- Categoria: Osservatorio Tex
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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RECENSIONE MAXI TEX: "LA GRANDE CORSA"
Tucson, Arizona.
Siamo arrivati appena in tempo. E' da qui che tra pochi giorni partirà una delle più difficili competizioni a cui abbiate mai partecipato o anche solamente assistito: una corsa a cavallo il cui percorso si snoderà attraverso miglia e miglia di deserto e territorio indiano, per poi terminare presso la città di San Francisco, California. Infatti quello che, per usare un linguaggio moderno, funge da sponsor all'evento è proprio il “San Francisco Examiner”, testata giornalistica nota anche ai texiani, dal momento che ci lavora il simpatico e tenace Sam Brennan, acuto reporter incontrato in diverse avventure come la spettacolare “Squali” ad opera di Galep e Gianluigi Bonelli, dove lo abbiamo conosciuto proprio a Frisco o quella, lunga e bellissima, disegnata da Villa sui testi di Nizzi che vede tornare in scena il pirata Barbanera, il capitano Drake, costringendo i Rangers a farlo addirittura evadere da “Alcatraz!”.
Sappiamo tutti che Tex e Carson non sono tipi facili da coinvolgere in situazioni che richiedono un pubblico né tanto meno sono abituati, come dire, alle luci della ribalta ma effettivamente stavolta sono i guai a cercare loro e non viceversa. Alcuni sgherri al soldo del solito padreterno locale che si crede intoccabile e soprattutto più furbo degli altri, commettono l'errore di malmenare un giovane che intende iscriversi alla gara proprio davanti ai Nostri. Quei prepotenti fessacchiotti forse capiranno di essersela cavata anche con poco, raccogliendo i denti che i cazzotti di Tex hanno fatto spargere loro lungo la main street.
Dopo questo inizio movimentato e, diciamocelo, burrascoso come piace a noi, facciamo quindi la conoscenza di Kevin Caldwell, un bravo ragazzo forse un po' troppo fiducioso nei confronti della vita e pertanto abbastanza sprovveduto per uscirne senza danni nel duro Far West, apprendendo i motivi, più che validi, per cui intende gareggiare e del suo cavallo, il maestoso West Wing, un magnifico stallone di razza Appaloosa.
In seguito ad una sfortunata “casualità” (andiamo, non fate quella faccia, avete capito benissimo cosa intendo dire), saranno proprio le oscure macchinazioni del riccone di turno a spingere Tex ad entrare in gara, al posto del simpatico “sbarbatello”, per dirla alla Kit Carson.
Prima che qualcuno di voi inizi ad accarezzare l'idea di tirarmi una sedia, mi sento in dovere di ricordarvi che niente di tutto ciò che ho detto finora, o che seguirà, costituisce un'anticipazione propriamente detta visto che queste notizie sono solo alcune di quelle presenti nella prefazione, contenuta nella quarta copertina del volume, le quali sono inoltre comparse su alcuni volumi di Tex pubblicati ad Aprile e su ogni pagina o gruppo social dedicati al Ranger o ai fumetti in occasione dell'uscita del ventiduesimo Maxi.
E che Maxi, gente!
La sceneggiatura è opera dell'instancabile Pasquale Ruju, che ormai tiene salde le redini delle storie che stiamo leggendo da un po' di tempo a questa parte e che ritroveremo anche come ideatore dell'albo inedito di Maggio, mentre i disegni sono firmati da Roberto Diso.
Un artista di tale calibro non avrebbe alcun bisogno di presentazione: senza timore di esagerare, mi sento di affermare che si tratta di un gigante del Fumetto, è stato per molti anni colonna di Mister No, la serie sempre di casa Bonelli che vedeva come protagonista il pilota americano Jerry Drake, “rifugiatosi” a Manaus, in Brasile, nel vano tentativo di sfuggire ai problemi.
Anche noi “Navajos onorari” abbiamo incrociato più di una volta la nostra pista con quella del disegnatore: tanto per dare un'idea ai più smemorati o ai lettori di primo pelo del livello di arte che raggiunge lo splendido volume di cui parliamo oggi, come non citare un altro Maxi anch'esso avente come fulcro della vicenda un cavallo (“Figlio del vento”, sceneggiatura di Nizzi) o ancora la storia “Nella terra dei Klamath” (nuovamente in coppia con Ruju), comparsa sull'Almanacco del West 2004.
Ne approfitto per unirmi al coro degli auguri di compleanno al Maestro, anche se leggermente in ritardo, aggiungendo quelli miei personali e di “Osservatorio Tex”. Un bicchiere di quello buono ed una bistecca sepolta da una montagna di patate li offre la casa, se gli capiterà di passare qui al Trading Post.
Le chine di Diso ci trasportano già dalla prima tavola nel “nostro” mondo, a volte brutale, crudele e selvaggio ma affascinante e coinvolgente: il West!
Sono molti gli elementi che possono spingere un texiano dalla scorza dura ma dal cuore sensibile come il sottoscritto, e come molti di voi, adesso non fate finta di niente, a considerare l'albo uno dei più belli tra quelli usciti negli ultimi tempi, cadendo a fagiolo nell'anno del settantennale, non solamente per la storia in sé o per i disegni (entrambi raggiungono livelli elevatissimi) ma anche per le sensazioni che quest'avventura ci fa provare: da una certa nostalgia che ci investe in pieno al pari di, concedetemi il facile paragone, un mustang lanciato al galoppo, all'inquietudine che ci fa sfogliare la pagina successiva con una certa apprensione, quasi come se il cattivo dovesse saltarci addosso uscendo dalle pagine per fare il suo sporco lavoro, dalla contagiosa competitività di certi contendenti che ci fanno pensare che forse l'umanità ha ancora qualcosa per cui valga la pena combattere e che possa essere salvato all'ignobile comportamento di qualche individuo che non solo non sa dove stia di casa la sportività ma che con la sua sola esistenza adombra il significato della parola lealtà e che noi stessi, per quanto pacifici cowboys, vorremmo avere tra le grinfie per cinque minuti in una stanza con la porta chiusa a doppia mandata. Dall'esterno, in puro stile Bud Spencer e Terence Hill.
Ci emozioneremo, ci stupiremo, ci indigneremo, dovremo interrompere la lettura per asciugarci il sudore dalla fronte e lavarci il gargarozzo con mezzo litro di acqua fresca a causa del caldo che proveremo nelle assolate e desertiche pianure lungo le quali ci avventureremo, avremo tutti i muscoli che vibreranno per lo sforzo come se anche noi stessimo partecipando alla corsa e quando scenderà la notte, dopo aver acceso il fuoco di un bivacco per consumare un pasto frugale ma ristoratore, non avremo neanche la possibilità di rilassarci troppo: le ombre potrebbero nascondere un'insidia, gli strani rumori ma soprattutto i silenzi della fauna attorno a noi potrebbero essere un gran brutto segno e lo stesso fuoco, visibile da lunghe distanze nella prateria, potrebbe attirare sgradite compagnie.
Se tutto questo non vi basta, sappiate che non sarà contemplato neanche abbassare la guardia nei confronti dei compagni di gara, e non parlo solamente del fatto che qualcuno potrebbe sempre tirare fuori dal cappello un trucco per lasciarci a piedi. Meglio dormire con un occhio solo e senza separarci dalla sputafuoco, amigos, così come almeno inizialmente forse non è bene allontanarsi dal grosso del gruppo. Ne va della pelle.
Ruju infatti tinge di giallo la narrazione, inserendo un maledettissimo mistero da risolvere.
D'altra parte mentre Tex è impegnato in sella a West Wind, Capelli d'Argento non se ne sta certo in panciolle a scolarsi birre ammirando le ballerine dei vari saloon di Tucson.
Anche se forse lo avrebbe preferito.
Vedremo il vecchio cammello impegnato in un'indagine parallela che inevitabilmente tornerà ad incrociare il percorso della competizione e percepiremo, anzi, condivideremo la crescente preoccupazione di Carson quando pezzo dopo pezzo inizierà a ricomporre un drammatico puzzle che lo porterà sulle tracce di uno spietato assassino. Bravi, se non lo sapevate già, chi ha alle spalle anni di letture ed esperienza a fianco dei Rangers non tarda a fare due più due: il killer non può che essere uno dei concorrenti.
Prima che i due Pards abbiano modo di riunirsi e sbrogliare l'intricata matassa, se su di un fronte, il vecchio Kit si muove principalmente con un treno, al fine di raggiungere San Francisco, tappa finale della gara, insieme al giovane Kevin, padrone del cavallo che il nostro eroe sta montando, attorniato da giornalisti, autorità e pubblico intenzionato ad assistere al taglio del traguardo, Tex non deve occuparsi solamente di non sfiancare la sua cavalcatura. Come ho accennato prima, il percorso più breve passa attraverso territori indiani, Apache per la precisione.
E voi direte: “Che diavolo, ma ci stai snocciolando un colpo di scena dietro l'altro!”.
Così sembra, ma invece no.
Il solo particolare che vi ho svelato non è la presenza di indiani ostili, anch'essi già chiamati in causa nella sinossi del volume, ma il fatto che si tratti di Apaches.
D'altra parte non fa differenza a quale nazione pellerossa appartengano né che siano indiani o meno: un mucchio di balordi che vuole farti fuori in piena notte per soffiarti armi e cavalli è e rimane solo un mucchio di balordi, indipendentemente dal colore della loro pelle o dal fatto che maneggino un tomahawk invece di un Winchester ultimo modello.
Sappiamo tutti però quanto sia sballata l'idea di cercare di prendere lo scalpo di Aquila della Notte e ci stupiamo sempre di come in giro sia pieno di ottimisti di tale risma, convinti di possedere un ghigno antiproiettile. In ogni caso, non c'è bisogno di dirlo, le Colt del Ranger non si stufano mai di impartire la loro lezione calibro 45. A volte, poche ve lo concedo, abbiamo anche provato una certa pena per i tirapiedi che venivano convinti dal miraggio di qualche mazzetta di fruscianti dollaroni a trasformarsi in bersagli da tiro a segno per le sei colpi dei Nostri ed altre volte, ancora meno delle prime, siamo incappati in qualche farabutto di buon senso che, rinsavendo di colpo, capiva la mala parata e si dava alla fuga o si arrendeva per non andare a guardare l'erba dalla parte delle radici.
Ecco, in quest'albo non troveremo né gli uni né gli altri: stavolta non basterà il reverenziale timore che il sacro Wampum, cioè la fascia di capo che Tex possiede di diritto e con cui si cinge la fronte quando veste i panni del sakem dei Navajos, incute negli animi della maggior parte degli indiani ma saranno necessari mira precisa e nervi saldi per rivedere il sole della prossima alba.
Il tratto di Diso cattura il lettore sia per la dinamicità dello stile che per la raffinatezza del tocco: non possiamo fare a meno di ammirare la passione che traspare da ogni pagina e la cura dei dettagli ad esempio quando vediamo avvicinarsi lo sbuffante treno che porterà i suoi passeggeri lungo la “Southern Pacific”, il cosiddetto “cavallo di ferro”, e quale occasione migliore di questa per chiamarlo così, notoriamente detestato da Carson: panche dure e scomode, troppo rumore, troppo fumo e pessimo odore, molto meglio una familiare sella ed il vento sulla faccia ma stavolta sarà necessariamente utile bruciare le tappe correndo sui binari a bordo di questo simbolo della “civilizzazione” che avanza inesorabile.
Un altro cavallo che non si può non nominare è IL cavallo per eccellenza, il motivo del sorriso carico di malinconia che sia a noi che a Tex si delinea sul volto dopo aver visto per la prima volta l'Appaloosa protagonista della gara. Esatto, sto parlando del “bravo ed intelligente Dinamite”, compagno di mille avventure, quelle avventure dal sapore classico, “di una volta”, ormai lontane decenni ma mai dimenticate. Come non ricordare quante volte ci siamo affidati ai suoi garretti per portare in salvo la buccia e siamo rimasti col fiato sospeso nel vedere cavallo e cavaliere affrontare la morte saltando un dirupo per lasciare a bocca asciutta gli inseguitori o per non perdere le tracce di un furfante a cui mettere il sale sulla coda. Mi viene in mente una storia, una delle prime a fianco di Tiger Jack, quando il Navajo parlava ancora con i verbi all'infinito ed indossava il gilet, nella quale i due pards si trovano sepolti nella sabbia fino al collo lasciati a morire di sete nel deserto dai feroci componenti della banda dei Dalton ed il giovane Ranger pur di mettere in guardia il suo cavallo dalla letale minaccia rappresentata da un crotalo non esita a rischiare la propria vita attirando le poco carine attenzioni del serpente, che però viene schiacciato da Dinamite il quale, come se volesse ripagare tale gesto, riesce a scavare con i suoi zoccoli quel tanto che basta per permettere a Tex di divincolarsi dalla morsa della sabbia.
Oltre all'omaggio ad un amico che non può non venire menzionato, in questa storia, torneremo indietro nel tempo con la mente non solo una volta poiché faranno capolino anche altri amici, a due gambe, come comprimari o semplici comparse. Uno di questi lo abbiamo citato prima, all'inizio della nostra chiacchierata mentre altri due, vi aiuto dicendo che fanno entrambi lo stesso mestiere, non possono mancare quando il nostro vagabondare per il Sud Ovest ci porta per l'appunto a Tucson o a San Francisco. Non vi svelo direttamente chi sono ma ognuno di voi, non ho il minimo dubbio, ha già inquadrato perfettamente di chi sto parlando.
Non ci sono “solo” ottimi disegni ed una grande storia in questo “balenottero” (così venivano un tempo chiamati i Maxi e devo ammettere che come termine “da fumettaro” mi è sempre apparso amichevolmente calzante) formato da ben 292 pagine: troviamo valori che stanno alla base non solamente del rigore morale che caratterizza il modo di agire di Tex, ma che rappresentano insegnamenti che dovrebbero sempre essere considerati esempi da seguire nella vita di tutti i giorni e che qualcuno spesso dimentica o fa finta di dimenticare. Non si tratta solamente del banale “i buoni vincono”, cosa che nella realtà spesso purtroppo non si avvera, ma vengono sottolineate onestà e correttezza, l'intramontabile significato del giocare pulito rispetto al “non conta partecipare ma vincere” messo in atto da parte di maneggioni che rincorrono il guadagno senza sapere dove stia di casa l'onore oppure ancora il rispetto sia in battaglia verso il nemico che nei confronti di se stessi e non ultimo l'affetto che si può provare verso un animale fedele e generoso.
Già che ci siamo soffermiamoci un momento proprio sui veri protagonisti della vicenda, i cavalli, anzi nello specifico su un solo esemplare, West Wind, dichiaratamente di razza Appaloosa.
Ci sono molte razze di cavalli, non soltanto in America ma nel mondo e noi texiani ne abbiamo sentite nominare qualcuna oltre a questa, come il Palomino o il Painted Horse.
La razza Appaloosa viene considerata una di quelle “tipicamente western”: con un'altezza al garrese di anche un metro e mezzo può raggiungere i 500 kg di stazza, quindi aveva anche applicazione come cavallo da tiro per il trasporto delle merci indiane, sostanzialmente di carattere docile ma vivace è caratterizzata dalle ben visibili macchie scure sul manto (esistono sei varietà di mantelli). Una delle notizie che ho appreso nel mio spulciare tra vari siti, concedetemi la battuta, “ferrati” sull'argomento è la curiosa peculiarità secondo la quale i puledri nascono senza macchie e che queste compaiono poi con l'età adulta, sempre diverse da quelle dei genitori. Dotato di una criniera corta, è un cavallo agile ed il suo nome deriva dal fiume Palouse, un affluente dello Snake, che scorre tra gli stati di Washington e Idaho. In effetti, furono proprio gli abitanti di quei territori, gli indiani Nez- Percè, tribù nota anche ai lettori di Tex, ad iniziare l'allevamento specialistico di questo animale fin dal lontano 1700.
Come ben sappiamo purtroppo i bianchi non sempre o meglio quasi mai rispettavano i trattati, specialmente quando di mezzo c'erano interessi economici. I Nasi Forati, questa la traduzione del nome Nez-Percè, vennero alla fine cacciati dalle terre del loro padri quando la febbre dell'oro coinvolse anche le loro zone per finire in una riserva in North Dakota, dopo essersi arresi alle giacche blu prima di concludere la loro fuga verso le terre canadesi. A questa lunga marcia attuata sperando di raggiungere le foreste della Grande Regina Bianca sopravvissero solamente un migliaio di Appaloosa, che per oltre 2000 miglia resistettero all'incalzare dell'esercito i cui soldati potevano cambiare i propri cavalli grazie ai vari forti ed alle stazioni di posta.
Negli anni l'esistenza di questa razza è stata sostanzialmente merito di questa particolare storia che ormai si è fusa con la leggenda e del loro aspetto che colpisce l'immaginazione rendendoli ricercati per circhi o più recentemente per film. Ora esistono dei Club specifici di estimatori con migliaia di esemplari iscritti (uno importante a livello mondiale è proprio in Canada) e dal 1975 l'Appaloosa è diventato il cavallo simbolo dello stato dell'Idaho.
Il maestro Diso è dannatamente a suo agio nel rappresentare i cavalli sia in scene d'azione che in frangenti meno frenetici: probabilmente dietro alla sua abilità c'è un profondo studio anche dell'anatomia di questi animali, disegnati in modo meticoloso e dinamico.
Ciò non significa che le pagine non ci offrano anche altri motivi per toglierci il cappello, quali i vigorosi primi piani, dei Rangers o dei vari concorrenti, dalla rude faccia contornata da una ispida barba di un cowboy ubriaco al più soave viso di una donna che però dimostrerà di avere carattere e fegato per riuscire a competere in bravura con i migliori cavallerizzi della gara.
Meritano infatti una citazione anche alcuni dei cavalieri che affiancano Tex nella corsa, non restando fumose presenze sullo sfondo ma divenendo man mano che si prosegue con la lettura personaggi con un loro spessore ed una personalità ben definita. Almeno un paio non potremo che trovarli in gamba e quasi all'altezza di rivaleggiare con il nostro ex re del rodeo in quanto a tenacia e resistenza in sella.
A volte siamo uno dei tanti tra la folla degli spettatori alle eliminatorie di selezione, altre volte ci trasformiamo in silenziosi falchi che sorvolano la scena dall'alto, altre ancora siamo acquattati tra le rocce protetti dalle ombre che si allungano nel tramonto pronti a coprire le spalle ai Nostri in caso di necessità, oppure infine vediamo scorrere il paesaggio sullo sfondo proprio come accade quando siamo seduti in treno e guardiamo fuori dal finestrino.
Con una maestria che non esito a definire cinematografica, i cambi di visuale coinvolgono il lettore che diviene circondato dagli ambienti raffigurati, costretto suo malgrado a socchiudere gli occhi quando il sole, espresso con pochissimi ma efficaci tratti, brilla alto nel cielo o al contrario ad aguzzare la vista quando viene immerso nella cupa notte dai chiaroscuri e dagli sfondi completamente neri che contrastano con le figure illuminate dalle danzanti fiamme di un falò, le cui lame di fuoco fanno brillare altre lame, quelle in acciaio di un pugnale, ben più temibili e gelide.
Mi è capitato di leggere qua e là alcune critiche, per altro talvolta mosse senza portare il doveroso rispetto quando si parla di certi artisti, che mi hanno lasciato abbastanza perplesso. Intendiamoci, non perché ci siano opinioni giuste o sbagliate in merito all'arte: salvo casi di “bruttezza ed insensatezza oggettive” ogni parere è valido se manifestato in modo civile e cordiale, magari anche se motivato, ma sinceramente in questo caso ciò che è oggettivo è la mancanza di fondamento di molte tra la maggior parte delle obiezioni. Una cosa, qualunque cosa, può piacere o non piacere, a me come a voi, ma questo non trasforma chi la contempla nel portatore di una verità assoluta, specialmente se, so che ho riportato questo pensiero in più di un'occasione ma fatemelo ribadire, chi parla non ha mai preso in mano una matita neanche per scarabocchiare mentre è in attesa al telefono. Il tutto risulta quanto meno fuori luogo se poi si trascende apportando non richieste considerazioni che toccano il piano puramente personale, che passano il segno non solo perché non si tratta di analisi fondate su prove evidenti ma soprattutto perché in ogni caso non si deve mai superare una certa misura abbandonandosi a equilibristici “ragionamenti” solo apparentemente da primi della classe: è una questione di buon gusto oltre che di buon senso.
E tra l'altro ciò che in alcuni casi viene considerato motivo di un giudizio negativo sull'albo per me appare come una ragione abbastanza palese per considerare quest'opera di ancora maggior valore..
Lo stile di Diso potrebbe essere definito essenziale per certi versi ma particolareggiato per altri, si discosta da alcuni grandi di Tex o del fumetto in generale ma è lineare e preciso, curato, senza sbavature ed unico. Forse in qualche tavola appare un po' meno “pulito” di quello visto in albi che abbiamo analizzato in passato ma si tratta di West, amigos, per altro di una corsa a cavallo nel West, e quindi è normale che un certo strato di polvere si posi virtualmente sui nostri vestiti, il che per chi vi sta parlando dona un tocco di classe a questo capolavoro in bianco e nero.
L'espressività dei volti, ottimamente accostati ai campi lunghi, è spalleggiata dai testi di Ruju, ormai lo sappiamo, maledettamente bravo quando si tratta di dosare suspense a battute più leggere, dialoghi esplicativi a frasi corte e sferzanti. E non mancano il classico linguaggio da western che trasuda dai toni di sfida che troviamo nelle parole di certi personaggi o la tipica ironia di alcune frasi di Tex, tali da farci esplodere in una tanto inaspettata quanto gradita risata, fino agli immancabili battibecchi tra i due Rangers, i quali anche se separati dalla vicenda danno prova di conoscersi come le proprie tasche e di capire perfettamente, Carson direbbe “cosa frulla nella zucca”, noi diciamo l'animo uno dell'altro.
Tutto ciò viene coordinato dal gran lavoro di lettering del sempre preciso Omar Tuis.
Un momento… so cosa state pensando, ormai vi conosco come voi conoscete me.
Vi state chiedendo se ci sono riferimenti storici o comunque basati sulla realtà anche in questo racconto. Forse qualcuno sta incrociando tutte le dita perché la risposta sia negativa, ma tranquillizzatevi e mettete giù quelle bottiglie vuote: non intendo annoiarvi troppo con lezioni di storia né tanto meno di geografia anche se il segugio che è in me ha sentito il bisogno di ficcare il naso in questo senso.
Per farla breve, parlando della gara, si tratta di quasi 900 miglia di percorso il che neanche adesso con un moderno fuoristrada sarebbero una passeggiata, figuratevi a cavallo tra intemperie, deserti e pericoli non solamente imputabili a madre natura.
Una delle prove che un certo accurato lavoro di ricerca è stato compiuto anche per questo speciale è rappresentata da una notizia che Kevin Caldwell fornisce ai due Pards ma più essenzialmente a noi: il percorso della corsa segue la vecchia pista della “Southern Overland Stage Route”, una pista percorsa dalle diligenze che trasportavano persone e posta da Memphis, Tennesee e St Louis, Missouri fino a San Francisco, attraverso Nuovo Messico ed Arizona.
Si susseguirono un paio di compagnie lungo la Overland Mail Trail, cioè la “pista della posta” e la più nota a tutti noi è senza dubbio la Wells Fargo. Non era certo la sola strada per raggiungere la California: esistevano molte vie, alcune famose che, seppur dopo aver subito inevitabili mutamenti, sono giunte fino ai nostri giorni, come la Cherokee Trail che passava attraverso i territori di Colorado e Wyoming o la Mormon Trail, parte orientale della celeberrima Oregon Trail, una delle principali strade per la migrazione dei coloni verso le terre della Frontiera.
Altro riferimento al reale è naturalmente la presenza della linea ferroviaria Southern Pacific Railroad: nata come “costola” della più vecchia Central Pacific aveva sede proprio a San Francisco e toccava centri importanti come Sacramento, Los Angeles, New Orleans ed El Paso.
Forse anche qualcuno di voi, io confesso di sì, dopo aver letto il titolo del volume, ed aver ammirato la copertina realizzata come sempre dal mitico Villa, è stato per qualche secondo, come dire, “tratto in inganno” pensando ad un altro tipo di corsa, ben nota agli appassionati di western: la celeberrima corsa alla terra per l'assegnazione di lotti di terreno organizzata dal governo degli Stari Uniti e che lo stesso Tex ha vissuto nel grandioso Maxi “Oklahoma”, firmato dalla coppia Letteri-Berardi..
Oppure è stata solamente una mia idea ma che comunque ha aumentato la mia curiosità verso questo "fuoriserie" non appena ho letto la pubblicità prima che uscisse nelle edicole.
Ad essere pignoli non c'è stata solamente una di queste corse: non tutti sanno che se ne susseguirono ben cinque nel giro di pochi anni, per quanto le più note siano la prima, tenutasi nel 1889, la classica ispiratrice anche di parecchie pellicole, la “Oklahoma Land Rush” per l'appunto, detta dalle genti dell'epoca “Hoss Race” e la quarta, del 1893, passata alla storia come “Land Run” o più nello specifico “Cherockee Outlet Opening”, sempre in Oklahoma, che in sostanza permise l'acquisizione delle rimanenti terre che andarono poi a completare la costituzione geografica di quello Stato americano.
Effettivamente in inglese “hoss” è un termine dialettale per indicare “horse” cioè cavallo, quindi non è un discorso del tutto fuori tema, per quanto non si sia trattato di una gara a fini sportivi e solamente all'incirca un partecipante su tre abbia raggiunto il suo scopo o per lo meno conservato la pelle.
Nel mio lavoro di ricerca non ho solamente dato un'occhiata ad un paio di siti specifici sui cavalli ma per verificare alcune mie conoscenze e non rifilarvi panzane ho trovato riscontri anche sul sito “Farwest.it”, sul quale talvolta ho avuto anche in passato conferme a ciò che mi tornava alla memoria spolverando ricordi sopiti appresi da libri o giornali.
Inoltre per onorare questa... maxi-uscita particolare mi sono spinto un po' più in là, contattando direttamente un ranch americano situato in Oklahoma (il “Flying W Guess Ranch”) che contiene anche un museo, per le verifiche sulla storia delle corse e lo stesso giornale che nell'albo ha organizzato la Grande Corsa, vale a dire il San Francisco Examiner, testata vera ed ancora esistente nonché ben nota negli USA, nelle persone di un paio di redattori.
Non vi ho fatto questo breve elenco per chissà quali strani motivi né tanto meno per fare pubblicità, ma perché mi sembrava corretto citarli in una sorta di piccola bibliografia, per quanto abbia incrociato i miei dati e non riportato alcuna notizia senza mettere in moto quel po' di materia grigia che ancora funziona.
Liberissimi di sostenere il contrario adducendo documentazioni concrete, anzi sarò lieto di smentire le mie parole ed imparare una cosa nuova facendo mea culpa, ma io in pratica non ho trovato alcuna “evidence”, cioè prova sicura che testimoniasse a favore di una gara simile a quella della nostra storia se non proprio questa stessa organizzata dal giornale californiano, neanche nelle risposte ottenute dalle mie occasionali fonti, ma comunque competizioni del genere, così come i rodei o le gare di tiro, non erano infrequenti nel West, certamente non della portata di quella raccontata nello speciale, apprezzate non solo come motivo di svago ma anche per via delle scommesse che venivano piazzate sui vari concorrenti.
Vengono invece in mente almeno un paio di film incentrati su corse simili, ad esempio il datato “Stringi i denti e vai”, che nella versione in lingua originale ha un titolo più accattivante (“Bite the bullet”) con James Coburn e Gene Hackman girato ormai decenni fa tra Neveda, New Mexico e Colorado ed il più recente “Hidalgo” interpretato da Viggo Mortensen, anche se la location non è il “nostro” Sud Ovest.
Muy bien, amigos, dopo tanto parlare siamo arrivati alla fine anche oggi.
Per restare in tema che ne dite di dare una bella scrollata alle nostre carcasse e fare una galoppata lungo il fiume? Vamos, andate a dare la sveglia ai vostri ronzini.
Chi arriva per primo al guado stasera beve gratis.
In sella!
Disegni: Roberto Diso
Soggetto e sceneggiatura: Pasquale Ruju
Copertina: Claudio Villa
Lettering: Omar Tuis
292 pagine