- Categoria: Osservatorio Tex
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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"Non è il mio primo rodeo" ("This ain't my first rodeo")
Il campione del mondo di Rodeo, specialità "Cafl Roping" 2016 Tyson Durfey in azione:
foto reperita in rete (non si detengono i diritti delle fotografie in questo pezzo).
Conversazione con un vero cowboy, Tyson Durfey, in esclusiva per "Osservatorio Tex": https://www.youtube.com/watch?v=ya5-oe8u8AE
Hola, hermanos! Siamo tornati!
Innanzitutto da dietro il bancone vi saluto calorosamente dandovi nuovamente il benvenuto.
Spero che siate in buona salute: anche questa Rubrica si unisce al coro di voci che si augurano che il peggio sia passato, invitandovi però a non abbassare la guardia perchè non c'è nessuna garanzia ed a dimostrare senso di responsabilità e sale in zucca seguendo le direttive, indossando quando necessario, ma anche quando lo detterebbe unicamente la logica, mascherina e/o guanti. Non serve che vi accalchiate per il primo bicchiere, ve lo porto io al tavolo, perciò venite qui uno per uno a lasciarmi l'artiglieria e poi infilate sotto il vostro sedere una sedia: le regole della casa sono sempre vigenti.
Con l'arrivo dell'estate il Trading Post quindi riapre i battenti ed anche se per qualche tempo non ci saranno uscite regolari, in ogni caso le recensioni torneranno nè verranno abbandonate, sappiate che c'è parecchia carne al fuoco: interviste in via di definizione, articoli, brani letti da voci note e perfino canzoni caratterizzeranno la seconda parte di questo tremendo 2020, per quanto riguarda “Osservatorio Tex”. Tutti, o quasi, legati se serve ribadirlo al mondo del vecchio West.
Partiamo subito senza ulteriori fronzoli, avremo modo più avanti di fare due chiacchiere sulle disavventure di un Texiano ai tempi del Covid-19, eventualmente.
Disegno di Lorenzo Barruscotto
Che cos'è il Rodeo?
C'è chi crede che ormai sia solo uno sport utile quanto il latino, una specie di “attività morente” che viene riesumata solamente come intrattenimento per turisti, per quei “piedidolci” di città che vogliono percepire l'emozione del vecchio West in una gita o durante una vacanza “avventurosa”. Ma per qualcuno non è affatto così. Quella del cowboy è una filosofia di vita, lo spirito del wrangler permea ancora ogni cellula del corpo di molti uomini che competono con se stessi e con gli animali, legati a regole d'onore ferree ma giuste che affondano le radici in tradizioni ed in valori del passato sopravvissuti allo scorrere inevitabile del tempo mantenendo intatto tutto il loro fascino agli occhi di noi “pellegrini moderni”.
Dal continuo confronto tra i cowboys e la affascinante ma dura esistenza nelle praterie è nata questa esaltante sfida, anzi in realtà si tratta di una serie di sfide, in cui non solo la forza e la resistenza fisica, ma anche tempismo, mano ferma e nervi saldi, determinano i risultati di ciascuna gara.
Gli allevatori di cavalli del Far West erano soliti dire che "non esiste cavallo che non possa essere cavalcato, così come non esiste cavaliere che non possa essere disarcionato".
L’origine del Rodeo fa discutere come molte realtà che si sono perse nella nebbia della leggenda. Per alcuni viene fatta risalire al primo periodo dell’allevamento intensivo di bovini: una o due volte l’anno i vaccari dopo aver radunato le mandrie, le trasportavano ai vari mercati per venderle. Per attirare l’attenzione dei potenziali acquirenti, alcuni iniziarono ad improvvisare delle competizioni mettendo in mostra le abilità legate al proprio mestiere. Secondo questa “scuola di pensiero” il primo Rodeo attestato da fonti certe risale al 1872, tenuto nella città di Cheyenne nello stato del Wyoming. Inoltre la parola rodeo deriva dallo spagnolo e significa "recinto".
Per altri invece il primo Rodeo è stato organizzato il 4 luglio del 1888 a Prescott, Arizona.
Presumibilmente sono vere entrambe le versioni dal momento che la seconda, quella di Prescott, dovrebbe essere considerata la prima manifestazione a carattere sportivo che coinvolgeva le definite gare di Rodeo.
Come premio vennero coniate originali medaglie e da allora proprio la medaglia è il riconoscimento a cui tutti i partecipanti ambiscono.
Sul finire del Diciannovesimo secolo, un “certo” William Frederick Cody, meglio conosciuto come Bufalo Bill, intuì l’importanza di portare gli spettacoli nelle grandi città: signore e signori, vedeva così la luce il "Wild West Show", spettacolo itinerante che viaggiava di Stato in Stato (venne anche più volte in Europa, perfino in Italia ed in un'occasione venne lanciata una sfida ai nostri butteri, che tra l'altro vinsero la contesa, ma questa è un'altra storia), contribuendo notevolmente alla creazione del mito della Frontiera.
Gli abitanti delle città dell'Est e non solo scoprirono così il fascino di quegli uomini coraggiosi e temprati da lotte e privazioni, al fianco di e contro natura ed animali, indipendentemente dal fatto che le Dime Novels, i “nonni” dei nostri fumetti, ingigantissero spesso le imprese dei protagonisti delle storie narrate. Dalla prateria alle arene il significato del Rodeo è rimasto intatto: lo spettacolo di un cowboy impegnato nello svolgere al meglio quello che è, beh, era ma lo è ancora il suo lavoro quotidiano.
Nel contesto originale, la "manifestazione sportiva" era piuttosto rude. Basato su ben poche regole, non era sufficiente restare in groppa a cavalli e tori per i famosi “soli” otto secondi come accade oggi. Bisognava domare o mordere la polvere, non c’era alternativa, nessuna via di mezzo, ma semplici spazi verdi recintati.
Nonostante tutto ciò, molte furono anche le cowgirls che per nulla spaventate dalle difficoltà, si cimentarono con successo nelle diverse discipline del Rodeo. Alcune di esse sono ancora ricordate nella "Cowgirl Hall of Fame" di Hereford, Texas. Volete un esempio? Non vi dice niente il nome di Annie Oackley? Proprio lei, la celebre “Piccolo Colpo Sicuro” che dice la leggenda (e non è solo una leggenda) divenne anche figlia adottiva del grande capo Toro Seduto. Ne avevamo ampiamente parlato, cioè avevo causato più di uno sbadiglio praticamente raccontando la vita della celeberrima tiratrice, in una recensione di qualche tempo fa: http://www.fumettodautore.com/index.php/magazine/osservatorio-tex/5550-saggio-e-analisi-di-panico-a-teatro-e-minaccia-su-new-york .
Ritratto di Buffalo Bill Cody ad opera di Lorenzo Barruscotto
Facciamo un momento un salto avanti nel tempo: al fine di fronteggiare il crescente problema di truffe organizzate da avvoltoi in guanti bianchi che zompavano addosso a tutto quello che poteva produrre bei dollaroni, purtroppo niente di nuovo sotto il sole, nel 1936 venne fondata una specie di sindacato tutore, il “Cowboys Turtles Association”, per garantire a tutti gli sportivi vari riconoscimenti e premi nelle competizioni.
“Siamo stati lenti come tartarughe (turtles) prima di arrivare a tanto” era lo slogan dell’associazione. I “Turtles” si sono trasformati nella “Rodeo Cowboys Association” nel 1954 ed infine nel 1975 l’organizzazione è divenuta la PRCA ossia la “Professional Rodeo Cowboys Association”.
Come indica il nome, si tratta di un'associazione di cowboys professionisti che tutela i suoi iscritti in ogni parte del mondo. Dopo aver gareggiato in alcuni degli innumerevoli circuiti minori ed aver guadagnato una certa cifra che secondo le fonti che ho consultato si aggira sui 25mila dollari cavalcando broncos e tori, il cowboy dilettante può finalmente entrare a far parte della PRCA diventando professionista e può anche sognare di partecipare alle Finali Nazionali di Las Vegas. Se ci fate caso il Rodeo è uno dei pochi sport di completa invenzione americana. I cowboys pagano fior di quattrini per le iscrizioni pur di partecipare alle gare più importanti ed esclusive rischiando anche la propria pelle, senza avere la certezza di un contratto o di un premio.
Ritratto di Tyson Durfey ad opera di Lorenzo Barruscotto
Il Bareback Bronc Riding è la monta del cavallo selvaggio a pelo, cioè senza sella, l’essenza pura del Rodeo. Il cowboy è solo contro il cavallo selvaggio (bronco) per otto interminabili secondi. Per avere un buon punteggio, il cavaliere deve mantenere equilibrio, ritmo e controllo dominando gli scatti improvvisi dell’animale. I punteggi di merito vanno da 1 a 100 ed è assolutamente vietato toccare il cavallo con la mano libera.
Poi c'è la monta del toro, Bull Riding. Questa spettacolare gara prevede che l’animale venga precedentemente imbrigliato da una corda dotata di campana. Il cowboy, indossato un guanto di pelle resinosa, con cui afferra saldamente la corda, deve resistere in groppa per otto secondi. Il suo abbigliamento è molto importante: i chaps (traduciamoli con “sovrapantaloni” anche se chi ha seguito le mie ricerche sul linguaggio del West per il sito "Farwest.it" conosce già questo termine) sopra i jeans, in pelle, gli garantiscono una protezione efficace contro sbucciature ed ammaccature, i suoi speroni, smussati, a stella lo aiutano a tenere salda la posizione e completano il look del provetto bull-rider. I giudici assegnano ad ogni cowboy un punteggio che va da 1 a 100 ed anche qui è vietato, pena la squalifica, toccare il toro con la mano libera.
Saddle Bronc Riding: questa specialità è definita la “danza” del cowboy sul cavallo selvaggio che è stato dotato di una piccola sella e redini. Otto secondi di “armonia” (anche se i lombi dell'interessato probabilmente non sarebbero d'accordo con questo termine) tra l’animale e l’uomo che asseconda salti e sgroppate nel modo più naturale possibile con inarcamenti della schiena e movimenti plastici e potenti, offrendo uno spettacolo di sicuro effetto. Il massimo punteggio dato ai cavalieri più sicuri e dotati di tecnica è 100.
In realtà il tempo necessario per restare in groppa all'animale in questo tipo di gare viene denominato dagli “addetti ai lavori” ma non solo, “otto secondi di gloria”.
Poi c'è lo Steer Wrestling. Si tratta di una lotta corpo a corpo tra il cowboy ed un giovane manzo che all’inizio dello spettacolo si trova nella "chute", l’apposita gabbia posizionata ai bordi dell’arena in cui vengono tenuti gli animali. Il cancello viene aperto ed il cavaliere si lancia all’inseguimento del manzo che, una volta raggiunto, deve essere schienato afferrandone le corna. Il cowboy è affiancato nella corsa da un compagno che ha il compito di impedire all’animale scarti o brusche virate.
Il Team Roping letteralmente è “la squadra che usa il lazo” per catturare il vitello. Due sono le persone che lo compongono, una delle quali può essere anche una cowgirl. Non appena il cancello della chute si apre lasciando uscire la "preda", i cavalieri devono bloccare con le corde le due zampe posteriori e la testa. Vince il team che impiega minor tempo per portare a termine l’operazione.
La corsa dei barili, Barrel Racing, viene definita la corsa in “rosa” del rodeo, perché esclusivo appannaggio delle cowgirls che devono percorrere al galoppo un percorso delimitato da tre barili. Ogni barile caduto determina una penalità di cinque secondi.
Un'altra competizione che ha come protagonista il lazo è il Calf Roping: la fune che i cowboy devono saper utilizzare con maestria deve catturare stavolta un vitello che esce dalla solita chute correndo. Viene inseguito dal cowboy che ha a disposizione due lanci per bloccarlo e, dopo essere sceso da cavallo, deve schienarlo tenendo legate per sei secondi tre zampe dell’animale. La competizione avviene in un’arena nella quale possono essere presenti solamente il cowboy, il giudice di gara ed un clown, il quale non intrattiene solamente il pubblico ma ha anche il compito di distrarre l’animale in caso di pericolo per il concorrente.
Il Rodeo è caratterizzato da un cerimoniale ed un meccanismo di funzionamento definiti e precisi, ma chi non li conosce bene potrebbe avere l’impressione, vedendone uno, soltanto di assistere ad una gran confusione. In realtà si inizia sempre con una parata in puro stile americano, poi si procede con una serie di gare (il cui ordine può variare), che corrispondono alle diverse “discipline” menzionate.
Ovviamente ci sono diverse variazioni a seconda del paese d'origine, come per esempio le gare messicane ed argentine che vedono protagonisti i gauchos, la versione sudamericana dei cowboys.
Tyson Durfey durante una gara: foto reperita in rete.
Comunque sia, tornando al di là del Rio Grande, anzi anche un po' più a Nord, nel Wyoming, il Cowboy State delle Rockies (le Montagne Rocciose) che si ripropone durante i Cheyenne Frontier Days è il più antico, tradizionale e grande Rodeo all’aperto nonché la più grande celebrazione western al mondo. Conosciuto come “Daddy of 'em All” – il padre di tutti – dai migliori cowboys, l’evento ha luogo a Cheyenne, e dove se no?, ogni anno durante l’ultima settimana di Luglio.
Dieci giorni di intrattenimenti, sfilate, pasti a base di pancakes caldi e la partecipazione di cowboys, cowgirls e nativi americani che si occupano di tori, cavalli e bestiame in genere. La manifestazione è molto nota e richiama visitatori e concorrenti da ogni parte del mondo.
Ovviamente l’evento centrale della festa è il Rodeo: accreditato proprio dalla Professional Rodeo Cowboy Association, vanta più contendenti che ogni altro: certe volte si è arrivati anche a quasi duemila tra i migliori del globo. Tutti bramano la famosa fibbia, premio destinato al campione del Rodeo di Cheyenne e la vittoria può perfino avviare o rilanciare una brillante carriera. Fin dal 1897 i Cheyenne Frontier Days sono il fulcro dello stile cowboy ed il “Daddy of 'em All” è stato riconosciuto quale massima celebrazione dello spirito western esistente al mondo.
Non mancano incursioni nella cultura pellerossa con un vero e proprio villaggio indiano ricostruito: musiche, danzatori, cantastorie ed artigiani si esibiscono illustrando le tradizioni di varie tribù.
Per chi invece ama l’arte, come la mia metà, c'è il "Cheyenne Frontier Days Western Art Show & Sale" che celebra acclamati artisti internazionali in una mostra di centinaia di dipinti, sculture e tessuti.
Ed infine per gli appassionati di cucina da non perdere il "Chuckwagon Cook-off": prelibatezze culinarie in tipico stile western offerte nei caratteristici carri da pionieri, wagons, e servite da personaggi in costume. Senza dimenticarsi dei contests per assicurarsi il premio come miglior carro, miglior piatto di carne, di fagioli, di pane, di patate e per il dessert.
Il Rodeo Wrangler National Finals è invece l'evento di campionato di fine stagione per la Professional Rodeo Cowboys Association e la Women's Rodeo Association ed è ampiamente definito come la principale gara di Rodeo al mondo.
Tenutosi ogni Dicembre dal 1985 al "Thomas & Mack Center" di Las Vegas, il Wrangler NFR è il rodeo più ricco e prestigioso tra le competizioni professionistiche e mette in mostra i migliori corridori. I primi quindici concorrenti qualificatisi in base al denaro vinto durante la stagione regolare, partecipano ai play-off alla cui conclusione si celebrano i campioni del mondo di questo sport.
(Come sempre ho incrociato informazioni da diversi siti specifici sia in italiano che in inglese, da siti di viaggi ad altri maggiormente specifici come https://www.countryeventsmilano.com/ oppure https://wranglernetwork.com/events/wrangler-national-finals-rodeo .)
Tyson Durfey in una foto reperita online: evidentemente per essere un cowboy servono buoni denti.
Perchè tutto questo panegirico sul Rodeo? Presto detto.
Come sicuramente vi siete accorti, lo abbiamo ribadito nell'introduzione, durante questi ultimi mesi le recensioni sono state in stand-by. Per rispetto verso la difficile situazione che molte persone hanno vissuto ma anche perché il sottoscritto si è dedicato ad altro (ve ne parlerò, per ora basti sapere che ho cercato e sto cercando di aiutare nel mio piccolo come posso), immaginando di chiudere il Trading Post per un po' proprio come se anche il “mio” locale dovesse rispondere alle direttive giustamente imposte per limitare e cercare di contenere i contagi. Non è la sede opportuna per approfondire, in un prossimo articolo spiegherò per filo e per segno di che si tratta rivolgendomi anche direttamente a tutti i lettori.
Ciò non toglie che abbia continuato a coltivare contatti con esponenti del mondo del West e della cultura western, per esempio scambiando qualche considerazione epistolare con il grande scrittore del Texas Joe Lansdale, con la ormai amica reporter miss Cindy Yurth direttamente dalla Riserva Navajo ed anche approfondendo la conoscenza con qualche cantante country. Ma non basta.
Tra coloro che hanno gentilmente risposto in modo positivo ad una mia alzata di mano sotto forma di email o richiesta di contatto c'è stato Tyson Durfey.
Molti di voi diranno: chi? Sono qui per questo.
La sua strada per diventare una delle élite del rodeo è stata piena di alti e bassi. Ora sta usando quell'esperienza anche per consigliare gli altri, non soltanto aspiranti cowboys. Il suo lavoro di mentoring “senza confini” è rivolto a tutti. Forte dell'esperienza acquisita grazie al coach personale di Michael Jordan, proprio come afferma nel video è costantemente in viaggio per crescere. Un obiettivo a cui Tyson punta costantemente è cercare di essere migliore. Intendiamoci, non IL migliore o risultare superiore ad altri, ma migliore per sè, nella propria vita, nella propria visione di quello che vuole fare ed essere. Ciò potrebbe comportare il miglioramento di un'unica caratteristica importante o molte piccole cose che si sommano. Non unicamente nell'arena, ma nella vita.
Uomo di fede, lo sottolinea spesso, non manca di cercare conforto nella Bibbia e nella preghiera per trovare la sua ispirazione. Lui e sua moglie, la cantante country australiana Shea Fisher, ora vivono nella contea di Parker in Texas.
L'amore per la vita che fa indossare stivali, cappello e guanti di pelle è iniziato quando era un bambino che cresceva nel Missouri. Pensate che Tyson ha gareggiato nel suo primo Rodeo all'età di nove anni.
La carriera ai livelli PRCA di Tyson è iniziata nel 2003 e nel corso degli anni si è evoluta portandolo a divenire uno dei migliori Tie-Down Ropers professionisti. Con tre campionati mondiali canadesi al suo attivo (il primo residente non canadese a raggiungere questo traguardo), vincitore del "The American" Rodeo nel 2014 ed avendo collezionato sette partecipazioni al Wrangler National Finals Rodeo, il talento di Tyson parla più delle parole.
Nel 2016 ha vinto il campionato mondiale nella WNFR diventando quindi il campione di “professional tie-down roping”. Mica robetta.
Inoltre è anche un tipo generoso oltre che simpatico: offre supporto a molte fondazioni di beneficenza, come quelle sulla ricerca contro il cancro al seno. Negli ultimi anni, Tyson ha destinato a queste organizzazioni no profit una percentuale dei montepremi vinti durante l'NFR.
Ritratto di Tyson Durfey ad opera di Lorenzo Barruscotto
Come potete vedere e sentire se andate a curiosare sul link che compare sia sotto il titolo di questo articolo che qui di seguito (ve lo ripropongo: https://www.youtube.com/watch?v=ya5-oe8u8AE ), il cordiale Tyson mi ha inviato un video direttamente dal suo ranch, girato in compagnia di uno dei suoi cavalli, Fancy. Senza indugiare troppo in convenevoli introduce subito il significato che ha per lui essere un cowboy, cioè che bisogna mettere se stessi al secondo posto, che si tratti di dedicare tempo e cure ai propri animali quando si vive la vita western (the western life-style) specialmente chi come lui deve mandare avanti una fattoria ma ovviamente, neanche bisognerebbe dirlo, alla propria famiglia, alla propria terra, alla propria gente. Beh, come è giusto che sia e come dovrebbe fare ogni uomo.
Un concetto importante è quello che spiega successivamente nella chiacchierata: bisogna mantenere il corretto atteggiamento mentale, il corretto pensiero sempre fisso sotto il cappello, tra le orecchie: per vincere, per superare un ostacolo non dobbiamo cadere nella trappola di restare impantanati in pensieri negativi, che troppo spesso si insinuano tra le già contorte circonvoluzioni della nostra (scarsa o abbondante, in questo caso fa lo stesso) materia grigia come un'ombra maligna che rallenta ogni nostra intenzione, ogni nostro slancio, come dei limiti auto-imposti, quando diciamo “non posso, non sono in grado di farlo”.
Al diavolo, uno dei concetti che questi tempi di tragedia dovrebbero averci insegnato è che non importa quanto tempo ci si impiega, non importa se si crede di essere più simili ad uno zerbino dove tutti si puliscono i piedi e non importa nemmeno se abbiamo permesso che dei balordi si siano davvero puliti i piedi sul nostro “self-zerbino”. Le circostanze, come le chiama Tyson, possono cambiare, sempre, oggi, domani o come è accaduto qualche mese fa.
Non è naturalmente necessario aspettare una prova generale di estinzione dell'umanità per rialzarsi, basta aspettare che il sole sorga il giorno successivo a quando abbiamo deciso che, come direbbe il mio amico Larry Scott, “ora basta”.
Un'altra cosa che mi trova d'accordo con il campione è che noi siamo tutti stati creati per fare qualcosa, di grande o di piccolo non ha importanza, ma dobbiamo (non inteso come costrizione) costruire e non distruggere: non intendo letteralmente costruire una casa o un palazzo ma si costruisce o RIcostruisce una persona anche solamente anzi “solamente” porgendole la mano per incitarla a rialzarsi (mantenendo così anche la distanza sociale di questo periodo), facendo il tifo per lei senza giudicarla specie se non si conosce o comprende la sua storia, offrendo un sorriso, dicendo un grazie a qualcuno che si è sciroppato un turno massacrante per aiutare o "semplicemente" per garantire un servizio, non “facendo il bullo o il furbo” come magari si era abituati ad agire quando si dava per scontata l'aria che respiriamo… sono tante le “positive attitudes”, gli atteggiamenti positivi che possono cambiare il nostro piccolo mondo che ci sta attorno, quello più vicino a noi, senza voler per forza cambiare in un unico gesto tutto il mondo, dato che, questo sì, è decisamente al di fuori della nostra portata.
Pensiamo invece senza zoom, allo spazio che circonda ognuno di noi, a farlo tornare veramente spazio “vitale” tenendo alla larga chi vuole invaderlo per spegnerci, per abbatterci, accogliendo i pochi che invece desiderano solo soffiare sotto le nostre ali quando li troviamo, ed ovviamente difendendoci da chi vuole attaccarci, fisicamente per derubarci o farci del male, ma anche spiritualmente per toglierci qualcosa da dentro, per il puro gusto di farlo lasciando al suo posto un peso apparentemente leggero ma individualmente poco sostenibile allo stesso tempo, quello del dubbio: il buon senso deve sicuramente essere applicato per seguire le regole e rispettare la vita in tutte le sue forme, che sia con mascherina, guanti, disinfettante o attraverso il mantenersi ligi alle regole senza trovare la scappatoia per aggirare una legge o un'imposizione, quando sensata, non pensando di essere i più svegli dal circondario sebbene si creda di essere nel giusto, specialmente se serve per non rischiare la pelle, ma anche e soprattutto per non farla rischiare ad altri, estranei o congiunti. Inoltre...
Beccato! Tyson Durfey fa centro. Foto reperita in rete.
... il buon senso va applicato anche verso noi stessi: non esistono i “no”, si può interpretare una tale situazione mondiale come si vuole ovviamente, credere che sia tutta una bufala o meno, a parte alcuni oggettivi esempi di pura ignoranza o irresponsabilità che risultano troppo evidenti per essere non solo giustificati ma proprio concepiti ed a cui non si crederebbe se non fossero tristemente documentati (ma questo accadeva anche prima del Covid-19): quale migliore occasione per aiutare, per sostenere, per supportare, per provare a noi stessi, perché è solo a noi stessi che dobbiamo provare qualcosa in fondo, il fatto che siamo sempre stati/ancora in grado di diventare/essere ciò che siamo nati per essere, che abbiamo sempre voluto essere o per finalmente trovare la strada giusta, quella che, chissà, fino a poco tempo fa era avvolta da una strana, impercettibile, indefinibile ma invalicabile nebbia, e rialzarci per riprendere il cammino.
Le ragioni che ci hanno bloccato, imbrigliato, fatto deviare possono essere gravi, molteplici, terribili, quasi impronunciabili, possono inorridire o anche stufare altre persone che non hanno a che fare con i problemi che invece per noi rappresentano la quotidianità ma noi talvolta come si suol dire abbiamo ed abbiamo avuto le nostre ragioni per prendere la strada più lunga, abbiamo dovuto sopravvivere, abbiamo dovuto lottare contro tutti, contro noi stessi magari, contro demoni striscianti nella notte o urlanti sotto il sole più accecante, abbiamo dovuto domare lupi interiori o far fronte a situazioni (che coinvolgano differenti ambiti della vita, salute, lavoro, amore, scegliete quello che vi calza di più) impensabili fino a cinque minuti prima di quando si sono verificati. Non tutte le battaglie si possono vincere, questo è vero, non tutti i nemici si possono sconfiggere. E non si possono usare le varie batoste come un'unica gigantesca e prolungata scusante per rimanere perennemente in panchina. Sebbene a volte sia una dura lotta anche alzare quel dannato bicchiere per bagnarci il becco. Ma se riusciamo ancora a risollevarci, in corpo o in spirito, allora abbiamo il dovere di riprovarci, perchè sicuramente qualcuno che non ha avuto fortuna e che adesso non è più dalla parte giusta delle radici darebbe l'anima per essere al nostro posto e sputerebbe tutto il sangue possibile per non mollare, per riuscire e non farsi sfuggire un'altra, un'ultima, possibilità.
A volte il cielo stesso sembra crollare su di noi, è normale, è umano e, come direbbe il buon Carson, è nostro pieno diritto lamentarci, per mille fulmini, ma quando l'aria si scalda e la faccenda si fa seria, la nostra essenza deve diventare morbida come il granito, indifferente come un treno che passa sfrecciando lungo la propria strada, il nostro cammino deve divenire diritto come quello di "una freccia lanciata nel sole" (per citare "L'Ultimo dei Mohicani"): così quella parte in noi che istintivamente farebbe eco a critiche, negazioni, insulti, detrazioni, sbeffeggi, diventando il peggior nemico di noi stessi, indipendentemente dal fatto che siamo senza un pezzo, che dipendiamo da medicine per campare, che risentiamo di una gran spazzolata, che siamo soli o in mezzo a migliaia di persone, diventerà e diventa nulla più di un rumore di fondo, proprio come i fardelli che ci trasciniamo dentro attraverso le sofferenze del nostro contenitore di carne o dell'anima si trasformeranno in pesi per allenamento, in modo da poter risollevare la testa nei confronti del destino e ridergli in faccia: "Ehi, amigo, hai una pessima mira!"
Disegno di Lorenzo Barruscotto
Un cowboy svolazza per terra innumerevoli volte ma si risolleva: certo, voi direte, se non viene calpestato da un toro leggerissimamente irritato.
Vero, impossibile negarlo, ma quante volte il “nostro” toro, quello che dobbiamo o vogliamo cavalcare, per ben più di otto secondi ci ha calpestato senza che neanche noi gli abbiamo rivolto la parola? Quante volte un giorno che sembrava qualunque ci ha incornato o disarcionato senza che andassimo a cercare guai? Perciò, se riusciamo a rialzarci, quando siamo di nuovo in piedi, mentre ci scrolliamo di dosso la polvere che rappresenta il passato, le delusioni, i fallimenti, i tentativi mancati, le porte in faccia, le cattiverie subite, anche gratuitamente per quanto magari lo sappiamo solo noi che sono tali, e ci risistemiamo lo Stetson sul cranio, ricalziamo i guanti di pelle, usurati per le troppe volte in cui abbiamo tenuto quella maledetta corda che dovrebbe fungere da briglia, non dobbiamo guardarci in giro sperando di vedere il clown che distrae l'animale da affrontare, non dobbiamo dare retta al commentatore al microfono che sta sciorinando le statistiche sul numero di rovinosi capitomboli in cui siamo finiti a terra a volte anche uscendone con un notevole danno, non dobbiamo stare a sentire la folla che magari fischia e men che meno cercare tra i volti del pubblico aspettandoci qualche sguardo di approvazione. Da nessuno.
L'unico che dobbiamo guardare dritto negli occhi è proprio il “nostro toro”, sbuffante, scalpitante, perché no terrificante.
So che sono soltanto parole ma anche se non mi conoscete vi assicuro che sono parole di uno che si è visto frantumare sulla testa parecchie tegole anche piuttosto "pienotte", maledettamente concrete e sufficientemente problematiche. So bene anche che c'è sempre di peggio ma non è una gara a chi se la passa meno bene degli altri. Senza contare che in determinati frangenti, avete capito tutti a cosa mi riferisco pur senza ripeterlo, si è tutti sulla stessa barca.
Pertanto esatto, rumoroso ammasso ambulante di bistecche, siamo ancora in piedi.
Non sei tu a chiedercelo, siamo noi: vuoi riprovarci? Accomodati, stavolta la mano si chiuderà su quella dannata corda con una presa ferrea, i tuoi fianchi assaggeranno le carezze dei nostri speroni (no, pranzo a quattro zampe a cui mancano solo le patatine fritte di contorno, non sono smussati, come non è smussato nessun angolo nella vita reale) e per quanto ti agiterai non riuscirai a farci desistere.
Otto secondi? Bah, non esiste il tempo, non c'è un periodo definito, non c'è una scadenza per raggiungere il proprio traguardo. Fin che si può, per lo meno. E fin che si può noi continuiamo ad essere cocciuti come mastini. Non importa neanche se hai vinto tu fino ad ora, né se “fino ad ora” sta a significare mesi o addirittura anni.
Hai fatto male i tuoi conti: ogni caduta non ci rende più deboli, ogni ferita è un'onorificenza da sfoggiare con orgoglio perché si trova sempre sul petto, mai alle spalle. Ogni colpo rende l'anima di cuoio. Ci farai cadere ancora? Bueno, sarà solo un'altra botta. Niente di più.
Noi siamo cowboys, noi la vita la prendiamo per le corna!