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L'Editoriale. La bolla dei Pregiudizi ci avviluppa tutti
di Alessandro Bottero. Ultimamente sta diventando sempre più importante e preoccupante il problema delle cosiddette Bufale da Internet. Ossia la diffusione più o meno volontaria di notizie false, tramite i social network attraverso cui passa ormai la stragrande parte delle informazioni assunte dalle persone.
Il problema non è di poco conto. Anticamente (e mi fa sorridere dover usare questo avverbio) l’autorevolezza della testata giornalistica o di chi parlava e si esponeva in prima persona – ci metteva la faccia – si fondava se quel che si diceva o scriveva era vero, ossia aveva una corrispondenza col reale. I capiredattori di una volta, quelli che torturavano, estenuavano e terrorizzavano i praticanti volevano che OGNI singolo fatto citato in un articolo fosse controllato non una, ma due o tre volte, questo per evitare che si potesse dire “Hai pubblicato una cosa NON VERA”. La distanza dalla verità – che se involontaria era indice di pressapochismo e incapacità professionale, se voluta invece diventava menzogna per secondi fini – era la morte dell’autorevolezza. Il giornale o la persona che diceva cose scomode ma VERE era autorevole, anche se era solo contro tutti. “È la stampa, bellezza”, diceva Humprey Bogart, e poteva rovinare i potenti perché pubblicava cose VERE, e i lettori si fidavano di lui perché sapevano che quello che leggevano era vero.
Ora è tutto cambiato. Ora esistono siti che volutamente pubblicano notizie false, sapendo che sono false, avvertendo i lettori con scritte in caratteri piccoli che quello che leggono è tutto falso, ma facendolo SOLO per avere più click sui propri siti e pagine Facebook e quindi vendere spazi pubblicitari. I Mi Piace, i followers, gli amici su Facebook o i contatti sul sito sono diventati la nuova cifra dell’autorevolezza. Un sito è autorevole se ha tanti contatti. Una pagina Facebook è autorevole se ha tanti amici e I Like “Ma che parli te che hai solo 10 amici, PEZZENTE!”. Non conta se le cose che scrivi o dici sono vere, Ormai la verità ha perso.
A questo aggiungiamo altri due dati: la tendenza ad informarsi solo tramite i social network e nei social network attraverso le pagine di persone o enti informativi a noi affini, e la chiusura della maggior parte di noi in bolle autoreferenziali (le cosiddette filter bubble) per cui esistiamo in uno spazio informativo dove veniamo in contatto quasi solo con notizie o altre voci che confermano e rafforzano quello che già crediamo giusto.
E questo accade anche nei fumetti. I pre-giudizi su autori, fumetti, siti, blog, ci avviluppano e orientano a priori il nostro alimentarci di informazioni. Il diverso, quello che viene bloccato dalla nostra bolla autoreferenziale , resta sempre al di fuori dal nostro interesse.
Se sono convinto a priori che l’autore X sia bello, buono e bravo e quello che fa sia il successo più epocale dell’intero universo, difficilmente accetterò di esaminare con serenità e obiettività voci discordanti, quand’anche fossero vere e oggettive. La bolla del pregiudizio in cui sono racchiuso e che è rafforzata da tutti gli altri che vivono nella stessa bolla o in bolle identiche connesse tra loro , creano dei filtri talmente forti e impervi che la realtà difficilmente riesce a scalfirli.
Il problema sono i social in sé? No, ovvio. I social sono degli strumenti. Da soli non sono capaci né di agire in modo positivo né in modo negativo. Sono le persone che usano i social in modo corretto (eliminando il più possibile i pregiudizi e VERIFICANDO le notizie che leggono) o sbagliato (rafforzando i filtri, rendendo sempre più spesse e impervie le bolle die pregiudizi).
Il problema è se le persone siano abbastanza competenti da saper usare nel mondo più efficace gli strumenti che utilizzano in modo così superficiale. Se le persone siano capaci di utilizzare e sfruttare nel mondo più efficace e critico la ricchezza delle fonti disponibili, così da ridurre il più possibile l’autoreferenzialità ed allargare l’orizzonte.
La soluzione non è nemmeno un generico e fideistico ricorso alle Fonti, perché le fonti stesse sono (possono) essere offuscate dai pregiudizi e dare informazioni sbagliate e/o incomplete. Se l’editore X dice quanto vende un fumetto, ma non la tiratura e il numero delle copie distribuite non è una fonte attendibile e citarlo non serve a nulla, se non a rafforzare nel lettore l’idea che chi lo cita sia autorevole. MA questa patente di autorevolezza in realtà si basa sul fatto che lettore e sito di informazione si ritrovano assieme nella stessa bolla autoreferenziale, e chi parla/scrive si limita a confermare cose che il lettore già ha deciso come vere.
Viviano tutti all’interno di bolle autoreferenziali, perché siamo pigri ed è più semplice e comodo leggere/ascoltare/annuire a chi dice cose con cui siamo già d’accordo e che ci piacciono.
Ma così non cresceremo mai. Né come idee, né come conoscenza, né come persone.