- Categoria: Autori e Anteprime
- Scritto da Giuseppe Pollicelli
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L'Intervista » Pratt, Manara, Pazienza & co.: vizi e virtù del fumetto italiano nei ricordi di Rinaldo Traini
di Giuseppe Pollicelli*
In questo 2015 si sta variamente celebrando il mezzo secolo dall’uscita del primo numero della rivista “Linus”, ed è una cosa sacrosanta. Ma c’è un’altra ricorrenza fondamentale per la storia del fumetto italiano che non va passata sotto silenzio: i cinquant’anni dallo svolgimento della prima edizione del Salone Internazionale dei Comics, che si tenne nel 1965 nella cittadina ligure di Bordighera. Tale evento, dall’anno successivo, si sarebbe trasferito a Lucca e da lì non si sarebbe più mosso, consacrandosi come uno degli appuntamenti più importanti d’Europa tra quelli legati al fumetto, vero e proprio modello per altre prestigiose manifestazioni come la francese Angoulême. Nato da un’intuizione dello studioso Romano Calisi, il Salone ha avuto fin dall’inizio un perno imprescindibile in Rinaldo Traini, che lo avrebbe poi diretto fino ai primi anni Novanta. Storico del fumetto e instancabile animatore culturale, ma anche prolifico editore di fumetti sia d’epoca che contemporanei, Traini - romano doc pur essendo nato a Milano nel 1931 - ha ora dato alle stampe un illustrato libro di memorie in cui, cucendo tra loro scritti editi e inediti, intreccia la propria biografia alla storia del fumetto italiano nel Novecento: Incontri. Ottanta anni con i fumetti (Ed. Create Space Publishing Platform, pp. 90, euro 18, per informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).
Quali fumetti ami di più?
«Semplice, quelli realizzati dagli autori più bravi. Ho sempre pensato che vi sia un’incolmabile distanza tra l’Aurelio Galleppini di Tex e il meno noto Rino Albertarelli: a tutto vantaggio del secondo. Su questo punto ho discusso tante volte con l’amico Sergio Bonelli, il quale era invece convinto che il fumetto autentico fosse quello che faceva lui. E magari di fronte ai lavori di un Bilal storceva il naso».
Quando, recuperando un tuo precedente progetto, nel 1974 fondi la casa editrice Comic Art, ti specializzi nella riproposta del fumetto classico, soprattutto americano. Poi però, nel 1984, “Comic Art” diventa anche una rivista che ospiterà i nomi più importanti del fumetto internazionale.
«Per i primi sei o sette numeri il mensile non è andato benissimo. La svolta è arrivata quando ho ereditato da una rivista concorrente che aveva appena chiuso, “Orient Express”, autori come Magnus, Berardi & Milazzo e Saudelli. A quel punto Comic Art ha cominciato a vendere oltre 15.000 copie a numero e, per un po’ di anni, è riuscita a mantenersi su questi livelli».
“Orient Express” l’aveva inventata Luigi Bernardi, personaggio di rilievo dell’editoria italiana (non solo a fumetti), prematuramente scomparso nel 2013.
«Bernardi, uomo molto intelligente, è all’origine del mio litigio con Milo Manara, il quale non mi ha più rivolto la parola dopo che io mi sono rifiutato di allontanare - come Manara avrebbe voluto - Bernardi medesimo da Comic Art: Luigi aveva scritto che Manara ricalcava le foto porno e che il suo Il gioco era “un fumettaccio senza pretese sceneggiato alla boia di un Giuda”… Era un musone, sempre ingrugnato. E uno scialacquatore molto amante della bottiglia. Veniva da Bologna a Lucca in taxi e spendeva l’ira di Dio per assicurarsi i fumetti giapponesi, che di fatto ha portato lui in Italia. Il padre era un ricco proprietario di immobili e credo che lui un paio di palazzi di famiglia se li sia “fumati”».
Hai collaborato anche con Oreste del Buono.
«Coltissimo e arguto. E molto dispettoso. Poteva fare a pezzi chiunque irridendone con precisione chirurgica tic e debolezze. C’è stato un periodo in cui nell’editoria era Dio: se ti mettevi contro di lui, avevi chiuso».
Tra i tuoi amici figura anche Hugo Pratt.
«Esuberante e incontenibile come spesso sono i geni. Lo ricordo già molto ingrassato, nel 1967, ingozzarsi di bignè a Lucca. In quel periodo stava realizzando, grazie ai finanziamenti del suo mentore genovese Florenzo Ivaldi, la storia in cui debutta Corto Maltese, Una ballata del mare salato».
Su Comic Art hai ospitato anche numerosi lavori inediti di Andrea Pazienza, spiazzando i lettori più tradizionalisti.
«Siamo a metà anni Ottanta. Alla rivista “Corto Maltese”, edita da Rizzoli, avevano cominciato a emarginare Pazienza perché, pochi lo sanno, Pratt non lo poteva vedere in quanto lo faceva sentire vecchio, superato. Allora propongo ad Andrea di passare con me, offrendogli 350 mila lire a tavola. Lui accetta, ma a patto di avere sempre carta bianca. Un giorno di giugno del 1988 viene a trovarmi a Roma, in redazione, e mi chiede un acconto (che io gli concedo) dicendomi che da due mesi non si buca. A un certo punto però scende e sta via una mezzora, e quando torna su appare innaturalmente contento. Era andato da un noto spacciatore della zona, ed è da costui che ha comprato la dose che lo avrebbe ucciso. Quando, nella serata di quello stesso giorno, è tornato a Montepulciano, si è drogato di nuovo ed è morto. Già una volta a Lucca, del resto, mia moglie lo aveva salvato per un pelo. Non si può smettere di maledirlo per quello che ha combinato…».
Articolo apparso originariamente su “Libero” del 13 giugno 2015. Per gentile concessione dell'autore.