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L'Editoriale » 2014: il problema dei compensi. Sta per finire la pacchia?
di Alessandro Bottero
Nell’editoriale dedicato alla chiusura di Horror Time accennavo a un argomento scottante. Mi auto-cito: “Prendo Horror Time 1, lo leggo, e lo trovo un prodotto competente e potenzialmente in grado di ritagliarsi uno spazio sia pure piccolo ma sufficiente per sopravvivere. Probabilmente i collaboratori e chi ci scrive NON ricaverà uno stipendio fisso mensile da Horror Time, ma se volete lo stipendio fisso allora signori la dura verità è una sola: non lavorate in campo editoriale.” La parte importante è quella in neretto e sostanzialmente significa questo: Signori, se volete che vi si tratti da adulti allora la verità nuda e cruda è che lo stipendio fisso coi fumetti in Italia ce l’hanno forse 200 persone in tutto. Non parlo degli IMPIEGATI della Bonelli, Disney, Panini, o altre case editrici. Parlo degli autori (sceneggiatori, disegnatori, inchiostratori, coloristi) che come LIBERI PROFESSIONISTI, quindi senza contratti a tempo indeterminato o posti fissi, cercano di sbarcare il lunario. Beh, le persone che ci riescono SOLO ed ESCLUSIVAMENTE facendo fumetti, ossia non insegnando in scuole di fumetto, non facendo service editoriali, non facendo lavori di grafica o altro, credo non raggiungano la cifra di 200 persone in tutto, su 56 milioni di abitanti.
E questo perché? Perché le TARIFFE delle case editrici sono basse. Volete sapere quanto pagano le varie case editrici uno sceneggiatore? Presto detto: Disney 40 euro a tavola; Aurea 15 euro a tavola; Star Comics 20 euro a tavola. Disegnatori? Aurea e Star stanno mediamente tra 35 e 45 euro a tavola. È evidente che con queste tariffe uno sceneggiatore ha bisogno di scrivere minimo0 100 pagine fisse tutti i mesi per incassare quanto basta per vivere e poter pensare a un futuro. 100 pagine, tutti i mesi, ogni anno, per tutto il tempo possibile. E se la casa editrice per cui lavori realizza solo UNO o DUE albi al mese gli basteranno DUE sceneggiatori, perché uno sceneggiatore minimamente capace 100 pagine in un mese le scrive tranquillamente.
Ma allora perché dico “sta per finire la pacchia”? Perché a parte queste cifre c’erano quelle della Bonelli. Allora, per anni la casa editrice Sergio Bonelli ha adottato una politica molto chiara: pago i miei autori MOLTO più dei concorrenti e MOLTO più di quello che il mercato permetterebbe di fare, per attirare i migliori, toglierli ai concorrenti e sterminare la concorrenza. E questo era palese. Nessuno lo ammetteva o lo diceva, ma era l’obiettivo ultimo. Io pago, e quindi i migliori lavoreranno per me, senza considerare i miei concorrenti, a cui resteranno solo gli scarti o i ragazzi alle prime armi. C’è qualcuno tra gli addetti ai lavori o che conosce come stano le cose che ha la faccia tosta di negare che era questo il modus operandi? È ovvio che se alla Bonelli a uno sceneggiatore danno 100 o 150 euro a pagina e a un disegnatore che inizia a lavorare per loro minimo 150 euri a tavola la differenza con gli altri editori che pubblicano in edicola è abissale. È come se in un campionato di calcio ci fosse una squadra che spende 100 miliardi di euro per acquistare giocatori, mentre tutte le altre possono usare solo 100.000 euro. Ma come era possibile questo? Era possibile perché la Bonelli aveva una serie di testate che vendevano tanto, e quindi poteva permettersi di pagare tanto. Quando all’epoca d’oro Tex, Dylan Dog, Nathan Never vendevano centinaia di migliaia di copie era possibile pagare oltre il prezzo di mercato i vari autori. Certo, quando questo elemento comincia a scricchiolare allora le cose vanno riviste. Le vendite attuali di Nathan Never sono una pallida ombra di quelle che furono. Dylan Dog è avviato lentamente ma inesorabilmente a raggiungere quota 100.000 copie vendute (e non salendo da 90.000, ma scendendo da 146.000). Tex regge ancora botta, ma forse qualche affanno si inizia a sentire. A questo aggiungete la semplice constatazione che la politica del “facciamo terra bruciata attorno ai concorrenti attirando gli autori con tariffe maggiorate, così falliranno” non è riuscita, visto che in edicola esistono tuttora concorrenti alla Bonelli che pubblicano prodotti dal costo enormemente ridotto rispetto a un albo realizzato dalla Bonelli. Se fossi l’amministratore della casa editrice mi chiederei “Ma perché dovrei pagare 150 euro a pagina gli sceneggiatori, quando i concorrenti che sono presenti anch’essi in edicola riescono a starci pagando 20 euro a pagina? Perché Devo pagare 300 euro a pagina un disegnatore, quando i miei concorrenti pagano 60 euro e stanno lo stesso in edicola? “ Non dico che di botto mi uniformerei alle tariffe dei concorrenti, ma un sostanzioso ritocco verso il basso lo farei. Soprattutto perché le vendite oggi non sono più quelle di un tempo e non permettono più di pagare queste cifre. O magari non ritocco nulla ma attuo un meccanismo molto più semplice. Tutti coloro che sanno come vanno le cose nel mercato del fumetto italiano sanno che i contratti che la Sergio Bonelli stipulava con i suoi autori avevano un punto assolutamente unico: la retribuzione della singola pagina o tavola era agganciata all’indice ISTAT, per cui ad un aumento del costo della vita si generava un aumento della retribuzione della singola pagina o tavola. Basterebbe bloccare questo automatismo, tenendo fisso il prezzo, senza aumentarlo all’aumento del costo della vita, per avere nei fatti una diminuzione della tariffa. Nell’arco di due o tre anni dei fatti hai ridotto la tariffa all’autore pur mantenendola formalmente immutata. O ancora, più prosaicamente, dare meno tavole da disegnare. Meno tavole disegnate o scritte = meno soldi all’autore = meno esborso per la casa editrice in quel mese
Umanamente capisco benissimo i disegnatori e gli scrittori che potrebbero lamentare per questo fatto. Li capisco e li comprendo. Ma non vedo come sia possibile pensare di poter continuare come si era fatto fino ad ora, in una situazione dove i numeri calano, dove i nomi storici scendono al di sotto di cifre ritenute impensabili, e dove le nuove proposte che dovevano salvare il mercato si rivelano flop economici abbastanza inaspettati.
Forse a Milano la pacchia è finita, e assisteremo ad un avvicinamento verso il basso delle tariffe per autori.
È una cosa giusta? È equa? È una cosa per cui plaudere? No. Ma è la realtà delle cose. Si chiama mercato, e per diminuire le perdite le aziende da sempre tagliano i costi. E i costi primi da tagliare sono quelli dei collaboratori esterni. Sono le tariffe. Sono i compensi pagati a chi non è un dipendente. Si chiama capitalismo, e se ci va bene quando ci permette di avere uno smartphone a poco perché lo costruiscono operai sottopagati in Indonesia, perché dovremmo lamentarci quando i fumetti a poco li realizzeranno autori sottopagati in Italia?