- Categoria: Osservatorio Tex
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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RECENSIONE TEX INEDITO NUMERO 692: "JOHNNY IL SELVAGGIO"
(Contiene note riguardanti la Cochise County, in Arizona)
Ben ritrovati, amigos! Come ve la passate? Probabilmente anche voi siete un po' provati dal fatto di aver trattenuto il respiro per un mesetto dal momento che la storia che si conclude in quest'albo era iniziata a Maggio e si era interrotta proprio sul più bello, lasciandoci tutti con il proverbiale fiato sospeso.
Quindi infilate le vostre gambe sotto un tavolo e riempite il bicchiere fino all'orlo: ci dobbiamo riprendere qualche minuto prima di ributtarci a capofitto nel mare di guai nel quale si trovano Tex e Carson. Come abbiamo avuto modo di appurare innumerevoli volte, i Nostri, mutuando un'espressione di Capelli d'Argento, “sanno nuotare” ma in questo caso rischiamo di trovarci davanti ad un vero e proprio oceano in tempesta.
Avevamo lasciato il simpatico, comprensibilmente impacciato ma volenteroso Johnny Wharton a vedersela con i problemi derivanti dall'essere diventato reggente ad interim della Riserva indiana Apache di San Carlos, una sorta di supplente nominato proprio dai due Rangers i quali avevano cacciato a pedate il precedente agente indiano, corrotto e colpevole di aver ridotto praticamente alla fame coloro i quali avrebbe dovuto assistere e proteggere.
Purtroppo per le nostre orecchie questa è una musica già sentita fin troppe volte.
In ogni caso il balordo ex funzionario del governo ed i suoi degni compari sono ormai un ricordo, essendo finiti sotto terra per indigestione di piombo: Tex si era visto costretto ad ucciderli per salvare proprio Johnny che comunque non è certamente un chierichetto, grazie anche al fatto che, adottato in tenera età da un ufficiale di cavalleria, aveva per un certo tempo frequentato la prestigiosa accademia militare di West Point. In buona sostanza sa badare a se stesso certamente meglio di molti altri, compreso chi vi parla. (Intendiamoci, proverei a dire la mia se trascinato a forza in un “dibattito”... non tengo il canne-mozze sotto al bancone perché erano finiti i soprammobili di ceramica...)
Comunque, facezie a parte, con l'uscita di scena di quel farabutto le complicazioni non erano affatto terminate, anzi, in parallelo ce ne precipita sulla testa una, se possibile, molto più grossa: uno scontro per cause apparentemente davvero fortuite (anche se l'incapacità nel saper usare la già poca materia grigia fornita dal Padreterno o per lo meno l'ostinarsi a non voler seguire i consigli espressi da chi invece di esperienza ne ha da vendere, nella fattispecie Tex Willer, non è mai un'attenuante) tra un paio di esploratori al soldo di una compagnia ferroviaria ed un gruppetto di giovani Apaches, i quali avevano purtroppo visto ucciso un loro compagno. Come se non bastasse il fratello dell'indiano rimasto sul terreno è una delle più carismatiche teste calde del villaggio di Cochise, difficile da tenere a freno già in tempo di pace. Ad essere sinceri il pellerossa non ha tutti i torti, sommando i soprusi da parte del corrotto "inviato del Grande Padre Bianco di Washington" ormai defunto al dolore per la perdita causatagli dal piombo dei cacciatori bianchi.
Mentre Tex e Carson cercano se non di rimediare al pasticcio, visto che non si può riportare in vita la vittima dell'incidente, quanto meno di arginare il grattacapo venutosi a creare, Johnny dal canto suo si impegna per aiutare con le poche risorse rimaste nei suoi magazzini alcuni dei villaggi più poveri, raggiungibili dalla sede dell'Agenzia tramite lo scalcinato carro che ha a disposizione.
La storia ideata da quello che, più passa il tempo più ne sono convinto, è un maestro Jedi mascherato da sceneggiatore (concedetemi la citazione non western) il quale risponde al nome di Pasquale Ruju, ci lancia un indizio, ben celato tra le tavole, che inizia a far agitare il tarlo che tutti noi texiani, forti dei decenni di esperienza a fianco di Tex e dei suoi pards abbiamo ben attivo nel cranio, un istinto che ci dice qualcosa ma che ancora non riusciamo a capire cosa, che non siamo in grado di mettere a fuoco, un particolare al quale sul momento non si dà peso perché subito dopo accade qualcos'altro che ci distoglie dall'abbozzo di ragionamento che stavamo iniziando a fare…
Tramite i disegni del formidabile Yannis Ginosatis sentiamo anche noi sulla pelle il caldo sole del deserto e ci viene spontaneo fare il classico gesto di togliere per un momento, anche se non lo indossiamo, il nostro cappello Stetson dalla zucca per asciugarci il sudore che ci cola copiosamente dalla fronte, per non parlare della polvere che se non stiamo attenti si deposita sui nostri abiti uscendo direttamente dalle vignette mentre sfogliamo le pagine di quest'avventura.
Nuovamente, siamo impotenti testimoni della crudeltà umana perpetrata solamente perché è la via più facile da percorrere, ad opera di balordi senza scrupoli interessati unicamente a vedere senza troppa fatica il colore dei dollari, infischiandosene se questa loro avidità causa sofferenze a povera gente indifesa o per contro rischia di scatenare una sanguinosa rivolta.
Stavolta però le cose potrebbero andare diversamente, per quel branco di sciacalli, e devo dire che la soluzione, definitiva e tonante come solamente un colpo di Winchester può essere, per quanto appaia sbrigativa, mi ha fatto comparire quel sardonico sorriso che spunta quando un bullo viene punito, anche se, da texiano di lungo corso, devo ammettere che da parte degli interessati sarebbe stato certamente possibile (e più saggio) trovare una strada meno drastica per chiudere la questione, soprattutto tenendo conto delle conseguenze che un gesto compiuto, con le mille attenuanti del caso, ma comunque per pura rabbia e senza riflettere, comporta, oltre a risultare sempre riprovevole o per lo meno controproducente.
Ma non c'è tempo per le recriminazioni. Quei pendagli da forca di sicuro non se lo aspettavano, non erano stinchi di santo pertanto avrebbero dovuto metterlo in conto come “incerto del mestiere”, invece hanno trovato delle vittime che si sono stufate di essere vittime: non faranno più del male a nessuno. Non verseremo troppe lacrime ma il punto è un altro e comunque ora però bisogna pensare ai vivi.
Disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a GALEP
Assisteremo, anzi verremo coinvolti in una corsa contro il tempo, per cercare di non arrivare troppo tardi al fine di impedire che un piccolo fuoco diventi un indomabile incendio. Percepiremo l'ansia, quasi palpabile anche solamente attraverso gli sguardi da duri veterani della Frontiera consapevoli dei costi in vite umane che quel cosiddetto “equivoco” potrebbe comportare, dei Rangers che udendo degli spari in lontananza o scorgendo un filo di fumo da dietro una collina in cuor loro già sanno quale quasi certamente sarà il terribile spettacolo che purtroppo più di una volta effettivamente si è già aperto davanti ai loro occhi, troppo esperti per non aspettarselo ma mai così assuefatti alla violenza da negare un gesto di pietà nei confronti di un ferito o di un caduto né divenuti talmente insensibili da non portare aiuto a chi ne abbia ancora bisogno invece di lasciarlo al proprio destino pur di non far raffreddare la pista dei colpevoli.
Non temete, anche i ferri da tiro di Tex e Carson avranno modo di dire la loro e come al solito si tratterà di quelle a noi ben note parole pronunciate al momento giusto, in un discorso chiaro ma conciso, talmente chiaro da risultare comprensibile anche a coloro i quali comunicano solamente attraverso il linguaggio della prepotenza e che possono quindi essere convinti a cambiare idea solo utilizzando modi molto persuasivi: e cosa c'è di più persuasivo di una palla in fronte…
Purtroppo non arriveremo in tempo per salvare tutti e questo ci farà rimanere interdetti, per almeno un paio di motivi. Il primo, il più banale, è che siamo abituati al fatto che quando le cose stanno prendendo una brutta piega e la Vecchia Signora sta già accarezzando con la sua falce arrugginita il mento di un malcapitato c'è quasi sempre stato quello sparo che toglie dai guai l'innocente di turno facendo stramazzare al suolo il cattivo all'ultimo momento.
Non è una regola fissa, dal momento che nemmeno i Pards possono fare miracoli né si mettono a svolazzare per i cieli della prateria con un mantello rosso, ma nelle rare volte in cui le frontiere di carta ci ricordano la vita reale, quella in cui anche troppo spesso i buoni non se la cavano o per lo meno non tutti i buoni, rimaniamo per un secondo colpiti da questo “sconfinamento” che in realtà dona un valore aggiunto all'opera, permettendo di esplorare più a fondo l'animo dei protagonisti e le diverse sfaccettature del loro animo, le quali li rendono eroi sì ma umani e per questo con tutte le loro sfumature ed i loro condivisibilissimi sentimenti.
Il secondo motivo a dire il vero è un pensiero maggiormente individuale ed è proprio a titolo puramente personale che lo esprimo. Quando ci si “affeziona” ad un personaggio così come ad una persona, si resta ancora più straniti quando lo stesso personaggio/persona si comporta in modo diverso da come ci aspetteremmo o per lo meno non agisce come avremmo pensato di vederlo agire, “credendo” di conoscerlo. Può avere dalla sua tutti i motivi di questo mondo, ed anche nel West come nella vita quotidiana, quella fatta di sangue e lacrime e non solamente di china e polvere da sparo, la situazione può sfuggire di mano o più semplicemente si commettono degli errori. Ma ci sono errori ed errori ed un guerriero, un uomo, a maggior ragione un ragazzo che vuole diventare uomo deve sempre essere pronto a pagarne il prezzo. Inoltre c'è modo e modo di far valere le proprie ragioni.
Una belva ferita colpisce a caso, senza distinguere tra colui che vuole finirla per prendersi la sua pelliccia o colui che invece le si avvicinerebbe per curarla, ma una belva è un animale.
Noi non siamo animali. Noi in quanto uomini, in quanto esseri umani anche se accecati da un odio atavico che può essere una reminiscenza derivata dal risveglio del ricordo di fieri antenati o un'ira più giovane, più impulsiva dovuta a torti ed ingiustizie subite in un recente passato, non dobbiamo o per meglio dire non dovremmo mai sfogare tale ira contro bersagli presi a caso, in special modo se questi bersagli sono persone del tutto innocue che inoltre non c'entrano assolutamente niente con le nostre beghe, altrimenti si commette lo stesso errore di chi si sta cercando di contrastare.
Considerare gli indiani tutti un'unica razza senza neanche sforzarsi di comprendere le più basilari differenze tra le varie tribù è sbagliato tanto quanto ritenete tutti gli uomini bianchi dei nemici, da combattere e da uccidere senza fare differenze non soltanto tra soldati o civili, tra militari e semplici contadini ma colpendo indiscriminatamente uomini, donne e perfino bambini.
Un guerriero, ma anche “solo” un uomo, lasciatemelo ripetere, in quanto tale ha o deve avere un codice d'onore secondo il quale vivere, anche un guerriero sul sentiero di guerra, altrimenti si riduce a quella belva ferita, un essere privo di raziocinio che, per quanto sia un'ulteriore ingiustizia, alla fine deve essere abbattuta perchè si fermi la scia di sangue delle sue vittime.
Non diverse da come era stato egli stesso un tempo.
Riproduzione di un presunto ritratto di Cochise, disegno di Lorenzo Barruscotto
Lo avevamo letto nelle anticipazioni dello scorso volume e sulle pagine social che preannunciavano l'uscita dell'albo di cui parliamo oggi: l'esercito non se ne sta certo con le mani in mano e noi, forti delle passate esperienze, rabbrividiamo all'idea di un'altra guerra indiana.
Ci tornano alla mente anche non solamente gli accadimenti storici che hanno visto scontrarsi pellerossa e reggimenti di cavalleggeri e che hanno arrossato la prateria per anni, talvolta per decenni con un indicibile spreco di vite da ambo le parti, ma più nello specifico noi lettori ricordiamo le diverse avventure nelle quali è stato solamente grazie all'astuzia di Tex che si è evitato il peggio. Aquila della Notte, lo sappiamo, non combatte seguendo il colore della pelle ma solamente seguendo il proprio cuore e quindi lo troviamo sempre a fianco dei giusti, bianchi o rossi che siano. Perciò quando bisognava opporsi all'arroganza di un ufficialetto con la bocca ancora sporca di latte o peggio ancora ad un colonnello in cerca di gloria a spese "dei selvaggi", per lo più costretti ad abbassare il capo davanti a prevaricazioni e soprusi, Tex ed i Pards sono stati al fianco dei pellerossa senza alcuna esitazione. Stessa musica quando il cattivo era un capo indiano dalla testa troppo calda e dal grilletto troppo facile che rivolgeva la propria sete di sangue verso coloni o piccoli insediamenti pacifici: in quei casi Tex ha imbracciato il fucile a fianco delle giacche blu per fermare il massacro, ha combattuto per la pace, ha ucciso per salvare delle vite (anche se suona come un controsenso so bene che i Texiani mi capiscono), ha fatto ciò che gli imponeva il proprio dovere, per punire i malvagi e salvaguardare gli indifesi.
(Non cito alcun albo a mò di esempio dell'una o dell'altra situazione per non annoiarvi con un mero elenco di storie dal momento che non potrei comunque nominarle tutte e rischierei di tralasciare un titolo facendo un torto ai gusti di qualcuno. Ma so bene che leggendo queste mie righe siete andati a scavare nella vostra memoria e vi è venuta voglia di riprendere in mano quell'avventura su un assedio ad un Forte piuttosto che quell'altra, quando magari si doveva salvare un'intera tribù dall'annientamento, anche solamente per riguardare la copertina)
Fortunatamente il Nostro non è certamente un pellegrino qualunque né un folle assetato di sangue e sia quando si è trovato ad essere etichettato come rinnegato o quando ha combattuto contro gli indiani, ha sempre cercato di limitare le battaglie se non strettamente necessarie, facendo funzionare il cervello, arma temibile quanto e più della sua sei-colpi. Applicando le tecniche della guerriglia, del cosiddetto “spara e scappa”, è riuscito a conseguire complete vittorie perfino senza colpo ferire, non riversando la sua collera sui soldati la cui colpa era unicamente quella di obbedire agli ordini e neppure abbandonandosi ad inutili gesti di crudeltà sui prigionieri (questo vale per ogni genere di progioniero: al massimo può volare qualche dente nel caso si tratti di un farabutto che si ostina a non sciogliere la lingua quando il Ranger è in cerca di informazioni) e nella situazione opposta cercando sempre di giungere allo scontro diretto con il capo ribelle, per risolvere la questione con un duello, magari ricorrendo alla legge del coltello: due contendenti armati solo di pugnale impegnati in un confronto mortale, una lotta corpo a corpo, il cui vincitore sarebbe stato il favorito di Manito ed il cui esito avrebbe decretato la fine delle ostilità.
Stavolta da un lato la questione è diversa. Non mi sbottonerò troppo ma, ne siamoa conoscenza già dal mese scorso, vi basti ricordare che proprio il padre adottivo di Johnny verrà incaricato di comandare le truppe inviate nei territori della Riserva al fine di "tenere buoni gli Apaches". Capite dunque che tutta la dannata faccenda diventa maggiormente complicata, anche se per certi versi ci troveremo di fronte ad inaspettate manifestazioni di buon senso da parte di coloro i quali ci si aspetterebbe avessero una reazione brutale e non certamente pacata mentre dall'altra parte della barricata assisteremo al tanto effimero quanto sanguinoso cammino di qualcuno che giustificando le proprie azioni dietro al trito e ritrito concetto del “non ho iniziato io” crede di non avere scelta se non agire in un certo modo.
Nel modo sbagliato.
Stavolta non c'è un nemico da odiare, quanto meno non da voler sotterrare a tutti i costi, poiché capiamo le ragioni degli avversari e per un attimo ci troviamo indecisi nel scegliere da che parte stare. Questo almeno fino al momento in cui, come spesso accade quando si cammina sul filo del rasoio, il buonsenso viene abbandonato, si supera quella linea di non ritorno che non dovrebbe mai essere oltrepassata e non c'è altra via se non dare la parola alle armi per far calare il sipario una volta per tutte.
Si può e si deve sempre tendere la mano ma se il nostro avversario non rispetta neanche le fondamentali regole dell'onore o, fatemelo ribadire, del buonsenso, per un suo assurdamente contorto senso di giustizia che invece ha il sapore del fanatismo, lucido ed anzi fin troppo efficace, ma abbastanza fuoriluogo provenendo da chi avrebbe dovuto portare una maggiore stabilità in una situazione di equilibrio già precario e non romperla del tutto, allora quella mano ha tutto il diritto di chiudersi a pugno e di colpire.
Ho sentito le ridondanti critiche sul fatto che anche questa storia si sarebbe sviluppata meglio in tre se non addirittura in quattro albi. Per carità ognuno è libero di pensarla come vuole ma a mio parere in quest'occasione non si percepisce, a meno che ovviamente non si voglia protestare per partito preso, la frettolosità che talvolta si evince dalla chiusura di un volume, come è accaduto in passato anche di recente. Il fulcro della vicenda non sono eventuali battaglie né sparatorie con in sottofondo la carica della Cavalleria, ma tutto ruota attorno al percorso personale di Johnny. E' lui a dover decidere cosa fare, è lui che ha intrapreso un lungo viaggio dall'Est per trovare le sue radici, è lui che sceglie. Tutto il resto, o quasi, è una conseguenza della sua presenza prima all'Agenzia di San Carlos, poi al villaggio di Cochise (lo stesso capo Apache ricopre un ruolo abbastanza marginale rispetto ad altre storie in cui era maggiormente coinvolto) e sempre il giovane è il motore di ciò che accade anche in quest'albo, nel bene e nel male. D'altra parte il titolo che compare sulla spettacolare ed evocativa copertina ad opera del sempre più impareggiabile Villa parla chiaro.
Disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a VILLA
La coppia Ruju-Ginosatis ci fa giungere all'epilogo dosando con perizia rapide esplosioni di violenza a stacchi e cambi di inquadratura nonché di scenario degni di un navigato regista e del suo scenografo con già due o tre nomination agli Oscar alle spalle, in un crescendo di tensione che arriva a stupirci ed a lasciarci con l'amaro in bocca, non dopo però averci assestato anche un gran brutto diretto allo stomaco.
Maledizione, per quanto complicata fosse la matassa, la speranza che si potesse giungere ad una sorta di soluzione non dico alla "e vissero tutti felici e contenti" ma che tutt'al più ci facesse tirare un sospiro di sollievo, almeno fino ad un certo punto aleggiava ancora tra le pagine.
Però forse è meglio che sia andata come è andata, nell'animo del lettore non più di primo pelo quella speranza viene man mano affiancata da un senso di rassegnazione, nell'osservare il modo di agire di alcuni personaggi. Loro sono convinti di ciò che fanno ma noi li vediamo quasi annaspare, fino a giungere ad un punto in cui compare perfino quell'aspro sapore non tanto di sconfitta, di perdita o di fallimento quanto proprio di fuga, fuga da ciò che si è o che si credeva di poter essere, perché “ormai è troppo tardi per tornare indietro”. Le due vecchie volpi autori della storia a mio giudizio tra le altre cose vogliono anche farci capire che invece non è mai troppo tardi. Soprattutto se si ha a che fare, nel nostro caso particolare con gente del calibro di Tex e Cochise, oppure in generale con persone che hanno la testa sulle spalle, che sanno usare il cervello e che non inseguono la cieca vendetta, o per continuare il parallelismo con la realtà, che non cercano di umiliare e schiacciare chi commette uno sbaglio ma che riescono invece a comprendere, a guidare anche punendo se necessario, ma che non si tirano mai indietro quando si tratta aiutare un uomo a seguire la pista più giusta, cioè non quella del sangue o della lotta ad oltranza ma quella del rispetto e della fratellanza.
La sensazione di sconforto che ad un certo punto inizia a serpeggiare nell'animo del lettore e che poi esplode una volta giunti al finale dell'albo, viene innescata dal fatto che con il procedere della vicenda, arriviamo a scoprire che il nostro istinto non si era sbagliato, che quella vocina nella testa ci aveva suggerito correttamente ed il dettaglio prima rimasto sfocato ha ormai preso corpo: non nego che è sempre una piccola soddisfazione quando il fiuto da “mini-Pinkerton” sviluppato in anni di indagini al fianco di Tex, centra il bersaglio e ci si rende conto di aver “pensato come lo sceneggiatore”. Quando poi si tratta di un maestro dei colpi di scena come Ruju beh, compadres, lasciatemi dire che ci meritiamo una pacca sulla spalla. (Ok, ok... un giro gratis è più interessante. Ecco a voi, sanguisughe, il prossimo goccetto lo offre la casa!)
Prima di passare ad un argomento che potrebbe sembrare fuori tema ma che invece in effetti un po' lo è, sto scherzando, era una battuta per sdrammatizzare e prepararvi ad un eventuale futuro sbadiglio, non guardatemi così, è doveroso parlare dell'immenso lavoro realizzato da Ginosatis.
Che si tratti di primi piani, di vedute dall'alto, di sconfinate praterie dove l'occhio può non raggiungere mai l'orizzonte o di fitta boscaglia nella quale si fanno largo solamente pochi raggi solari, che si tratti di raffigurare i protagonisti, Tex e Carson, splendidamente caratterizzati, o i volti degli Apaches, da Cochise a Johnny così come per ogni tipo di animale, da un orso inferocito ad un cavallo lanciato al galoppo, la maestria dell'artista appare chiara in ogni circostanza.
Potremmo comprendere lo stato d'animo di molti dei personaggi anche senza le parole nei baloons, comunque sempre ottimamente coordinate con i disegni nelle varie tavole grazie al bravo Omar Tuis al lettering. Gli sguardi, le espressioni che vanno dalla rabbia incontenibile che spinge ad uccidere un nemico alla paura più profonda di trovarsi ad un passo dalla morte, dalla crudeltà che solo un uomo può mettere in atto alla serietà di chi deve compiere un viaggio di ricerca interiore sono solamente una conferma della passione e dell'abilità dimostrata già più volte in passato dal disegnatore di quest'albo, tra l'altro profondo conoscitore della Nazione Apache grazie anche ad un minuzioso lavoro di ricerca ed oserei dire quasi egli stesso praticamente ormai un Apache onorario, nonché, fatemelo dire, gran galantuomo, dannatamante simpatico ed umile come solo i grandi sanno essere, l'artista greco ci strappa dalla nostra casa per catapultarci in un territorio selvaggio ed affascinante, un luogo che si materializza poco a poco davanti a noi: le pareti diventano mesas lontane, le finestre non si affacciano più sulle nostre città ma al loro posto possiamo vedere pianure sterminate ed il soffitto diventa un cielo talmente limpido con lassù quella palla di fuoco così luminosa da costringerci a coprirci il volto con la mano, per abituare le pupille al bianco e nero che colora la nostra fantasia, ai nitidi contrasti che ci trasportano in un posto duro, inospitale, spesso terribile e selvaggio, assai scarso di comodità ma che tutti noi avremmo voluto poter vedere dal vivo: il West!
Immagini dalla Cochise County
Eccoci giunti alla parte “in tema ma forse non così tanto”. Non preoccupatevi, la farò breve… cercherò di farla breve.
In occasione dell'analisi dello scorso volume, “Cuore Apache”, mi sono permesso di condividere con voi qualche notizia riguardo il fiero popolo degli Apaches con qualche nota sulla loro storia e sulle loro origini, nonché su qualche episodio inerente la vita di Cochise, partendo dalla battaglia di “Apache Pass” rappresentata all'inizio della narrazione.
Mi aveva colpito il fatto che in Arizona esiste una contea che dal capo Chiricahua prende il nome: la “Cochise County”. Così ho pensato di provare a contattare proprio qualcuno che nei “nostri” territori ci vive davvero. L'ho fatto senza troppe speranze di ottenere una risposta ed invece pensate un po', l'ho ottenuta! Per prima cosa quindi sono orgoglioso di portarvi i saluti di Miss Marisol e Miss Maureen, rispettivamente database-web specialist ed administrative assistant presso il County Accessor's Office, che mi hanno fornito diverse informazioni utili riguardo la loro Contea, segnalandomi inoltre un sito il cui link vi allego qui di seguito.
https://www.explorecochise.com/
Non credo ci sia bisogno di sottolinearlo ma è chiaro che non sto facendo uno spot pubblicitario sulla Cochise County e dubito che dopo aver dato una scorsa alle mie prossime parole qualcuno di voi accarezzi l'idea di inforcare la bicicletta ed andarsi a mangiare un gelato nel sud dell'Arizona. Non vi comunico il risultato del mio tentativo neanche per fare la ruota come un pavone, ma per mettervi a parte di qualcosa che non capita certo tutti i giorni. Per esempio, le tre foto che vedere qui sopra e che ho unito in un'unica immagine sono anch'esse frutto di questo mio "contatto": comprendono uno scorcio del Chiricahuha National Monument, vale a dire le montagne Chiricahua divenute patrimonio nazionale ed il sito dove sorgeva Fort Bowie (Fort Bowie National Historic site), nella fattispecie la foto più sulla destra, tutte parti di un parco che comprende decine di migliaia di ettari.
Oserei dire che questa Contea potrebbe considerarsi una sorta di ponte verso la leggenda ed infatti viene chiamata “Land of Legends” perché Wyatt Earp, Doc Holliday, Cochise e Geronimo sono solamente alcuni dei personaggi che hanno davvero vissuto nei territori che ora prendono il nome di Cochise County. Oltre alla presenza di musei ed ovviamente delle ricostruzioni della vecchia main street di Tombstone ci si può trovare immersi in molte manifestazioni che mantengono vive la tradizione e la cultura indiana, che per quelle zone non sono poi così lontane che sia nel tempo o nello spazio, ma anche documentazioni storiche sui trattati stipulati tra gli Apaches e l'esercito statunitense, veri pezzi di Storia che per noi invece hanno il sapore, per l'appunto, della leggenda. Per esempio il 2018 è il cinquantesimo anniversario del National Trails System che include 11 “piste” chiamate “scenic” ed altre 19 dette “historic” a seconda del valore maggiormente scenografico o di rilevanza storica. Se avete buone gambe potete fare una gita esplorando il Chiricahua Nationa Monument dopo aver percorso le 17 miglia del sentiero. Uno scherzetto... Pensate che lo stesso sito consiglia di portarsi dietro scorta di acqua e viveri. Altrimenti non riuscirete neanche a sentire il vostro nome che torna indietro quando lo avrete urlato nel suggestivo Echo Canyon.
Vi chiederete perché diavolo ho citato lo sceriffo Earp, prima. Presto detto: Tombstone rientra nella giurisdizione della Cochise County insieme ad altri centri abitati i cui nomi non giungono del tutto nuovi alle orecchie dei texiani: Bisbee, Sierra Vista e Willcox per esempio.
Le terre della Riserva Apache di San Carlos invece, secondo le informazioni che mi sono state mandate via email, comprendono una vasta area nella zona centro-orientale dell'Arizona ed includono anche altre contee, quali Gila, Graham e Pinal.
Beh, amigos, siamo giunti alla fine anche di questa chiacchierata. Oggi praticamente niente storia ma solo un po' di geografia spiccia. Forse non avrò mai la possibilità di mettere piede in quei luoghi, ma mi piace pensare che se un giorno mi troverò tra le aspre insenature delle Chiricahua Mountains, accovacciandomi per “leggere” la traccia lasciata da un cavallo cercando di indovinare se ferrato o meno e da quanto tempo il suo proprietario è passato di lì, il vento mi porterà una voce, quasi un sussurro che mi farà chiudere gli occhi e mi inviterà ad abbandonarmi all'atmosfera carica di magia e mito di quei luoghi. Una voce benevola, carismatica, che subito incute rispetto ma non paura, una voce che da tempi lontani saluta coloro che sanno ascoltare: haàgoònee' atsili. Arrivederci, fratello.
Soggetto e sceneggiatura: Pasquale Ruju
Disegni: Yannis Ginosatis
Copertina: Claudio Villa
Lettering: Omar Tuis
114 pagine