- Categoria: Reportage
- Scritto da Giuseppe Pollicelli
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Pratt e gli altri: Italiani d'Argentina
Pubblichiamo ampi stralci del saggio di Giuseppe Pollicelli sull’esperienza compiuta in Argentina da Hugo Pratt e altri autori italiani negli anni 50. L’intervento è contenuto nel volume illustrato Fumetto! 150 anni di storie italiane, curato da Gianni Bono e Matteo Stefanelli e appena giunto in libreria (Ed. Rizzoli, pp. 520, euro 60).
di Giuseppe Pollicelli*
Certe volte da un male può nascere un bene. È una frase fatta, forse logorata dal troppo uso, ma come spesso capita con le frasi fatte è anche veritiera. È accaduto, per esempio, nel 1938, allorché il trentatreenne Cesare Civita, proveniente da una ricca famiglia milanese di commercianti ebrei, scelse di lasciare l’Italia in seguito al varo delle cosiddette “leggi razziali” introdotte dal regime fascista. Civita, all’epoca, era un dirigente della casa editrice di Arnoldo Mondadori e, tra le altre cose, si occupava con entusiasmo e competenza della pubblicazione dei fumetti disneyani in Italia. Senza le “leggi razziali”, probabilmente, sarebbe rimasto a vivere e a lavorare nella sua nazione, e magari avrebbe condotto il fumetto italiano in paraggi che noi, oggi, non possiamo immaginare. Andandosene dal proprio Paese, però, ha contribuito in modo determinante a imprimere una svolta (indubitabilmente positiva) alla storia del fumetto argentino.
Torniamo al 1938. Civita, dunque, decide di emigrare. Con i suoi tre figli e la moglie Mina giunge a New York, dove diviene l’agente di alcuni disegnatori, fra cui il grande Saul Steinberg, anch’egli ebreo. Nella Grande Mela, tuttavia, resta solo tre anni. Nel 1941 si trasferisce a Buenos Aires e lì, dopo un’esperienza come rappresentante della Disney, fonda la casa editrice Abril, divenendo in breve tempo il principale produttore di fumetti del Sud America. Ma non è questo il fatto più rilevante della storia che stiamo raccontando. Ciò che maggiormente conta è che la presenza di Civita costituì lo sprone fondamentale affinché un drappello di fumettisti italiani, attorno al 1950, si convincesse a partire da Venezia per andare a sfornare storie e tavole illustrate a Buenos Aires, in tal modo cambiando in meglio le sorti delle historietas - è così che i fumetti vengono chiamati in Argentina - e, di riflesso, quelle del fumetto italiano. Questi giovanotti pieni di entusiasmo e di talento, tutti poco più che ventenni, si chiamavano Hugo Pratt, Alberto Ongaro, Mario Faustinelli, Sergio Tarquinio e Ivo Pavone. (…)
In questa fase storica sono gli autori italiani a incidere di più su quelli argentini, specie graficamente. Gli italiani hanno infatti saputo metabolizzare - e rielaborare in forme non di rado personali e nuove (si pensi a Pratt, a Dino Battaglia, a Rinaldo Dami) - la lezione dei maggiori esponenti della golden age statunitense: dai classici Raymond, Foster e Hogarth fino ai più moderni ed essenziali maestri del bianco e nero, Milton Caniff su tutti. La traccia lasciata negli anni Cinquanta da Pratt e colleghi con le loro dinamiche tavole dai neri calibratissimi sarà poi ripercorsa dalla quasi totalità dei disegnatori argentini, i quali la omaggeranno ciascuno secondo la propria personalità. Da Alberto Breccia ad Arturo Del Castillo (il primo nato in Uruguay e il secondo in Cile ma entrambi argentini di adozione), da Francisco Solano Lopez a Domingo Mandrafina, da Enrique Breccia a Ernesto García Seijas, da Horacio Altuna a Gustavo Trigo, da Eduardo Risso a Carlos Meglia, ognuno di questi artisti ha un debito nei confronti di saghe come Asso di Picche, Sergente Kirk, Ernie Pike, Junglemen (fumetto bellico di Ongaro, Battaglia e Pratt ambientato in Nuova Guinea) e via elencando.
L’ambito in cui, soprattutto a lungo termine, è stato il fumetto argentino a influenzare quello italiano è invece la sceneggiatura. Se tanto i fumetti italiani quanto quelli argentini condividevano l’interesse per la dimensione avventurosa, assumendo come riferimento romanzieri quali Stevenson, Rider Haggard, Zane Grey, Fenimore Cooper, Jack London e Salgari, nelle opere realizzate in Argentina, specialmente in quelle scritte dallo sceneggiatore Hector German Oesterheld, emerge un’attenzione alla psicologia dei personaggi e alla plausibilità degli snodi narrativi che evidenzia una diversa considerazione del linguaggio fumettistico, percepito come un veicolo con cui rivolgersi anche a un lettore adulto. Dopo le esperienze seminali compiute dal gruppo dell’Asso di Picche e la cruciale collaborazione tra Pratt e Oesterheld, la strada che le historietas meglio sapranno indicare al fumetto italiano è, in effetti, quella di una sintesi tra le istanze della serialità e dell’autorialità. Le serie, spesso molto lunghe, portate avanti da sceneggiatori di straordinario mestiere e non meno prodigiosa ispirazione (in primo luogo Carlos Trillo e il paraguayano-argentino Robin Wood, senza però dimenticare Ricardo Barreiro, Ray Collins - al secolo Eugenio Zappietro - e Guillermo Saccomanno), rispettano tempi e modi della narrativa popolare e di massa senza negarsi dialoghi raffinati, sperimentazioni formali, denunce politico-sociali nonché frequenti puntate nel realismo magico che omaggiano tanta letteratura latino-americana. (…) Non c’è dubbio che la netta maturazione vissuta dal fumetto seriale italiano a partire dalla metà degli anni Ottanta sia fortemente debitrice del formidabile modello fornito dall’historieta.
* Articolo tratto da “Libero” del 31 ottobre 2012. Per gentile concessione dell'autore.