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Zombie Feast

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di Giorgio Borroni. Allora, c’è un francese, un italiano e un tedesco... no, aspettate, non era così. Ricominciamo: c’è uno sfigato quattrocchi e sua sorella Barbara al cimitero che, ehm... no. No, accidenti, mi confondo... aspettate mi sa che era una via di mezzo. Com’è che era? Gesù, la memoria... ah ecco, dannazione! Ci sono otto pericolosissimi criminali ingabbiati in un pullman della polizia diretto a un penitenziario. Con loro anche degli agenti e un detective supercazzuto, che tanto ricorda Danny Glover in Arma letale ma più volgare e più duro. Ha un bel da fare a tener buoni i passeggeri: sono degli animali, cattivissimi e privi di qualsiasi morale – è evidente da come riescono a batterlo nella gara di imprecazioni e volgarità. Un lavoraccio, quello del detective, anche se si considera che un terribile temporale impedisce la visibilità della strada e li fa procedere a rilento, mentre gli ospiti nel retro danno il peggio di sé, rubandogli le battute con tutti quei “fuck” pronunciati gratuitamente. Come se non bastasse, poi, i cellulari non prendono e le radio sono mute: stai a vedere che le disgrazie non vengono mai sole? Detto fatto: un tizio barcollante spuntato dal nulla si piazza davanti al pullman facendolo cappottare. Ovviamente l’autista muore, ancor più ovviamente i detenuti tentano la fuga e sorprendentemente il detective non viene ammazzato – come succede nei film a ogni poliziotto nero che non sia Wesley Snipes – anzi, prende il controllo della situazione mettendo in riga tutti, dallo stupratore all’assassino, a suon di cazzottoni e testate. Procederanno a piedi fino a trovare un riparo e poi se i cellulari faranno la grazia di prendere chiameranno rinforzi. Giunti a una sinistra fattoria hanno la conferma che il mondo come lo conoscevano è ormai andato alla malora, quando ad accoglierli non ci saranno i soliti bifolchi diffidenti, ma degli zombie affamati. Qui iniziano le peripezie dello strano gruppo di umani “buoni e cattivi”, che devono allearsi per sopravvivere all’invasione dei non morti: la situazione di emergenza li porterà a ora a scontrarsi fra loro, ora a collaborare, ora a mescolare le proprie attitudini superando l’opposizione “bianco \ nero” per diventare tutti sfumature di grigio. A complicare le cose anche l’incontro con un gruppo di civili, fra cui donne, che contribuiranno (grazie anche agli ormoni in libertà) a far crollare il già precario gioco di equilibri creatosi fra i rappresentanti della legge e i criminali.

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In Zombies: Feast! le premesse per un lavoro di qualità superiore alla media ci sarebbero tutte: l’autore della sceneggiatura è Sean McCarty, già celebre per le sue storie di Batman, mentre alle matite – coadiuvato anche da altri artisti – abbiamo Chris Bolton, che ha lavorato all’adattamento grafico della romeriana Terra dei morti viventi. Ebbene, contrariamente a tutti i pronostici, quest’opera è di una banalità sconcertante. I personaggi-carne-da-macello sono stereotipati al massimo pur volendo a tutti i costi shockare il lettore: fra la feccia criminale contiamo un naziskin con tanto di svastica stampata sul cranio – roba che già Charles Manson faceva negli anni ’70 –, un serial killer pedofilo, un tizio grossissimo e taciturno che macina zombie come una falciatrice, più varie mezze tacche tutte “chiacchiere e fedina penale sporca”. I rappresentanti della legge non sono meglio: un poliziotto che non stonerebbe in una barzelletta e che fa battute stupide anche dopo aver combinato disastri, un altro che sembra uscito fuori dai Simpson (e fa fuori un innocente cavandosela con un “mi spiace”), più altra carne da macello in divisa. Il personaggio che sembrava più interessante, il Danny Glover dei poveri, viene invece zombificato neanche a metà dell’opera, lasciando il gruppo in balia di perfetti incapaci. McCarty scrive con inchiostro rosso, rossissimo, sguazzando nelle situazioni al limite, quelle che fanno tanto “forse non siamo diversi dagli zombi, se messi alla prova diveniamo dei mostri e i mostri divengono umani” e bla bla bla. Scusate, ma non lo aveva già detto e magistralmente Carpenter in Distretto 13? E soprattutto, Napoleone, senza neanche un accenno al crimine commesso (e che lo aveva condannato alla sedia elettrica), quanto carisma aveva rispetto a questi avanzi di galera da telefilm di serie Z? Ma andiamo avanti, perché il virus della banalità colpisce anche i dialoghi, risultando così più pernicioso di quello degli zombi: le battute da (pessimo) film slasher a volte risultano fuori tempo massimo e totalmente a sproposito. Come non ricordare il poliziotto che essendosi lasciato scappare un detenuto, ed essersi beccato da quest’ultimo un calcio in bocca, afferma: “Gli ho impedito la fuga con un colpo letale della mia faccia” (qualcosa che esula dal contesto di emergenza e non è pronunciato neanche da un duro anni ‘80 alla Swarzenegger in modo da stemperarne l’assurdità). Come avevo accennato, dunque, il gioco di McCarty risulta anche troppo palese: sorprendere il lettore con delle situazioni e dei personaggi al limite che dovrebbero colpirlo allo stomaco, pur divertendolo con azione adrenalinica in salsa splatterpunk. Insomma: attori appena sgrossati in una trama abbozzata e intrigante quanto basta per voltare pagina con un massacro dietro l’angolo. Peccato che non siamo più negli anni ’80,e soprattutto, peccato che sia difficile non confrontare un prodotto del genere con The Walking Dead di Kirkman e Moore, che con gli stessi ingredienti (personaggi e situazioni sono simili) riescono a cucinare un signor horror che ti prende sin dal primo volume (qualora mi si volesse rimproverare che Zombies: feast! inizia e si conclude nell’arco di 114 pagine).

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La mia critica all’opera si basa infatti sull’impostazione slasher che rimane sempre simile a sé, con pallidi tentativi di innovazione che invece ci vengono venduti dall’autore come novità; Zombies: feast!, nonostante gli sforzi di McCarty – che aveva chiesto pure carta bianca all’editore –, rimane un’opera senza infamia né lode: un racconto sui morti viventi come ne abbiamo già visti a centinaia, ironica ma il più delle volte involontariamente comica, cinica, sì, ma di un cinismo che nella sua estremizzazione non fa altro che ricadere nel cliché patinato. Che dire poi della parte grafica? Anche questa senza infamia e senza lode come la sua controparte scritta. Bolton e co. sembrano fare il verso a Templesmith con personaggi estremizzati e quasi caricaturali, ma che si sforzano di apparire realistici. Le ambientazioni (foto trattate al Photoshop con discontinuo successo) si avvicendano fra zone cupe e spogli ambienti rurali, le prime, con la loro claustrofobia, senz’altro più riuscite delle seconde.

Ma il vero paradosso di questa recensione è che – pur non essendomi piaciuta – non intendo stroncare un’opera del genere, primo perché non sono un critico, secondo perché tutti i limiti da me esposti possono essere tranquillamente ignorati dai veri amanti del genere zombesco: McCarty, con tutti gli ipotetici errori nel mettere in piedi questo baraccone splatter, non sbaglia però gli ingredienti. Volete l’azione? Ce ne è a go go. Volete gli zombi? Accipicchia, ci sono: tanti, incacchiati e voraci. Volete lo splatter? Inutile dire che, anche se non siete palati fini come me, le frattaglie ve le servono su un piatto d’argento.Che dire allora? Sentite questa: tempo fa parlavo con un mio amico horrorofilo e zombofilo (nel senso che gli piacciono i film di zombie, non che ha una “sposa cadavere”) e a un certo punto gli ho detto: “Mah, Zombies: feast! non mi è piaciuto per niente” e lui si è stretto nelle spalle rispondendomi: “Ma che vuoi di più? Ci sono gli zombie, la gente viene mangiata viva e tutti gridano ‘spara alla testaaa!’ come Santoro in Virus”.

Una risposta che vale più di mille recensioni: se degli zombie non potete fare a meno, allora questo prodotto non mancherà di soddisfarvi. La stessa filosofia di “se ho fame mangio da Mcdonald invece di cucinarmi qualcosa”, o “Se non c’è nulla in tv e ho solo un dvx porno, mah, diamogli una chance”.

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