealogico. Madre e figlia che governano il loro impero del male, un po' come voleva fare Darth Vader con Luke in "Star Wars".
Però volete invece mettere la caratura morale ad esempio del figlio di Zhenda, Sagua, che sebbene tentato ed ammaliato dalla madre per il “trono” ed il controllo delle tribù Navajos non solo non accetta ma si schiera contro di lei per fermare la sua pazzia aiutando il nostro poker d'assi ad impedire che vengano provocate ulteriori vittime innocenti? Certo, qualunque finale avrà questa storia, simile ad una delle mie ipotesi o completamente differente, ciò non toglie le caratteristiche ripetute che ho elencato poco fa, indipendenti dal fatto che la struttura della trama non si discosta da altre avventure: Tex e compagni hanno già sgominato bande di criminali organizzati che spesso venivano spazzati via a suon di piombo, senza avere nulla di, come dicono alcuni, "telefonato", vale a dire prevedibile ed ipotizzabile da un lato e perfino eccessivo (come la scena che ripropone la tavola di Galep) nel voler assicurare che è proprio quella storia. D'altra parte non si può sempre concordare su ogni punto e per qualcuno un risultato, un elemento sembra brillante mentre per qualcun altro lo stesso lavoro lo appare di meno. Io non chiedo di meglio di stupirmi ed affermare “per mille diavoli!”. Speriamo in ogni caso che in un prossimo futuro non facciano la loro comparsa, che so, fantomatici cognati o cugini di terzo grado...
Una lancia va spezzata per il modo in cui è stato delineato lo sceriffo di Los Angeles Billy Rowland: perfettamente ideato per essere la persona onesta ed in gamba che è ma che non si aspetta quanto possano risultare travolgenti quei due tizzoni d'inferno ospiti della sua città. Le scene in cui si “stupisce” di trovarli sempre in un guaio o sul luogo in cui accade qualcosa “di interessante”, per non parlare delle sue espressioni quando Tex e Carson lo stuzzicano parlottando tra loro dei metodi di indagine che sono soliti usare, fanno apparire sul volto del lettore un divertito sorriso.
Ammetto che sono piuttosto scettico che lo sceriffo possa essere coinvolto negli sporchi traffici della Maschera di cera ma come accade nella vita, quando si può essere certi di conoscere davvero qualcuno? Le mie puntate di questa partita vanno sulle ipotesi che ho snocciolato, diciamo fifty-fifty tra due sorelle o Satania rediviva e sua figlia, ma sempre due maschere.
Anche il Grinta ha qualche dubbio...
Ritratto di John Wayne che interpreta il burbero Rooster Cogburn, ad opera di Lorenzo Barruscotto.
Riferimenti storici:
Pochi. Innanzitutto le mie ricerche non hanno portato a confermare che la figura dello sceriffo stavolta sia una persona realmente esistita come invece accaduto per il capo della polizia, l'ispettore Thomas Byrnes, nell'avventura a Manhattan contro il Maestro. Ho trovato solo un pianista di nome Billy Rowland, compositore di molti brani e vissuto nel Ventesimo secolo quindi nessuna corrispondenza, quanto meno secondo le mie ricerche.
Il vero elemento storico è costituito dalla Agenzia Pinkerton. Avevamo già avuto modo di spendere due parole su questa compagnia di pubblica sicurezza e sul suo fondatore in passate chiacchierate.
Tutti i Texiani degni di questo nome sanno cosa sia la famosa Agenzia governativa di investigazione i cui agenti hanno incrociato spesso la pista con quella dei Rangers. Forse però non tutti sanno che Allan Pinkerton, era figlio di un poliziotto di Glasgow, Scozia. Emigrato come tanti in America per stabilirsi nei dintorni di Chicago, il giovane Allan riesce a sgominare da solo dapprima una banda pare di falsari, spiando le loro mosse ed informando in seguito le autorità e poi a smascherare altri crimini. Per le sue abilità nel 1849 viene nominato vice sceriffo nella contea di Cook, in Illinois. La sua Agenzia ebbe il quartier generale proprio a Chicago, diciamo sua città adottiva. La ben meritata fama di Pinkerton crebbe a tal punto che perfino la protezione dei presidenti degli Stati Uniti venne affidata al celebre detective il quale salvò la vita ad Abramo Lincoln sventando un attentato ai suoi danni, a Baltimora. Beh, prima di quello che purtroppo gli fu fatale a Washington. Tranquilli, non mi metterò a raccontare per filo e per segno cosa successe a Lincoln e perché gli spararono un colpo di Derringer alla nuca mentre si trovava a teatro. Mi limito a ricordarvi che il suo omicidio viene attribuito all'attore di teatro John Wilkes Booth e che tra i moventi ufficiali, e sottolineo ufficiali, c'era la sua delusione per come era andata a finire la guerra civile, essendo un simpatizzante per il Sud. Ma guarda un po', povera tortorella. In ogni caso l'attentato al presidente Lincoln ha, come molti eventi che hanno cambiato la Storia, fatto nascere parecchie teorie e la vera verità talvolta si è fusa con la leggenda. Come il fatto che l'assassino feritosi ad una gamba saltando giù dagli spalti per atterrare sul palco, prima di fuggire si rivolse alla folla per gridare “”Sic semper tyrannis”, un'espressione latina che significa “così accade sempre ai tiranni”, parole pronunciate da Bruto dopo aver trasformato Cesare in un setaccio a coltellate. Ma sinceramente io, per quanto non sia più un bamboccio in fasce ed abbia i miei anni sul groppone, non c'ero in nessuna delle due occasioni e non posso confermare né smentire. (E fatemi fare una battuta, ogni tanto…) Tra l'altro noi abbiamo avuto a che fare anche con questa faccenda in una ormai non più recentissima storia di Tex (“Gli uomini che uccisero Lincoln” e “Missione speciale”, albi disegnati da Ortiz su testi di Nizzi).
La storia di Pinkerton si lega anche a quella del famigerato Jesse James, che ebbe l'incarico di catturare ma senza successo.
La Pinkerton National Detective Agency, che potremmo identificare come “nonna” della moderna FBI è stata ufficialmente fondata nel 1850 sotto la presidenza di Zachary Taylor.
Oh, per la cronaca, quando Lincoln venne assassinato, la sua sicurezza non era affidata ai Pinkerton, ma all'esercito. Per lo meno così si desume dalle fonti che ho consultato.
Il famoso “occhio” con la scritta “We never sleep” ("Noi non dormiamo mai”) è diventato un'icona ed aveva fatto guadagnare il soprannome di “Occhio privato” (private eye in inglese) ai detective che militavano alle dipendenze dello sbirro di origini scozzesi. Pare che tale ente esista ancora oggi, anche se per certi versi ormai surclassato da altre famose “sigle” quali proprio l' FBI e diverse altre (in totale ce ne sono una quindicina negli Stati Uniti) e funzioni come compagnia di sicurezza.
Tornando all'albo, la storia inizia in una location ben definita: San Pedro. Si tratta di un distretto di Los Angeles situato nella zona portuale. Aggiunta all'area metropolitana della città nel primo decennio del 1900, la zona è divenuta dapprima un distretto industriale per svilupparsi poi come centro residenziale per la classe operaia. Pare che debba il suo nome a Pietro I di Alessandria (d'Egitto). Il giorno in cui si ricorda questo "antico" vescovo è lo stesso nel quale Juan Rodriguez Cabrillo scoprì (beh, molto dopo che la zona fosse abitata per secoli da nativi, quindi “scoprì” per modo di dire), quella che sarebbe diventata la San Pedro odierna. I primi stanziamenti europei risalgono al 1770 circa, e quando quella parte della California divenne una “provincia” del Messico l'area conobbe un periodo di prosperità anche per via dei contributi in denaro provenienti dai vicini americani. Il porto giocò un ruolo chiave durante la guerra tra USA e Messico (quella di cui abbiamo ampiamente parlato in occasione del cartonato “L'uomo dalle pistole d'oro”) e nel 1686 venne ultimata la ferrovia per collegare San Pedro direttamente con Los Angeles. Nel 1929 il quartiere venne quasi del tutto raso al suolo da un violento terremoto. A San Pedro sono state e sono tutt'ora ambientate diverse serie tv come "NCIS: Los Angeles".
Ad un certo punto si può notare l'insegna di un locale: l'Alhambra Palace. Non ho trovato riscontri sul luogo esatto ma Alhambra è una cittadina situata nella contea di Los Angeles, incorporata nel 1903, posta a una decina di chilometri da Downtown, sempre a LA.
Il Texiano segue sempre la pista dei sogni d'inchiostro.
Disegno di Lorenzo Barruscotto
Texianità:
Anche se la trama a mio modesto modo di vedere ha qualche punto oscuro, non oscuro nel senso di avvincente ma che presumibilmente andava rimaneggiato e non “pompato” troppo per attirare l'attenzione del lettore, cercando forse volutamente forse involontariamente di fargli perdere il filo con tentativi a volte almeno superficialmente maldestri mentre altre volte meglio studiati, l'atmosfera di un episodio cittadino con qualche scazzottata, poche revolverate ed un'articolata raccolta di informazioni che si tratti di indagini o tentativi per iniziare a sbrogliare un'intricata matassa è molto “alla Tex non sulle piste della prateria”. In sostanzia, si sente lo spirito che dovrebbe sempre trasparire dalle storie del Ranger e proviamo delle emozioni, talvolta contrastanti ma vere.
La suspense che ci invade quando un personaggio sparisce o qualcuno si sta palesemente cacciando nei pasticci (anche se quel qualcuno è sempre stato solitamente un tipo esperto e dovrebbe far ragionare il cervello senza ficcare da solo la testa nelle fauci del leone…), gli sguardi di intesa tra i due Pards che si reggono il gioco, i dialoghi splendidamente coordinati dal bel lavoro di lettering di Renata Tuis, le ombre della notte che paiono uscire dalle tavole per insinuarsi nella nostra stanza ed anche nel nostro animo mentre leggiamo, la ricerca quasi istintiva da parte degli appassionati, andiamo, alzi la mano chi non l'ha fatto magari alla seconda lettura, di un dettaglio forse nascosto tra le vignette che possa indicarci una pista da seguire, fino alla citazione già nominata della scena disegnata tanti anni fa da Galep, con uno scimmione che, sempre se non è un tizio particolarmente forzuto e con una voce assai roca dentro un costume da scimpanzè, si porta via un ostaggio (ma è un ostaggio?) e cerca di far perdere le tracce a Tex, il quale, mentre lo insegue, si chiede egli stesso, anche se solo per un attimo, se qualcuno stavolta non abbia buttato troppa carne al fuoco rischiando di mandare all'aria l'intero barbeque.
Hasta luego, compadres. Alla prossima
Soggetto e sceneggiatura: Mauro Boselli
Disegni: Michele Benevento
Copertina: Claudio Villa
Lettering: Renata Tuis
114 pagine
Qui di seguito trovate i "video che si ascoltano" finora pubblicati nell'ambito di "Una voce per Te(x)".
- "La pista dei Forrester e Tabla Sagrada", voce di Angelo Maggi: https://www.youtube.com/watch?v=HyOowYeG5Zo
- "La Leggenda", voce di Christian Iansante: https://www.youtube.com/watch?v=L1GbQqgMWuQ