- Categoria: Osservatorio Tex
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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RECENSIONE DE "IL MASSACRO DI GOLDENA"
Copertina dell'ultima edizione: speciale cartonato, Luglio 2018
Le copertine dei volumi Tex Gigante numero 108 e 109 che contengono la versione a fumetti del Romanzo,
disegnata da Ticci.
Le due copertine entrambe realizzate da Galep, presenti nella ristampa del 2008,
distribuita insieme a "Sul sentiero dei ricordi".
(Per l'ultima immagine della sequenza: la copertina a sinistra, dove Tex impugna le due Colt, è la cover riadattata per quella particolare edizione, mentre la copertina a destra, nella quale compare ancora il prezzo in lire e Tex indossa la camicia rossa è la quarta copertina del volume associato al Tex Gigante 575, ma raffigura la cover originale del Romanzo di Bonelli, pubblicato da Audace nel 1951.)
Hola, amigos!
Avanti, venite dentro e lasciate che vi offra un bel boccale in modo da bagnarvi il gargarozzo con qualcosa di fresco. Dannazione, in questi giorni fa talmente caldo che se dei pinguini capitassero all'inferno, ci troverebbero un po' di refrigerio.
Meglio stare all'ombra, il sole picchia sulle zucche come farebbe un maniscalco incattivito dal mal di denti.
Eppure c'è stato un giorno in un posto non lontano da qui in cui, per quanto sembri impossibile, ha fatto anche più caldo. Avete mai sentito parlare di Goldeena?
Già, vedo che qualcuno di voi annuisce. In effetti ogni texiano che abbia per lo meno un pelo sul mento sa di cosa sto parlando: una città, una intera cittadina distrutta e data alle fiamme in seguito ad un'incursione di indiani ribelli.
E' insolito che le bande di pellerossa in cerca di bottino si arrischino ad osare tanto da attaccare un centro abitato: tale azzardo potrebbe costare loro molte perdite dal momento che ogni uomo valido sicuramente contribuirebbe alla resistenza nel difendere le proprie case e famiglie ma ogni regola ha la sua eccezione e questa, come in altri rari casi osservati seguendo le avventure dei Pards, è una di tali anomalie.
Pur essendo più che certo che la maggior parte di voi, se non tutti, ha ben presente di che si tratta e conosce tutta la storia, finale incluso, cercherò di non spiattellare per lo meno ogni singolo dettaglio della vicenda.
Il problema in questo caso ha un nome ben preciso: Fraser, un balordo, marcio fino al midollo, baro, assassino e come se non bastasse rinnegato, che commercia in armi e whisky con gli Apaches. Potremmo dire che, per fare un riassunto delle sue “attività”, è una sorta di comanchero col vizio del gioco d'azzardo. Oltre ad essere un vero bastardo, purtroppo possiede anche una certa quantità di materia grigia, riuscendo a far funzionare gli ingranaggi delle sue meningi al fine di perseguire i propri meschini scopi, infatti sono solamente voci quelle che lo tacciano di trafficare in merci di contrabbando.
Quanto meno per la gente comune, come noi, anche se qualcuno un po' più sveglio o curioso degli altri, mettendo insieme “le voci”, ma quelle attendibili e non le solite chiacchiere da saloon, potrebbe arrivare ad avvicinarsi alla verità.
In fin dei conti, la capacità di tenere occhi ed orecchie aperte, unita ad una mai troppo scarsa dose di buon senso, risulta sempre utile, che si viva nelle desertiche praterie del West o che ci si trovi nelle nostre moderne giungle d'asfalto.
Perfino un segugio come Tex Willer, prima di una breve chiacchierata piuttosto rivelatrice, la quale ha consentito anche al Ranger di fare due più due, riteneva che quel verme fosse per l'appunto solamente un verme, un cialtrone di mezza tacca capace di fare la voce grossa ma dalla mascella di vetro, talmente insignificante per quanto farabutto da non valere neanche il costo di una pallottola.
Colto sul fatto a barare, Fraser evita un linciaggio, proprio grazie alle autoritarie parole di Tex, il quale riesce a convincere i bravi cittadini di Goldeena a punire il truffatore in un modo meno “perenne” per quanto destinato a lasciare segni pesanti sull'interessato e purtroppo a ripercuotersi tragicamente come un enorme ed infido boomerang proprio sul villaggio nel sud dell'Arizona.
Come descrivervi il castigo senza essere troppo esplicito... Avete mai udito il termine “gauntlet”?
E' una parola che si potrebbe tradurre, facendo qualche capriola linguistica, con “forche caudine”. Ora, “to run the gauntlet”, quindi “passare attraverso le forche caudine” non è solo un'espressione in senso lato ma si riferisce ad un antico supplizio messo in atto ai danni di ladri, ubriaconi, soldati che non avevano obbedito agli ordini, colpevoli di insubordinazione grave o vigliaccheria soprattutto in tempo di guerra, usato come tortura per prigionieri ed in altre simpatiche situazioni.
La cosa alquanto strana, che non può non farci affermare che tutto il mondo è paese, consiste nel fatto che questo metodo veniva attuato anche nella vecchia Europa.
Pensate che l'etimologia del termine affonda le sue origini addirittura nella battaglia delle Forche Caudine, per l'appunto, contro i Sanniti al tempo dei Romani, all'incirca nel 310 prima di Cristo, nella quale “i nostri” non fecero affatto una bella figura e le conseguenze furono a dir poco umilianti.
Anche tra gli indiani era in uso tale tipo di punizione, magari chiamata “corsa del destino” o “corsa della morte” o con altri nomi pittoreschi, ma si trattava sempre di dover passare per un tratto prestabilito, attraverso due file di uomini, a volte di squaw tanto per rendere il tutto ancora più tremendo per l'orgoglio di un guerriero, armati di bastoni, scudisci o fruste. Insieme a Tex e Carson ne siamo stati testimoni in un albo recentemente riapparso come ristampa, all'accampamento Sioux di Ska-Wom-Dee durante la lunga e spettacolare storia contro i Wolfers che inizia con “La strage di Red Hill” (su sceneggiatura di Nolitta), le cui chine sono del compianto Giolitti e termina con il drammatico “Il prezzo della vittoria” ad opera di un grande Ticci particolarmente ispirato. Morale: quando ne uscivi, a volte sarebbe stato più corretto dire se ne uscivi, avevi pagato per la tua colpa. Esatto, non doveva essere proprio l'equivalente di una semplice bacchettata sulla mani.
In un certo senso anche Fraser viene fatto “passare per le bacchette” (non ho ripetuto il vocabolo a caso ma perché questo è uno dei tanti sinonimi con cui ci si riferiva a tale trattamento), riuscendo però a portare in salvo la pelle e giurando vendetta.
Inutile dire che Tex non è tipo da restare con un rospo di tale entità sul gozzo, vale a dire il sospetto di essersi fatto sgusciare tra le grinfie un possibile trafficante, uno di quelli che lui ed i Rangers stanno cercando, senza levarsi il dubbio, magari a suon di sganassoni a carico del rospo stesso, ma la testa fina di cui è dotata la sua preda riesce a sorprendere perfino l'esperto Aquila della Notte, il quale per un soffio sfugge ad un agguato mortale ed è costretto ad abbandonare, temporaneamente, la caccia. Effettivamente però è già tanto non averci rimesso la ghirba, come direbbe Capelli d'Argento, o peggio non essere caduto vivo nelle mani del nemico.
Disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a TICCI
Solamente a questo punto della storia scopriamo che non si tratta di un'avventura in solitaria, dal momento che proprio Carson ci sta aspettando davanti all'ufficio dello sceriffo di Goldeena.
Tra l'altro chi di voi ha l'occhio più acuto di un Navajo potrebbe notare qualche somiglianza, fisica, non di carattere, tra la stella di latta del paese e lo sceriffo tutt'altro che dalla dritta spina dorsale che compare ne “L'uomo che uccise Liberty Valance”, del 1962, di John Ford con John Wayne e James Stewart. Ma forse è solamente il caldo che mi fa straparlare.
Un sorriso carico di malinconia si disegna automaticamente sul volto di ogni lettore non più di primo pelo quando apprendiamo che “l'allora non così tanto” Vecchio Gufo ha con sé degli ordini firmati da Marshall in persona. Ed all'improvviso ci travolge una valanga di ricordi, di risate e di emozioni, ripensando a tutte le volte in cui i comportamenti sbrigativi del giovane Tex Willer, spalleggiato da un Carson ancora dai baffi e dal pizzetto neri, lasciavano basito il capo del Servizio Segreto dei Rangers che li aveva arruolati (Tex era il "numero 3", dopo Kit ed il presto sparito ma compianto e vendicato Arkansas Joe), ai tempi in cui il Nostro era ancora un “quasi ex” ma comunque “magnifico fuorilegge”. Visto il suo carattere e le sue pretese di rispettare alla lettera regolamenti e procedure molto spesso non applicabili ad un contesto pratico, specialmente nel West, alzi la mano chi di voi non si sia mai chiesto come abbia fatto a non farsi venire almeno un'ulcera a forza di avere a che fare con quei due tizzoni d'inferno.
Veniamo quindi a sapere che non c'è solo Carson: un intero distaccamento di Rangers sarà della partita.
Avremo modo in seguito di dire due parole su tempi e date in cui è stato a più riprese ed in più versioni pubblicato il moderno gioiello a colori che ha offerto lo spunto per la chiacchierata di oggi, la cui ristampa attuale è solamente l'ultima di una serie che ha fatto epoca, ma comparendo il nome di Marshall non deve stupire se i Rangers, talvolta ritenuti nelle primissime avventure una sorta di agenti speciali sotto copertura (per lo meno alcuni membri scelti) di cui quel “vecchio soprammobile”, giusto per usare un affettuoso epiteto con cui veniva indicato, ne era il comandante, vengano ancora delineati come un vero e proprio corpo militare, con tanto di divise e non solamente di gradi. In passato abbiamo già affrontato l'argomento sulle differenze tra la realtà di come nacque e si sviluppò il Corpo dei Texas Rangers e di come, quando uscivano le prime storie dei Pards, dalle nostre parti se ne sapesse ancora relativamente poco, non essendoci internet né la possibilità di una documentazione del tutto approfondita.
Stiamo parlando di quasi 70 anni fa, non devo essere io a ricordarvelo. Come pionieri i nostri “audaci” (so che avete colto il riferimento) eroi Bonelli e Galep hanno fatto miracoli.
Se volete rispolverare quella parte di memoria, vi allego qui di seguito il link dell'articolo in cui ho aggiunto qualche nota storica sui mitici portatori della stella d'argento: http://www.fumettodautore.com/index.php/magazine/osservatorio-tex/5371-classic-tex-numero-11-satania .
Comunque questi dettagli ormai, per lo meno agli occhi del vero texiano, non sono errori, ma sono ricordi stampati, che ci permettono di ritornare per un momento con la mente a tempi andati, a quando la Leggenda era già leggenda ma non ancora Mito ed incrollabile realtà, non solamente editoriale, ma proprio quotidiana, per noi, per centinaia di migliaia di persone, per generazioni intere.
Concordato un piano d'azione, Tex e Carson si mettono alla testa di una decina di rangers, stavolta vestiti come ce lo aspettiamo, vale a dire “in borghese”, per gettarsi sulle tracce dei trafficanti e della banda ritenuta responsabile degli attacchi che ormai da diverse settimane insanguinano la regione. Gli scambi tra i due Pards non deludono mai, che si tratti di confrontare le idee riguardo le strategie da portare avanti, che i dialoghi ci facciano esplodere in una secca risata grazie ad un paio di battute accuratamente inserite per stemperare la palpabile tensione o che vengano pronunciate le "classiche parole da western", solide come il calcio di un fucile ed affilate come la lama di un pugnale.
Se onore e giustizia cavalcano a fianco dei Nostri, malauguratamente morte e distruzione spronano a sangue i loro mustang insieme a Fraser ed ai suoi “fratelli” Apaches. Convinti dalla prospettiva di un ingente bottino ed imbruttiti dai fumi dell'alcol, i pellerossa diventano lo strumento della vendetta di quell'ignobile pendaglio da forca, scatenando un massacro ai danni degli inermi abitanti della cittadina che lo aveva costretto ad andarsene con la coda tra le gambe.
La struggente e bellissima canzone di Graziano Romani (“Goldeena” per l'appunto, seconda traccia nel CD realizzato in onore dell'eroe dalla camicia gialla dal titolo “My name is Tex” presentato diversi anni fa, nel 2011 a Lucca Comics, e la cui copertina dell'albo è un disegno proprio ideato da Ticci specificamente per l'occasione) lascia trasparire attraverso il suo tono country e roco (leggermente rock ma intendevo proprio roco) al punto giusto lo stupore prima e lo sconforto poi per l'inutile spreco di vite umane a cui i lettori si trovano di fronte, causato da un odio profondo come il più buio degli inferni ma totalmente sbagliato e da una brutalità tanto violenta quanto superflua, a tratti perfino inaspettata per la sua folle ferocia.
Ritratto di Graziano Romani, ad opera di Lorenzo Barruscotto
Una volta venuta meno la sorpresa, in tutto il paese atti di eroismo ed abnegazione, gesti di disperazione, estremi slanci di amore mescolato al più profondo dolore per la perdita della persona per cui si vive e con la quale si vuole quindi morire, si oppongono qua e là all'assalto ma ormai tutto è inutile. E' troppo tardi. Niente e nessuno può più salvare Goldeena dal venire rasa al suolo, dal diventare col tempo solamente una ghost-town, una città fantasma, un ricordo, una cicatrice.
Dal canto nostro, ormai ci siamo resi conto di essere stati mandati su una falsa pista. Un grido e l'attenzione di tutti viene richiamata verso l'orizzonte.
Dal culmine di una collina rocciosa scendiamo da cavallo quasi increduli a ciò che i nostri occhi stanno guardando: quei bagliori in lontananza non sono i fuochi di un accampamento, si elevano troppo in alto nell'oscurità della volta celeste, punteggiata di stelle che ora sembrano lacrime. Una morsa stringe il cuore di tutti i presenti e noi siamo lì con loro, attoniti, stanchi per la giornata in sella ma furenti ed al contempo disgustati: niente più bevute al "Red Ace Saloon", quelle sono le luci dell'incendio che segna la fine di Goldeena.
Non sempre purtroppo i buoni riescono ad arrivare in tempo a salvare gli indifesi: come troppo frequentemente capita nella vita, “le brutte cose accadono anche alle brave persone”.
Per fortuna nel mondo delle Frontiere di carta per il cattivo arriva sempre puntuale l'ora di pagare per i misfatti compiuti, specialmente se il summenzionato cattivo ha un conto personale con il più duro ranger del West.
Abbiamo la possibilità di apprezzare le per noi ben note capacità di leader di uomini di Tex, i cui ordini nessuno con del sale in zucca ed affezionato ai propri denti si sognerebbe mai di discutere, soprattutto in certe situazioni, nonchè di imparare, se non li conoscevamo già (dopo decine di anni sulle piste qualche dritta riguardo il "leggere il terreno" o sviare gli inseguitori la abbiamo appresa anche noi), alcuni arguti trucchi per cancellare le proprie tracce o per far credere agli avversari che ci troviamo da tutt'altra parte mentre invece siamo “dietro l'angolo”, nello specifico in cima ad uno scosceso canyon, insieme agli altri rangers, pronti a svuotare il caricatore del nostro Winchester, appostati su una roccia, ed aspettiamo solamente il segnale per dare inizio al ballo.
Infatti ora non c'è che una scelta: fare di tutto per impedire alla banda di razziatori ed al degno tagliagole che li guida di riuscire a rifugiarsi in Messico, non tanto per problemi di confine, non credo proprio che eventuali questioni burocratiche inerenti una linea su una mappa tratterrebbero Tex e Carson dal continuare l'inseguimento, ma per via della conformazione del territorio immediatamente precedente l'area della Sonora, dove nove su dieci quegli sciacalli contano di dirigersi, regione impervia che permetterebbe loro di sparpagliarsi, rendendo la ricerca più complicata di quella del proverbiale ago nel pagliaio.
No, non possiamo permetterlo. Bisogna far funzionare il cervello ed indovinare quale tragitto per la fuga potrebbe essere il più sensato e, dopo aver mandato staffette per informare dell'accaduto le autorità ed i centri vicini, attestarsi a difesa del punto che, se abbiamo ragione o meglio se Tex ha ragione (che domande!), rappresenta un passaggio obbligato per gli indiani: il canyon di Cedar Creek.
Il fatto è che saremo di una decina di uomini contro almeno un centinaio di arrabbiati e scatenati Apaches. Rischia di trasformarsi in un'impresa che puzza maledettamente di zolfo ma c'è una cosa che Fraser ed i “suoi” guerrieri, i quali hanno anche un “capo di guerra” ma che è poco più di un fanatico fantoccio, non hanno considerato: in quest'avventura nessuno è più determinato e soprattutto più arrabbiato di Tex Willer.
Accecati dall'avidità e dai sogni di gloria, ed ebbri per il sangue versato, gli Apaches perdono progressivamente lucidità ed invece di concentrarsi nel raggiungere la salvezza prima che i bianchi che tanto odiano possano riorganizzarsi, attaccano qualunque preda gli capiti a tiro o appaia loro facile, catturando cavalli e dando alle fiamme isolati ranch lungo il loro passaggio, trascinandosi dietro anche un gruppo di atterrite donne rapite nella razzia, a quei tempi solitamente considerate "parte pregiata del bottino”.
Come previsto la battaglia finale si svolgerà proprio nei pressi della gola di Cedar Creek, e quella che sembrava un'intelligente idea, vale a dire sfruttare il letto di un fiume sostanzialmente in secca per accorciare la strada da percorrere in vista del confine, si rivelerà un errore strategico disastroso. L'azione coordinata dei Rangers guidati da Tex, pochi ma con roventi e persuasivi argomenti e dello squadrone di soldati provenienti da Fort Huachuca che incalza i fuggitivi chiudono gli Apaches in una tenaglia dalla quale non si può scappare.
Ad una rapida occhiata, i fucili in mano ai cavalleggeri sembrano carabine Springfield, quindi storicamente esatte per certi versi ma non vorrei dire una enorme stupidaggine e d'altra parte non cambia di una virgola la spettacolarità del racconto.
Le grida di guerra che prima erano state lanciate con orgoglio prospettando una “notte di sangue e scalpi” si tramutano in urla di dolore, le parole di scherno prima pronunciate nei confronti di vittime indifese sorprese con la guardia abbassata per le strade di una tranquilla cittadina diventano imprecazioni ed invocazioni agli dei. Ma nessun dio può né vorrebbe aiutare quei guerrieri indegni, falciati dal piombo degli avversari e terrorizzati dagli schianti dovuti ai pesanti massi che si sfracellano al suolo dall'alto delle scoscese pareti del passo, per mano degli uomini che Tex aveva piazzato lassù.
Non basta un rigurgito di dignità, lanciandosi all'attacco del nemico dopo aver capito di essere ormai con le spalle al muro senza la minima via di uscita, per rimediare all'ignominia di cui si sono resi colpevoli, macchiando indelebilmente il loro onore: se la parola guerriero può far venire in mente la fierezza di un lupo, gli unici animali che si possono associare a quella masnada ormai priva di ogni briciola di disciplina, i cui componenti, per citare nuovamente la canzone del CD, stanno cadendo “uno ad uno”, sono le iene. O gli avvoltoi i quali andranno sicuramente incontro ad una grossa indigestione una volta terminato il terribile scontro.
Disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a BARISON
Ma la faccenda non è ancora finita.
Il serpente più viscido e velenoso sta ancora una volta cercando di scappare, di strisciare in un buco per nascondersi e sfuggire alla sorte che egli stesso sa di avere davanti nel caso venisse catturato.
E noi assistiamo ad una delle scene che sono passate alla storia nella saga del Ranger, scene che hanno contribuito a creare la fama di inflessibile cacciatore di furfanti, di mastino che non molla mai la preda, implacabile ed inarrestabile, ineluttabile come il fato, inevitabile come la morte.
Stavolta non ci sono colpi di avvertimento, non ci sono inutili parole. Ci sono soltanto un Winchester, un mirino ed un Ranger dal tiro infallibile e dal cuore ricolmo di giusta ira.
Non importa quanto si possa correre veloce, o lontano, o se al contrario l'angoscioso panico si trasforma in un distorto senso di coraggio e si aspetta dietro un angolo il detestato "sbirro" per cercare di farlo fuori, che sia con una Colt o con una piccola Derringer, illudendosi di riuscire a sorprenderlo.
Oltre a mirare un po' meglio, dovresti saperlo, Fraser: non è possibile scrollarsi di dosso l'inquietudine nel sentire i passi di Tex sempre più vicini, come se si materializzasse ogni volta alle tue spalle, nonostante i tuoi sforzi per filartela e salvare la tua sporca pellaccia.
In un crudele gioco che ricorda quello del gatto col topo, i due avversari si affrontano tra gli intricati alberi di una foresta ma il finale colpisce ancora oggi, perfino chi potrebbe ripetere a memoria ogni frase contenuta nel balloons e conosce perfettamente ogni scena raffigurata nelle tavole.
La morte a volte può essere una liberazione e in moltissime occasioni abbiamo visto uno scampa-forche incitare il proprio rivale a farlo fuori, come provocazione. In questo caso non si tratta di baldanza ma di vero e proprio terrore: da boriosa carogna quale era, Fraser ha ormai perso tutta la sua spocchia ed è diventato, oltre che un pezzo di Groviera zavorrato di piombo (non credo di dovervi spiegare questo mio modo di dire), un cucciolo che guaisce raggomitolato su se stesso. Ma se perfino una belva, anche dopo che ci ha morso, potrebbe suscitarci qualche sentimento di pietà, nei confronti del rinnegato nell'animo di Tex questa possibilità non trova il benchè minimo spazio neanche per essere presa in considerazione. Sono troppi i crimini commessi e troppo lunga è la scia di sangue che si è lasciato dietro. E per cosa: denaro? sete di potere? orgoglio ferito e desiderio di vendetta per essere stato beccato a fregare la gente, alleggerendola dei propri soldi, e che, guarda un po', non l'ha granchè presa con filosofia? Come un maledetto bullo che “si offende” se la sua vittima reagisce e decide di difendersi.
No, niente pietà per te, Fraser: il diavolo ha già un posto pronto, la sola scelta che ti rimane è come arrivarci, all'inferno. E, mi spiace (ma neanche poi tanto) per te, però la morte non ha tutta questa premura di venire a prendere la tua anima nera. Una morte lenta e dolorosa ti si addice come a pochi altri, spregevole assassino.
Non vi svelo il finale, nonostante sia tanto noto quanto cinematografico, ma il colpo di grazia, perché a mio avviso di questo si tratta, arriverà in modo inaspettato e sottile, delicato come un diretto allo stomaco ma perfettamente studiato e drammaticamente coinvolgente, un vero e proprio climax, per usare un parolone, il punto in cui la tensione raggiunge il suo culmine, nel segno di quella che, di certo alla Frontiera ma, chissà, forse anche non solamente nel Sud Ovest dell'Ottocento e non soltanto in un racconto di fantasia, non si può definire in nessun altro modo se non con una parola: giustizia!
Il Ranger in azione: le legge della Frontiera.
Disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a GALEP
Gli autori di questo capolavoro, non mi viene in mente nessun altro termine per indicare il volume, sono Gian Luigi Bonelli, ideatore dell'avventura e dei testi, e Giovanni Ticci, all'epoca una giovane promessa del Fumetto, come si evince anche dallo stile che adesso siamo soliti indicare come quello del “primo Ticci”, visto che la mano anche del medesimo artista si evolve, sperimenta e varia nel tempo. A dirla tutta, questa è la seconda storia firmata da Ticci, dopo il suo potente esordio sulle pagine di Tex con “Vendetta indiana”, albo per altro anch'esso riproposto in versione moderna ed a colori di recente, in occasione dei vari festeggiamenti e reinterpretazioni per il settantennale. E non penso sia un caso se proprio al Maestro siano stati affidati i disegni per il numero che festeggia proprio i 70 anni, in uscita a Settembre.
Ora, lasciatemi aggiustare gli occhiali sul naso perché è il momento di qualche minuto di Storia, che tutti i texiani dovrebbero sapere e che sono certo la maggior parte di voi già conosce, ma un veloce ripasso non fa male.
D'accordo, d'accordo, il prossimo giro lo offre la casa, sanguisughe.
L'avventura a fumetti è la rivisitazione di uno dei romanzi ad opera del mitico G.L. Bonelli, edito dalla Casa Editrice Audace, quella degli inizi. Per la precisione il breve romanzo, quarto della serie, vide la luce nel 1951 e conteneva anche alcuni disegni realizzati “su misura” da quell'inesauribile fonte di magie che era Galep, mentre altre immagini furono ricavate da episodi a striscia già pubblicati. Come ho detto si tratta del quarto nonchè ultimo dei romanzi di Bonelli, il solo ad avere come protagonista Tex. Esistono anche altri tipi di ristampe del racconto, ma una che a mio parere è degna di nota, rispunta nelle edicole nel settembre 2008, allegata a Tex numero 575, “Sul sentiero dei ricordi”, già di per sé un gioiello a colori, disegnato da Civitelli su testi di Nizzi, che rievoca il periodo vissuto con la bella e mai dimenticata Lilyth. Quella riedizione ha come copertina un disegno realizzato da Galep e contiene un po' di aneddoti sugli albori della Fabbrica dei Sogni e su come nacque prima l'idea dei romanzi per poi giungere a come sia stata decisa la trasformazione del “Massacro di Goldena” in un albo di Tex.
In quarta copertina invece si staglia in tutto il suo splendore la cover originale del romanzo, sempre scaturita dalla talentuosa mano di Galep.
Si trovano accenni a “Le Tigri dell'Atlantico” o “I fratelli del silenzio” cioè due dei romanzi pubblicati negli anni 40 da Bonelli. D'altra parte egli stesso si definiva “un romanziere prestato al fumetto”.
Visto che ci siamo vi dico anche il titolo del terzo romanzo, pubblicato nel '41: “Il crociato nero”, narrante le avventure in Terrasanta di un cavaliere chiamato Ugo d'Ivrea.
Bisogna considerare che una delle ragioni in seguito alle quali venne deciso di far diventare quel quarto romanzo una storia a fumetti fu che la risposta del pubblico non risultò entusiasmante, probabilmente perché la presenza delle strisce aventi come protagonista lo stesso personaggio del racconto “in prosa” catturava maggiormente per immediatezza, nonostante le spettacolari “istantanee” provenienti direttamente dalla "nostra" Arizona realizzate da Galep, che potrebbero essere dei veri e propri fotogrammi di un classico film western alla John Ford.
Così, nel '69 “Il massacro di Goldena” viene inserito negli albi 108 e 109 della serie regolare, quella “gigante” (“Inferno a Robber City”, dove si conclude l'avventura di Tex nei panni di Gilas, con i disegni di Nicolò ed inizia “Territorio Apache”, vale a dire la prima parte della narrazione di cui ci occupiamo oggi, che si conclude nell'albo “Massacro!”), diventando una delle punte di diamante dell'intera saga e rappresentando uno dei livelli più alti mai raggiunti da Ticci, per lo meno nei primi anni della sua fulgida carriera, perché sono davvero tante le perle che ci ha regalato nel corso del passare del tempo, fino a divenire una vera ed ineguagliabile colonna di Tex e del Fumetto italiano.
Probabilmente, posso sbagliarmi ma attraverso le mie ricerche e verifiche ho avuto modo di constatare che qualcuno in epoche non proprio recenti era d'accordo con me, quindi forse non ho partorito un'ipotesi del tutto campata in aria, essendo stata ideata nel '51, la versione “a romanzo” non vedeva i Tex e Carson già più maturi rispetto ai giovani scavezzacollo delle prime avventure a striscia ed è facile che quindi al maestro Ticci fosse stato affidato anche un adattamento alle tempistiche diverse tra le due uscite.
I testi subirono immancabilmente degli adattamenti piegandosi alle esigenze del fumetto, come alcuni tagli a discapito di scene troppo cruente da rappresentare graficamente o di particolari, nelle azioni o nei dialoghi, giudicati eccessivi, anche se rimane un certo grado di violenza e ruvidezza di fondo, leggermente diverso, più cupo, come dire, più reale, vero, crudo che lo distingue dallo stile di alcune storie dell'epoca, soprattutto, ma anche di tempi più vicini. Esistono inoltre delle seppur minime differenze tra la versione originale e quella uscita nel 2008, nella quale lo stesso Sergio Bonelli nella prefazione mette le mani avanti per evitare polemiche, indicando di aver eseguito le doverose correzioni a qualche errore di stampa o edulcorato certe imprecazioni ed espressioni che necessitavano un adattamento, una modernizzazione. Ma questi inevitabili “cambiamenti” non tolgono nulla anzi se mai aggiungono valore come una corrente di aria calda fa salire ancora di più una mongolfiera che si perde nel sole. E' sempre Il grande Sergio Bonelli che con un tono quasi affettuoso e commosso afferma soddisfatto di aver però conservato la "frase di apertura" nel romanzo non curandosi di eventuali critiche o indignazioni. Il motivo? A mio parere non solo per rispettare l'incipit ma per mantenere una sorta di ponte, di mano tesa verso il (suo) passato, verso il padre. Scelta che un lettore dalla scorza dura ma dal cuore tenero come il sottoscritto non può che apprezzare.
Nella versione ormai “vecchia” a fumetti un particolare che ho potuto notare di persona riguarda un balloon con una frase pronunciata da Tex ma indirizzata verso Carson. Un peccato del tutto veniale molto probabilmente fatto sparire già parecchio prima di quest'ultima versione editata sotto forma di cartonato.
E poi viste certe “correzioni” moderne ad esempio nelle edizioni Classic delle prime avventure a colori, qualunque cosa avesse fatto, sarebbe certamente stata giusta e sacrosanta, rispetto ad alcuni rimaneggiamenti di dialoghi o “nuvole” di cui ci siamo accorti in questi mesi. Per non parlare di incomprensibili alzate di ingegno come l'opinabile soluzione adottata per la ripresentazione della copertina di “Chinatown”: far sparire uno spicchio di lampada originariamente piazzata da Galep con un tocco da navigato artista in primo piano, divenuta poi in barba a tutte le leggi della prospettiva, un contenuto a dir poco astratto. Di questo avevamo parlato qualche tempo fa, ma mi è ritornato alla memoria poiché la versione stupenda, e sensata, è la cover dell'albo 110.
Un particolare da intenditori/topi da fumetteria consiste proprio in quella “E” di troppo che, l'avrete certamente notato, in un paio di volte ho lasciato anch'io. Non si tratta di un errore di battitura. Nella versione originale del fumetto, ed anche in quella tre stelle, la cittadina al centro della narrazione viene scritta proprio così, “Goldeena”, mentre nelle edizioni più moderne diventa “Goldena”. Rimane invece con la doppia vocale sul CD dedicato a Tex. Anche le edizioni più recenti del romanzo la indicano come “Goldena”. Insomma, scrivetelo come preferite.
Senza usare il lanternino è facile che una versione seguente presenti dei minimi aggiustamenti rispetto a quella precedente, in molteplici ambiti. Accade anche per “Il massacro di Goldena”, vocale a parte, ma nulla del significato o dell'atmosfera ne risente. Invece i disegni di Galep vengono sostituiti da magnifiche e colorate “tele” di Aldo di Gennaro le cui illustrazioni si trovano sparse durante tutto il racconto e donano pathos ed emotività alla lettura della prosa.
Non vi dico nulla di più sull'avventura effettiva ma ci sono anche differenze sui vari incontri che Tex ha con Fraser. Quindi l'inizio della storia e soprattutto la conclusione. Personalmente il finale del volume a fumetti è uno dei più belli, atrocemente coinvolgenti e tragicamente poetici che io abbia mai trovato in una storia di Tex.
Disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a TICCI
So cosa state pensando: ma Goldena esiste davvero? In effetti no, o quanto meno io non ne ho trovato traccia. Esistono però alcuni centri abitati chiamati Golden che chissà potrebbero essere serviti da ispirazione per il nome. Il più famoso con quel nome si trova in Colorado, Golden City, nella Contea di Jefferson quindi non si tratta di una città “delle nostre parti”. Ci sono anche altri villaggi chiamati Golden, uno perfino in Canada ma sono tutte mere coincidenze.
Carrizzo, o Carrizo, non stiamo a sindacare anche sulle Z ora, dopo le E, invece, è un piccolo centro situato in Arizona, nella Contea di Gila. Per chi si stesse chiedendo da dove diavolo salta fuori questo posto, è quello inciso sul secondo “cartello stradale” che compare nella copertina del cartonato. Un bivio indicato da un palo di legno con due assi inchiodate alla bell'e meglio, ed altrettanti nomi incisi sopra, che potevano rappresentare ua preziosa indicazione sulla pista che si stava seguendo. E che nello specifico, insieme alla statuaria figura di Tex mentre passa lì accanto, portandosi dietro a mano la propria sella, il fucile appoggiato su una spalla, trascinano da subito il lettore nel vortice di piombo e sabbia che caratterizza l'intero Speciale.
L'edizione cartonato uscita a Luglio comprende quindi la storia a fumetti, modernizzata, anche se il livello della colorazione non aggiunge secondo chi vi parla nulla alle ipnotiche e polverose atmosfere che Ticci era riuscito a ricreare con le sue chine in bianco e nero, e la versione del romanzo con i disegni di Di Gennaro.
Durante la narrazione ed i dialoghi vengono fatti molti riferimenti a precisi luoghi e zone del territorio tra “Sud Ovest dell'Arizona e Messico” come dice la canzone. Tranquillizzatevi, non mi sembra il caso di imbastire anche una lezione di geografia.
Mi limito a dire che viene richiamata in causa la Cochise County, proprio la Contea di cui avevo ampiamente parlato e che avevo contattato direttamente, nella quale è ambientato il Texone di Majo “I Rangers di Finnegan”, tramite un fugace riferimento ad una cartina attorno alla quale, nell'ufficio dello sceriffo di Goldena, Tex, Carson ed un ufficiale dell'esercito o forse, per la precisione, dei Rangers studiano la situazione e le prossime mosse cercando di prevedere i movimenti del nemico. Vengono citate Bisbee, Benson e Tombstone.
Sono inoltre nominati luoghi come il “Cedar Creek” ed il relativo passo, in Arizona.
Attualmente tale nome si riferisce ad una piccola cittadina nella contea di Gila. Il canyon di Cedar Creek è il luogo dell'ultima resistenza contro gli Apaches ribelli mentre nella realtà è stata davvero combattuta una “Battaglia di Cedar Creek” solo che non fu di uno scontro tra Rangers ed indiani e la location non è l'Arizona. Si trattò di una delle battaglie della guerra civile americana, avvenuta nella Contea di Shanendoha in Virginia nel 1864, tra i cui protagonisti ci fu il generale Philip Sheridan. La vittoria sul campo andò all'Unione ma lo scontro causò complessivamente la perdita di quasi mille uomini, per non parlare dei cinquemila feriti complessivi e delle centinaia di “missing in action”, cioè dispersi, o catturati da entrambe le parti.
Evidentemente come per Golden, ci sono diverse località chiamate Cedar Creek, non solo in Arizona. Ma non è il caso di spulciare ogni riferimento.
Prima ho accennato allo stato di Sonora, Messico, indicato come meta per i razziatori al fine di far perdere le proprie tracce, essendo situato nella parte nord occidentale del Paese. Il deserto di Sonora, si estende oltre quelle che nell'avventura vengono indicate come “le Sierras”, vale a dire “le montagne” o “le vette” in spagnolo. Un esempio famoso è la Sierra Nevada, che arriva fino in California, ad est oppure anche la Sierra Madre (dove per altro molti guerrieri fieri ed irriducibili si rifugiavano per sfuggire alle Giacche Azzurre), che guarda caso è compresa in territori appartenenti allo stato della Sonora e di Chihuahua, quindi, riferimento reale o “montagne generiche”, è del tutto plausibile il fatto che questo genere di zone potesse venire eletto a covo anche solamente temporaneo da fuggitivi o banditi proprio come accade per gli Apaches di Fraser.
Nella lotta contro i razziatori non sono coinvolti solamente i Rangers ma anche i soldati della cavalleria di Fort Huachuca. Questa installazione militare dell'esercito degli Stati Uniti, ufficialmente messa in funzione nel 1877 e tutt'ora attiva è situata nell'estremo sud dell'Arizona.
Il centro abitato più vicino è Sierra Vista, anch'esso facente parte della Cochise County, ad una quindicina di miglia dal confine messicano. Anche se non è una notizia strettamente legata alla nostra avventura, pensate che per vent'anni questo forte è stato il quartier generale dei Buffalo Soldiers del 10 cavalleria, combattenti che Tex, Carson e noi lettori abbiamo conosciuto in più di una storia, come quella sempre disegnata da Ticci che comprendeva un albo il cui titolo è tutto un programma: “Decimo cavalleria” (sceneggiatura di Boselli). In origine il Forte era stato fondato per controllare le incursioni Apaches e proteggere gli abitanti delle zone confinanti con il vicino Messico.
Esistono anche le Huachuca Mountains, parte del distretto di Sierra Vista nella “Coronado National Forest” (ed i Coronados sono un'altra catena montuosa menzionata nel volume, situata a cavallo tra Arizona e Nuovo Messico).
Un'ultima parola va spesa proprio sugli Apaches. Finora li ho chiamati genericamente così ma non si tratta dei famosi Chiricahuas di Cochise o dei bellicosi Mescaleros, né dei Lipans o dei Jicarillas ad esempio.
Questi sono Broncos. Termine di origine messicana, per il fatto che proprio da impervie zone del Messico proveniva questo ramo della nazione Apache, stava ad indicare in sostanza un ribelle, colui che non aveva nessuna intenzione di vivere nelle riserve. La Sierra Madre venne utilizzata come rifugio anche da queste teste calde più calde del solito, perfino dei “normali rivoltosi".
Erano talmente difficili da catturare tanto da rappresentare un nemico comune per Stati Uniti e Messico. I due Stati giunsero a stipulare accordi specifici al fine di mettere loro il sale sulla coda.
Diciamo che volendo sdrammatizzare, questi uomini rossi equivalevano al famoso villaggio di irriducibili dove vivono Asterix ed Obelix, nella Gallia conquistata dai Romani.
Una visione ben più nobile di quella che ci siamo fatti sui Broncos responsabili dell'eccidio di Goldena ci viene data dal famoso film di Robert Aldrich interpretato da Burt Lancester, nei panni di Massai, luogotenente di Geronimo e Charles Bronson in quelli di Hondo, “L'ultimo Apache”.
In italiano abbiamo come spesso accade cambiato il senso profondo del titolo poichè “Apache”, quello originale, per altro quasi omonimo del romanzo “Bronco Apache” di Paul Wellman da cui è stato tratto il film, secondo me colpisce maggiormente e risulta più interessante ed accattivante.
Disegno di Lorenzo Barruscotto
Bueno, compadres, anche per oggi siamo giunti all'epilogo.
Il sole sta per tramontare e quindi si spera che anche questa maledetta calura inizierà a darci un minimo di tregua.
Quando rimonterete in sella ai vostri ronzini ed andrete per la vostra strada, là fuori nella prateria, se vi capiterà di imboccare la pista che passa vicino alle rovine di Goldeena, arrestate un attimo il vostro cavallo e toglietevi il cappello per un rispettoso omaggio in memoria di coloro che hanno perso la vita a causa della bassezza dell'animo umano.
Non vi consiglio però di fermarvi da quelle parti per il bivacco.
Quando cala la sera, nelle ore più buie, quando la luna stessa stenta a farsi vedere limpida nel cielo, come se una cupa mano la volesse oscurare anche se non ci sono nubi, talvolta potreste udire lo stridulo ululato di un coyote, quasi come se l'eco rimbalzando sulle pareti dei canyons facesse provenire il suono direttamente dai resti carbonizzati di quella che una volta era stata una bella e fiorente cittadina.
Drizzando le orecchie potrete farci caso: il grido del coyote apparirà leggermente sommesso, come se l'animale pur trovandosi magari su una mesa a grande distanza avesse paura e sentisse ancora oggi odore di morte.
Goldeena non esiste più ma si dice che i suoi abitanti siano ancora lì, e che nelle notti più tenebrose si riuniscano tutti lungo la main street in silenzio, fissando il nulla con le loro orbite ormai vuote, solamente per ascoltare a loro volta qualcosa, portato dal vento, che però nessun altro è in grado di cogliere.
Per ascoltare quella supplica per tutti noi impercettibile ma che da anni costituisce il loro solo conforto all'aver abbandonato questo mondo troppo presto: “Uccidimi, Willer, uccidimi...”
Soggetto, sceneggiatura e romanzo: Gian Luigi Bonelli
Copertina e disegni: Giovanni Ticci
Copertine edizioni precedenti: Aurelio Galleppini