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Il professore Stefanelli, i presunti fumetti di Picasso e Guernica

Moleskine #90

La rubrica più politicamente scorretta del fumetto italiano. Appunti di viaggio nel mondo del fumetto, attraverso i suoi protagonisti e l’informazione di settore.

Il professore Stefanelli, i presunti fumetti di Picasso e Guernica: l’accademico che non conosce bene la storia ma cura un libro sulla storia del fumetto

di Giorgio Messina

Al "Professor" Matteo Stefanelli - già soprannominato Professor Fuffa su queste colonne- si dovrebbe erigere un monumento al valore fumettologicamente critico nel fumettomondo. Quando mi ero ormai arreso all’idea di dedicare questo moleskine agostano alla dieta ideale che il bravo fumettomondista deve osservare sotto l’ombrellone per contrastare le calure estive e arrivare alla prossima Lucca in forma dopo avere smaltito i chili di troppo presi al tavolo da disegno durante il lungo inverno lavorativo precedente, ecco che il ricercatore dell’Università Cattolica riesce a scrivere uno strafalcione (ennesimo?) storico degno di tutta l’attenzione possibile della rubrica più politicamente scorretta del fumettomondo.

A dire il vero, Stefanelli è già stato più volte ospite di questa rubrica e di questo sito. Nell’ordine lo abbiamo (impietosamente) piccionato rispettivamente:

- a scopiazzarsi l’articolo di un altro senza citare la fonte e finendo per scrivere fesserie sull’animazione giapponese nagaiana (QUI);

- a promettere rettifica senza fare seguito alcuno all’impegno, nascondendosi le fesserie scritte sotto al tappeto fumettologicamente critico che invece batte facendo le pulci agli altri (QUI);

- a venire ringraziato da un autore per avere vinto un premio così: «Un grazie a Matteo per il suo lobbying in mio favore ed agli altri membri della giuria» (QUI);

- a partorire la dispar condicio satirica durante le ultime elezioni comunali a Milano (QUI);

- a scopiazzarsi (un'altra volta) un post da un altro senza citarlo, stavolta sulle campagne pubblicitarie a fumetti delle poste francesi e delle poste italiane (QUI);

- a impartire dal suo pulpito accademico lezioni di giornalismi non richieste e non disinteressate (QUI);

- a esaltare il valore rivoluzionario di dementi sfasciatutto senza ideali precisi che si nascondono i volti dietro la maschera di V for Vendetta per poi ritrovarseli a fare danni proprio dentro una sede dell’università privata per cui lavora (QUI);

- a portare ad una conferenza internazionale a Lucca un’autore impresentabile che ha detto sciocchezze - senza che il Professor Fuffa dicesse nulla - riuscendo così a far fare al fumetto italiano una pessima figura (QUI).

Forte di questo invidiabile curriculum da accademico paludato, il Professor Fuffa stavolta ha rivolto la sua attenzione a Pablo Picasso.

dream picasso 1

Sul suo blog fumettologicamente accademico, nel post intitolato “I fumetti di Pablo Picasso (prima, durante, dopo Guernica)”, Stefanelli spiega che «dalla passione per il fumetto l’artista (Picasso - ndr) trasse anche ispirazione nel proprio lavoro» e che «l’ispirazione del fumetto di Picasso nasceva dal desiderio di esprimersi contro la sollevazione militare del luglio 1936». Prove a favore di questa tesi? Il ricercatore della Cattolica si affida al tentativo abbastanza forzoso (e come vedremo stroicamente errato) di stabilire un parallelo creativo tra l'opera conosciuta come Guernica e le stampe conosciute come Sueños y mentiras de Franco (Sogni e menzogne di Franco).

Il professore continua a raccontare a proposito di Picasso: «l’artista venne contattato dai rappresentanti del governo spagnolo con una richiesta che lo spiazzò, trovandolo contrariato: realizzare un’opera da esporre all’Esposizione Universale di Parigi di quell’anno. Un’opera il cui contenuto fosse un esplicito sostegno alla Repubblica. Ma Picasso non si riteneva un artista ‘politico’, né uno che lavorava su commissione. E accettare non fu semplice né scontato. Al punto che le difficoltà si tradussero in mesi senza idee, fino all’ultimo, ovvero ai primi di maggio».

Ma poi… parola ancora a Stefanelli: «accade la tragedia imprevista: il 26 aprile 1937 la cittadina di Guernica è bombardata da alcuni aerei tedeschi (e italiani). Picasso trova in questo dramma l’ispirazione per l’opera commissionata dal governo spagnolo, che inizia a realizzare dall’11 maggio, e conclude il 4 giugno. Guernica verrà esposta al padiglione spagnolo dell’Esposizione Universale di Parigi solo dal 12 luglio. E segnerà la storia – e l’arte – del XX secolo».

Conclusione del professore: «Giugno 1937. Guernica è compiuta. Il fumetto Sueños y mentiras de Franco è compiuto. Insieme. E Picasso è ormai Picasso».

dream picasso 2

Tutto bello, tutto anche molto pregno di impegno politicamente corretto, se non fosse che la storia di Guernica (bombardamento e opera) è un “po’” molto diversa dalla “vulgata” che il professore Stefanelli ci propina. E dire che per raccontare la “verità” non ci vuole nemmeno una laurea o un dottorato di ricerca universitario. Anche per i non stipendiati dalla Cattolica per occuparsi di studi accademici, basta solo fare una piccola ricerchina su Google. A questo ci aggiungiamo che forse a volte (molte volte) linkare Uikipidia non è il massimo del rigore accademico applicato alla critica. Nevvero, professor fuffa?

Cerchiamo a questo punto di rimettere in prospettiva storiografica Guernica sia come evento storico che come opera.

L’episodio bellico di Guernica fu abilmente strumentalizzato dalla propaganda repubblicana spagnola grazie all’inviato del Times dell’epoca, George L. Steer, che sulla scorta delle notizie raccolte fra i repubblicani – il giornalista non fu testimone oculare del bombardamento trovandosi a Bilbao  - inviò una corrispondenza al suo giornale dai toni apocalittici: “nel pomeriggio del 26 aprile 1937 tre ondate di bombardieri tedeschi della Legione Condor avevano raso a tappeto Guernica uccidendo dai mille e cinquecento ai duemila civili che affollavano il locale mercato”. In realtà, come accerteranno negli anni commissioni internazionali e spagnole di inchiesta.i morti furono 126 e i feriti 889, gli obiettivi militari a Guernica c’erano davvero e il giorno del bombardamento il mercato cittadino non si svolse in loco per motivi di sicurezza.

guernica

Spiega Vittorio Messori ne “Le cose della vita” (San Paolo, Milano 1995): «Guernica costituiva un normale obiettivo militare, come ben sapeva anche il governo rosso" che vi aveva installato pezzi contraerei e scavato sette rifugi collettivi. In effetti, la città era sede di due importanti fabbriche, d’armi leggere e di bombe d’aviazione. Inoltre era nodo stradale e ferroviario per i repubblicani che combattevano a una dozzina di chilometri dalla città, che rigurgitava di soldati e di mezzi militari. Non si dimentichi che l’importanza strategica di Guernica veniva anche dalle fortificazioni che i baschi vi avevano costruito (la cintura di ferro", come la chiamavano) per marcare l’indipendenza della loro regione nei confronti delle altre etnie spagnole. Non era affatto, dunque, il "bucolico, sacro villaggio dove mercanti e villici portavano pacificamente le loro povere cose", per dirla con Thomas».

Messori chiarisce anche la leggenda nata attorno al mercato di Guernica: «Per tornare al corrispondente inglese e ai colleghi che gli tenevano bordone: non sapevano che il mercato quel lunedì non si era svolto, poiché il Delegato militare del governo basco lo aveva vietato, temendo appunto azioni di guerra. In ogni caso, non avrebbe potuto essere colpito, visto che il mercato terminava sul mezzogiorno e l'azione italo-tedesca si svolse a partire dalle 16.15».

Fu sull’onda delle emozioni provocate dalla corrispondenze del giornalista del Times che il governo repubblicano commissionò a Pablo Picasso un’opera da esporre all’Esposizione Universale in programma a Parigi per il 1938 e che diventasse il simbolo di quella che fu definita «la prima strage degli innocenti del nostro tempo». E qui si mette in moto la furbizia di Picasso. L’artista spagnolo aveva terminato nel 1935 (cioè ben 2 anni prima! Altro che la favoletta raccontata dal Professor Fuffa secondo cui il quadro fu realizzato in meno di un mese!) una grande tela intitolata «En muerte del torero Joselito», che celebrava la memoria di un famoso torero, ucciso nel corso di una corrida. Picasso “riciclò” l’opera con delle modifiche e in cambio di 300mila pesetas (oggi l’equivalente di un milione di euro…) versati direttamente dal Cremlino via Comintern (sembrerebbe addirittura per diretto volere di Stalin), la consegnò al governo repubblicano con il titolo “Guernica”.

Altro che la potenza del minotauro-fascismo e del cavallo-angoscia come si legge nei testi di storia dell’arte del professore Carlo Giulio Argan. Il minotauro è il toro che uccise il torero Joselito e il cavallo è quello del picador, sventrato sempre dal toro!

Chiosa ancora Vittorio Messori a proposito dell’opera di Picasso: «Una storia, dunque, di tauromachia. dove la "protesta civile", la "passione politica" non c’entrano nulla, se non, forse, in qualche particolare aggiunto per rifilare il quadro, a suon di miliardi, alle generose Izquierdas iberiche».

E Stefanelli? Perché nel 2012 il Professor Fuffa ci propina ancora la storia della Guernica al sapore di propaganda? Forse perché se ci raccontava la vera storia non avrebbe potuto fare il parallelo fumettologico – che fa tanto accademico - tra la più famosa opera dell’autore spagnolo e Il presunto “fumetto” picassiano Sueños y mentiras de Franco? Forse. Il punto è che nemmeno i Sueños sono a nostro modesto avviso (non accademico) catalogabili come "fumetti", ma sono sicuramente un esempio di "arte sequenziale", che al netto delle furbizio mercelogiche questa volta di Will Eisner, non è sinonimo di "fumetto".

Ma in questa sede vogliamo provare a giustificare la svista storica dello Stefanelli su Guernica (bombardamento e opera). Forse il professore al momento di vergare il suo post doveva essere distratto dalla conclusione della sua ultima fatica libraria che uscirà a breve. Stiamo parlando di “Fumetto! 150 anni di storie italiane”, a cura di Gianni Bono e Matteo Stefanelli che uscirà per Rizzoli nell'ultimo quadrimestre del 2012. Speriamo che Stefanelli non abbia trattato la storia del fumetto italiano con la stessa cesura propagandistica con cui ci ha parlato di Guernica. Speriamo.

Nell’attesa di potere leggere questa nuova opera seminale non ci resta che costatare che ci troviamo davanti ad un accademico che non conosce bene la storia - o meglio, la conosce bene a livello propagandistico ma non storiografico - e che si ritrova a curare un libro sulla storia del fumetto. E sembra proprio che le premesse ci sono tutte per leggerne delle belle, già a cominciare dal sottotitolo. “150 anni di storie italiane” lascia infatti immaginare che chissà quale cammello protofumettologico riusciranno a fare entrare Stefanelli & friends nella cruna dell’ago della storiografia del fumetto per giustificare quel salto indietro fino a “150 anni”. Basti pensare che Stefanelli e Bono erano i principali promotori (rispettivamente “vicepresidente” e “presidente”) del comitato “un secolo di fumetto” che fissava la nascita del fumetto italiano al 1908 con l’uscita primo numero del “Corriere dei Piccoli” e i natali di Gian Luigi Bonelli. E ora? Cosa c’è in questi 50 anni di storia a ritroso aggiunti adesso al fumetto nel sottotitolo di questo libro? Una nuova "Guernica" in salsa fumettomondo oppure solo una risacca frutto dell’onda lunga dei festeggiamenti dei 150 anni dell’unità d’Italia a cui il fumetto non ha potuto sinora prendere parte per ovvie ragioni anagrafiche? Vedremo, anzi leggeremo.

Ps: A proposito, visto che questo libro titanico è curato insieme a Gianni Bono, siamo molto, ma molto, curiosi di leggere il capitolo dedicato all’”allegra” gestione di Bono del Museo del Fumetto di Lucca (6 milioni di euro di spese a fronte di circa 70.000 visitatori in 5 anni … leggi QUI). Magari anche per quella storia c’è una versione alla "Guernica". Chissà.

Pps: Marco Pellitteri, collega di Stefanelli, essendo anche egli un altro accademico che si occupa di fumetto, tempo fa precisiva: «i rari casi di buona critica del fumetto provengono quasi tutti da persone di seria formazione accademica o, al limite, di alto profilo culturale. In particolare, da persone che hanno chiaro cos’è la critica nel sistema delle arti e dunque si comportano di conseguenza». Vuoi vedere che Stefanelli è l’eccezione che conferma la regola di Pellitteri sui rari casi di buona critica del fumetto?

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