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La paura della satira italiana: mai contro l'Islam

charlie-hebdo-intouchables-2di Giuseppe Pollicelli*

La strage compiuta da tre terroristi islamici nella redazione parigina del settimanale satirico “Charlie-Hebdo” è molte cose insieme. È una mostruosa e vile carneficina, certo. Ed è uno dei più gravi e ignobili insulti che mai siano stati rivolti ai principi cardine della civiltà occidentale, a cominciare dalla libertà di espressione. È, ancora, l’assassinio barbaro di alcuni eroi (e oggi martiri) della cultura e del libero pensiero, tra i quali spiccano per notorietà e importanza i vignettisti Stephane Charbonnier alias Charb (che di “Charlie” era il direttore, uno capace di dire «Preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio», e di comportarsi di conseguenza), Cabu, Tignous e soprattutto Georges Wolinski. Ancora attivissimo benché ottantenne, Wolinski ha incarnato il lato più iconoclasta e libertino dello spirito francese. Corrosivo nei confronti di tutto e tutti pur restando sempre un impenitente gauchiste, è stato un antesignano di quella che oggi siamo soliti chiamare «scorrettezza politica»: disegnandosi da solo le proprie vignette - con il suo tratto fatto di poche ma efficaci linee - oppure affidandosi ad artisti della matita come Georges Pichard, si è divertito a prendere di mira soprattutto le donne, beccandosi spesso e volentieri l’accusa di maschilismo dalle sue amiche femministe, accusa su cui si faceva delle gran risate. Proprio il caso di Wolinski permette di cogliere cos’altro sia la mattanza consumatasi ieri a Parigi: uno strumento efficace per capire che essere di sinistra può significare cose fra loro assai diverse. Non bisogna infatti dimenticare che, come Wolinski, i redattori e i collaboratori di “Charlie-Hebdo” erano e sono tutti quanti di sinistra. Proprio come la maggioranza di coloro che praticano la satira in Italia. Ma è difficile pensare a una differenza più marcata di quella che, riferendosi al rapporto con l’islam, separa la satira di sinistra di casa nostra da quella francese. A fronte della temerarietà quasi mistica degli autori satirici transalpini, in Italia si assiste da sempre a una vera e propria resa preventiva nei confronti di tutto ciò che ha a che fare con il mondo musulmano. Un po’ per faziosità ideologica antioccidentale, molto per pura e semplice paura, i massimi nomi della satira nostrana non toccano l’islam neppure con i guanti. Tutto ha avuto inizio quando l’islam ha manifestato per la prima volta in modo clamoroso la sua idiosincrasia per la satira, nel 2005, in seguito alla comparsa sul quotidiano danese “Jyllands-Posten” di dodici vignette dedicate a Maometto. Ne seguirono proteste e reazioni violente in vari Paesi musulmani, nonché esplicite minacce di morte ai disegnatori ritenuti blasfemi. Ma Vauro, per esempio, si guardò bene dal solidarizzare con i colleghi danesi. Dichiarò anzi: «Quelle vignette sono una tragica rappresentazione del cattivo gusto: quel Maometto brutto, barbuto, con la satira non c’entra niente. La satira è gioco, allegria. Ma bisogna saperla fare. Quelle vignette non le avrei pubblicate». Qualche anno dopo, il 16 settembre 2012, Stefano Disegni, anch’egli - come Vauro - velenoso e abituale sferzatore delle storture della Chiesa, scriverà meno ipocritamente sul “Fatto Quotidiano”: «Abbiamo paura degli islamici. Non abbiamo paura degli altri». Questo dopo avere proposto, alcune settimane prima, un ironico servizio sull’abbigliamento religioso dal quale, tra preti e rabbini, mancavano inopinatamente gli imam, sostituiti dauna foto del Colosseo così commentata: «Avevamo delle bellissime immagini di elegantissimi ayatollah, però… Il “MisFatto” va bene ma le chiappe sono le nostre». Come sanno i nostri lettori, l’unica testata satirica che di recente, in Italia, abbia avuto il coraggio di fare satira sull’islam è stata, nel suo piccolo, “LiberoVeleno”, inserto domenicale di questo giornale. Poi, il fatto che ieri - intervistato dal sito di Repubblica - un maestro della satira come Michele Serra, esponente di punta dell’intelligenza progressista, abbia parlato di terza guerra mondiale e di necessità di un’autocritica da parte dell’islam (Oriana Fallaci ci era arrivata quasi quindici anni fa, ma pazienza), fa sperare che anche a sinistra sia alle porte un cambio di atteggiamento. Ma l’esempio da seguire, ancora una volta, arriva da Oltralpe. Quando il dissacrante disegnatore francese Reiser si ammalò, appena quarantenne, di un cancro alle ossa che lo avrebbe ucciso in breve tempo, iniziò a farci sopra delle vignette. Sapremo avere noi occidentali, e in particolare noi italiani, un’attitudine analoga verso il tumore rappresentato dal terrorismo islamico?

*Articolo apparso originariamente su “Libero” dell’8 gennaio 2015. Per gentile concessione dell'autore.

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