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Matteo Stefanelli + Giacomo Monti = una pessima figura per il fumetto italiano

nessunomifaradelmale

Moleskine #65

La rubrica più politicamente scorretta del fumetto italiano. Appunti di viaggio nel mondo del fumetto, attraverso i suoi protagonisti e l’informazione di settore.

Matteo Stefanelli + Giacomo Monti = una pessima figura per il fumetto italiano

di Giorgio Messina

Ultimo capitolo della trilogia Moleskine dedicata al Professore Stefanelli della Cattolica di Milano, che stavolta non è il protagonista assoluto ma il coprotagonista. Stefanelli si occupa di fumetti.e in più occasioni abbiamo ravvisato che abbia le velleità di volere essere maître à penser formato fumettomondo. Vorrebbe dettare mode, gusti, tendenze, notizie e autori. Succede però che a volte la cronaca si ribelli ai suoi tentativi di dettare la linea. Così coloro che indossano le maschere di “V”, che per il professore sono fulgido esempio di lotta alla tirannia nelle manifestazioni italiane - con la certificazione di David Lloyd -, assaltino proprio una  sede della Cattolica a Milano.

A volere essere proprio impietosi, potremmo dire che in ultima analisi non possiamo che concludere che lo Stefanelli produce fuffa. Tanta fuffa fumettologicamente fumettomondista. Certo una fuffa di prima qualità, "intellighente" e snobbettina, ma pur sempre di fuffa si tratta. Difficile però per le anime belle del fumettomondo ammettere che sia fuffa visto il fatto che lo Stefanelli si ammanta di quella accademicità (in realtà è un “semplice” ricercatore) che molti vedono come unica via possibile per potere finalmente dare al fumetto quella maturità che solo a pronunciare il termine “graphic novel” fa scivolare in secondo piano tutte le paturnie semantiche. Ma la migliore specialità accademico-fuffatica di Stefanelli è quella di produrre la sopravvalutazione di quegli autori italiani che a lui (e solitamente anche alle anime belle) piacciono tanto ma che se messi a confronto con i big del fumetto mondiale riescono solo a far fare delle pessime figure al fumetto italiano, soprattutto quando gli sponsorizzati aprono la bocca e sparano sentenze (pseudo)impegnate sotto l'occhio compiaciuto dello stesso Stefanelli.

Ma andiamo con ordine. Stefanelli da sei anni a questa parte organizza a Lucca i Comics Talks, degli incontri con autori, nella maggior parte dei casi ospiti della manifestazione, che si riuniscono su un tema comune con il professorino della Cattolica a fare da moderatore. Quest’anno uno di questi Comics Talks verteva sulle sei buone ragioni per fare fumetti. Gli autori che hanno partecipato sono stati Baru, David Lloyd, Jeff Smith, Jiro Taniguchi, Craig Thompson e in rappresentanza del fumetto italiano Giacomo Monti.

Giacomo Monti, è l’autore di “Nessuno ti farà del male”, il volume pubblicato da Canicola che Gipi ha usato come spunto per realizzare il suo film “L’ultimo terrestre”, prodotto da Fandango e rivelatosi un flop al botteghino. Riportiamo direttamente l’intervento di Monti durante l’incontro così come è stato trascritto da Smokyman sul suo blog.

«Stefanelli: Allora anche a Giacomo volevo fare questa prima domanda (“perché fai fumetti? – ndr)… come lui è arrivato a fare i suoi primi racconti a fumetti…

Monti: Vabbè, ho cominciato un po’ per caso. Ho sempre letto poco Fumetto, non leggo Fumetto, non mi interessa neanche più di tanto. Ho incominciato a interessarmi quando ho cominciato a disegnare. Proprio perché… visto che io sono l’unico italiano e penso che la situazione sia un po’ diversa negli altri Paesi e gli altri autori abbiano dei percorsi diversi. Io credo che forse varrebbe la pena di chiedersi perché un autore in Italia non può campare facendo questo lavoro. [applausi dal pubblico]

Io credo che degli autori italiani un dieci per cento, forse, campa, e non credo neanche alla stragrande, facendo questo lavoro. Gli altri lo fanno bene o male perché hanno i genitori che magari li sostengono oppure lo prendono a livello di mezzo hobby… Ed è così. Io poi ovviamente ho smesso, perché non c’è possibilità di portare avanti un progetto del genere. Ed è ovvio che magari mi piacerebbe andare avanti, perché tutto sommato è una cosa che mi riesce bene e c’è quel famoso detto “se uno ha un talento, non dovrebbe sprecarlo”.

Ma poi alla fine parlano i numeri, e la realtà italiana è questa, una realtà molto triste. Nel senso che il Fumetto non se lo caga nessuno. [risate dal pubblico]

Non è solo quello il problema… mi rendo conto che anche la gente che legge Fumetto, secondo me, legge per la maggior parte stronzate… e quel poco di buono che c’è, passa inosservato. Non c’è nessuna forma di sostegno, non so… neanche da parte di Enti culturali o meno per delle iniziative interessanti, dal punto di vista culturale.

Così insomma… io smetto. E comunque non capisco molte cose. Certe cose non le ho vissute direttamente ma le ho sentite tramite persone o da operatori che lavorano seriamente nel settore.

Però la realtà è veramente triste, tristissima.

Il panorama culturale italiano è pietoso.

Ma non lo dico io perché ho del risentimento, perché mi tocca smettere.

Insomma… questo è quello che penso. [applausi dal pubblico]»

 

Sgombriamo subito il campo da qualsiasi dubbio: Giacomo Monti in mezzo a quegli autori era un pesce fuor d’acqua. Monti ha grossi limiti tecnici, difetti consistenti di storytelling, e il suo primo (e unico) libro è un volume disegnato in modo mediocre e raccontato ancora peggio, ma di cui tutti i grossi difetti vengono nascosti sotto il tappeto perché nelle storie di Monti si parla di gente che va a prostitute, di gente che lavora in allucinanti sale bingo e perché Monti, in modo per nulla originale, usa l’alieno come metafora della società. Non è un caso che le cose migliori, Monti le tiri fuori quando omaggia il Devilman di Go Nagai. Ma si sa, se si sventola il sociale, Monti diventa la prova provata che un fumetto brutto diventa una “graphic novel” imperdibile e se qualcuno critica e classifica il volume come “fumetto disegnato male”, è costui che non capisce l’arte e la sofferenza nella rappresentazione dell'attuale che trasuda vibrante da quelle pagine disegnate male. Nulla di personale, ma se Monti non fosse Monti, ma fosse solo uno che fa vedere il suo book in giro alle fiere, il miglior consiglio che si potrebbe dare sarebbe quello di trovarsi una buona scuola di fumetto che gli insegni i rudimenti basilari del mestiere. Ma l’impresentabilità di Monti non è solo nei suoi limiti prettamente "produttivi" nel fare fumetto. Siamo pur sempre in un libero mercato e c’è spazio anche per i fumetti di Monti, così come c’è spazio per criticarne il lavoro. Il vero capolavoro di Monti sono le sentenze sconnesse e parodossali che tira fuori.

Largo quindi all'analisi approfondita del Monti-pensiero. La frase «Ho sempre letto poco Fumetto, non leggo Fumetto, non mi interessa neanche più di tanto» è di una infelicità unica e seguita da questa «visto che io sono l’unico italiano e penso che la situazione sia un po’ diversa negli altri Paesi e gli altri autori abbiano dei percorsi diversi. Io credo che forse varrebbe la pena di chiedersi perché un autore in Italia non può campare facendo questo lavoro» traghetta il Monti-pensiero nel risibile.

Cioè Monti, non legge fumetti, quindi non ne compra, e poi si lamenta che non si può vivere di solo fumetto in Italia. Magari perché i fumetti, come fa lo stesso Monti, anche altri non li leggono e quindi non li comprano? Almeno questi non-lettori però non hanno la sfacciataggine di volerci pure vivere di fumetto quando sono i primi a non comprarne. Ma a parte questo, non si sente mai che un musicista o un cantante dica che non ascolta la musica prodotta da altri. Non si sente mai di attori che dicono di non guardare le performance degli altri attori. Non si sente mai di scrittori che dicono di non leggere libri. In un medium, la cultura del medium è composto da tutto quello che viene prodotto nel medium stesso. E non si può nemmeno immaginare che nessuno tra Baru, David Lloyd, Jeff Smith, Jiro Taniguchi, Craig Thompson direbbe mai di non leggere fumetti. E non potrebbe essere altrimenti, visto che Taniguchi, ad esempio, a Vittorio Giardino se lo è scopiazzato, pardon, citato in tutti i modi possibili.

Proseguiamo nello scandagliare il Monti-pensiero in libertà: «Io credo che degli autori italiani un dieci per cento, forse, campa, e non credo neanche alla stragrande, facendo questo lavoro. Gli altri lo fanno bene o male perché hanno i genitori che magari li sostengono oppure lo prendono a livello di mezzo hobby…»

 

Tralasciamo l’accenno agli autori "bamboccioni", ma sono anni che lo scriviamo che come succede tra gli editori, anche tra gli autori, non tutti quelli che vorrebbero possono vivere di solo fumetto, ma fanno anche altri lavori per sostenersi. Prendere il fumetto a livello di “mezzo hobby” non ritengo che sia un male. Letteratura, musica, cinema e spettacolo sono pieni di “hobbisti” di talento ma che per tutta una serie di ragioni non vivranno mai solo ed esclusivamente del loro talento. Quindi, perché nel fumetto le cose devono andare diversamente? Perché a Monti è andata male e non può vivere di un medium che candidamente ammette di non consumare nemmeno? Cos’è, la favola di Fedro della volpe e l’uva in chiave fumettomondo?

Ancora Monti-Pensiero: «Ed è ovvio che magari mi piacerebbe andare avanti, perché tutto sommato è una cosa che mi riesce bene e c’è quel famoso detto “se uno ha un talento, non dovrebbe sprecarlo”.»

 

Talento? Forse visto che le anime belle del fumettomondo nei confronti di Monti sono stati troppo buoni nei giudizi e questi si è un po’ montato la testa? Fare un solo libro e avere la fortuna che l’amico Gipi lo prenda per spunto per farci un film non è proprio la certificazione assoluta del talento cristallino. Se Monti è sedicente talentuoso, allora Bonfatti, ad esempio, con il suo Leo Pulp, che è? Un marziano? E gli autori Bonelli, tutti, che sono? Venusiani?

A questo punto Monti scambia Comics Talks per il palcoscenico di Zelig: «Ma poi alla fine parlano i numeri, e la realtà italiana è questa, una realtà molto triste. Nel senso che il Fumetto non se lo caga nessuno.»

 

Monti, ma ci stai prendendo in giro? Hai detto che per primo tu non lo leggi fumetti e poi ti lamenti che il fumetto non se lo caga nessuno? Se vogliamo usare il tuo elegante “francesismo”, nemmeno tu te lo caghi il fumetto. E il moderatore Stefanelli in questo frangente in quale iperuranio accademico stava? Non poteva intervenire? Sarebbe stato il caso che intervenisse, perché il rappresentante del fumetto italiano stava facendo fare ai professionisti del fumetto italiano e al suo mercato una figura da barzelletta. Dire che il fumetto non se lo “caga” nessuno a Lucca - 155000 visitatori - come faceva a non sembrare fuori luogo al moderatore e soprattutto al pubblico plaudente dell'incontro?

Ma lo show non è finito: «Non è solo quello il problema… mi rendo conto che anche la gente che legge Fumetto, secondo me, legge per la maggior parte stronzate… e quel poco di buono che c’è, passa inosservato.»

 

Aridaje, direbbero a Roma. Giacomo Monti non legge fumetti per sua stessa ammissione ma si lamenta che chi legge fumetto legge per la maggior parte “stronzate”. E come al solito esce il solito dogma di fede formato fumettomondo che spiega l’insuccesso di turno: la colpa del fatto che i bei libri (ovviamente, di default, è bello quello che produce chi formula il teorema) non vendono è perché c’è in giro troppa monnezza e quindi poi i libri belli passano inosservati perché il popolo bue dei lettori non sa riconoscere la roba buona da leggere e spende in altre porcherie.  Ovviamente il corollario indimostrabile è che se non esistesse la monnezza, automaticamente il popolo bue riceverebbe finalmente la rivelazione della buona lettura da acquistare. Insomma, se non esistesse più l’Uomo Ragno, automaticamente i lettori italiani dell’Uomo Ragno non potrebbero non comprare il libro di Giacomo Monti e questi non dovrebbe abbandonare il fumettomondo per manifesta impossibilità di vivere di fumetto.

Fuor di metafora, a questo punto Monti vorrebbe persino il vitalizio: «Non c’è nessuna forma di sostegno, non so… neanche da parte di Enti culturali o meno per delle iniziative interessanti, dal punto di vista culturale.»

Insomma lo Stato deve sostenere economicamente quelli bravi come Monti perché se non vende a sufficienza per campare di fumetto la colpa è di chi spende i propri soldi in altro. Quindi l’unico ammortizzatore sociale possibile per gli autori di presunto talento come Monti può arrivare solo dalle istituzioni che però dal punto di vista culturale sono abbastanza miopi. Che mica anche per il fumetto esiste un libero mercato dove è il lettore a premiare il talento con l’acquisto... Que viva lo stato assistenzialista che riequilibra il libero mercato che non da ragione agli autori di talento!

Gran finale del Monti-pensiero: «Così insomma… io smetto. E comunque non capisco molte cose. Certe cose non le ho vissute direttamente ma le ho sentite tramite persone o da operatori che lavorano seriamente nel settore.

Però la realtà è veramente triste, tristissima.

Il panorama culturale italiano è pietoso.

Ma non lo dico io perché ho del risentimento, perché mi tocca smettere.

Insomma… questo è quello che penso.»

 

Tradotto dal montese: mio cuggino mi ha detto che una volta qui era tutta campagna ma ora c’è la crisi del mattone… e nel frattempo cala il sipario. Monti si allontana nel tramonto della sua breve carriera di fumettista (mediocre) stroncata dopo solo appena un libro (mediocre) perché la gente compra “stronzate” e la roba buona, cioè quella sua, passa inosservata. Addio, Monti. E non c’è bisogno di scomodare Manzoni per la tragicità del momento. Sei stato anche tu vittima del darwinismo fumettistico. E se può consolarti, sappi che lì dove andrai, lontano dal fumettomondo, nessuno ti farà del male.

Ps: chissà in quanti di quelli che applaudivano e ridevano all'ultima performance lucchese di Monti si ricorderanno di lui tra un anno, quando verrà la prossima Lucca e i prossimi Comics Talks. Chissà quanti di quelli che applaudivano e ridevano hanno mai sfogliato, o addirittura comprato, l'unico libro di Monti. E chissà quanti di quelli che applaudivano e ridevano erano lì per gli altri autori internazionali e prima di sentirlo parlare, Monti non sapevano nemmeno chi fosse. E nei titoli di coda dell’addio di Monti non si può non ringraziare Matteo Stefanelli per il rappresentante del fumetto italiano che è riuscito a mettere in campo in un consesso di autori internazionali.

Pps: un consiglio conclusivo al professore Stefanelli della Cattolica: l’anno prossimo porti sul palcoscenico di Comics Talks in rappresentanza del fumetto italiano qualcuno che non solo una matita la sappia tenere in mano ma che soprattutto inviti a comprarli i fumetti. Perchè casomai Stefanelli non se ne sia accorto, i libri a fumetti si vendono sempre di meno.

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