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RECENSIONE TEX INEDITO NUMERO 689: “PAURA A SAN DIEGO”

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 (Contiene una breve analisi sui termini “recensione texiana”)

 

Ben ritrovati, amigos.

E' giunto il momento di scoprire quale sarà l'epilogo dell'avventura che il mese scorso ci aveva portato a fianco di Tex e Carson fino in California, a San Diego, dove avevamo accompagnato il giovane Charlie Xu, il quale sta ancora disperatamente cercando la cugina, la bella Sun, rapita per motivi oscuri ed al contempo molto particolari dal capo di una banda di cinesi denominata Triade.

Nella prima parte della storia ci eravamo già fatti un'idea di come il vecchio e spietato “Zio Wu”, questo il soprannome con cui è conosciuto il cattivo di turno, abbia gettato un cupo manto di paura ed omertà non solamente sulla Chinatown locale ma anche sull'intera città e di come inoltre la corruzione si sia fatta silenziosamente strada infiltrandosi a diversi livelli nel tessuto sociale, da un apparentemente innocuo gestore di una fabbrica tessile a cariche pubbliche non proprio insospettabili: un pensierino sulla possibilità che ci fosse del marcio, diciamocelo, ci era venuto ma ci stupiremo ugualmente quando scopriremo la quantità del suddetto marcio rappresentato dal bieco comportamento di un miserabile, viscido soggetto, il quale nonostante la sua beata illusione di non aver lasciato tracce non sfuggirà al giusto castigo.

Quando si tratta di “affari”, certi tipi di farabutti non guardano al colore della pelle ma la sola tonalità che interessa loro è il verde dei dollari che gli scivolano nelle tasche, balordi disposti a guadagnare soldi facili, incuranti del fatto che si rendono complici di ignobili ingiustizie o dello sfruttamento di povera gente che non è in grado di difendersi da sola.

I pugni e le Colt dei Nostri, però, avevano già incominciato a mettere un po' d'ordine e di conseguenza ad impensierire seriamente il vecchio capoccia, sempre più intenzionato a sbarazzarsi dei “diavoli bianchi” ficcanaso. Purtroppo per lui, lo Zio Wu non conosce i Rangers come li conosciamo noi e non può sapere quanto siano coriacei quei due ossi così duri da rodere, tanto da far saltare anche i denti più sani e forti.

Man mano che proseguiremo nella lettura vedremo il cerchio stringersi sempre di più attorno ai membri della società segreta: da un lato affiancheremo Tex e Carson nella loro indagine, portata avanti con i metodi che ben conosciamo, che da decenni apprezziamo e che a volte vorremmo veder applicare anche nella vita di tutti i giorni: niente sotterfugi, niente inutili giri di parole fin troppo diplomatici né perdite di tempo ma attacco diretto e ricerca della verità, seguendo l'istinto dell'uomo di legge.

Se mai avrete dei dubbi, vi basterà fidarvi della caratura morale di chi è nel giusto, chi sa sempre distinguere il bene dal male, chi, trattandosi nello specifico di un hombre della levatura di Tex Willer, fiuta la puzza di bruciato lontano un miglio e riesce a convincerti con un solo sguardo.

Parallelamente assisteremo al sempre più vistoso annaspare del perfido Wu, che cerca in tutte le maniere di mantenere integro il suo piccolo sporco impero basato sul terrore e la violenza, mascherando con modi apparentemente pacati e linguaggio mellifluo un'anima nera come la più cupa delle notti senza luna.

La sua ostentata sicurezza e la relativa fiducia nel poter eliminare i Rangers, deriva dal cieco fanatismo degli adepti della Triade, i quali proprio per questo potrebbero rivelarsi avversari maggiormente pericolosi dei soliti pendagli da forca più interessati al denaro che ad una causa e che quindi in certi casi possono decidere di “saltare il fosso” se gli si sventola davanti la prospettiva di beccarsi qualche banconota piuttosto che una manica di botte o un paio di confetti di piombo.

I testi di Ruju anche stavolta spalleggiato dalla brava Renata Tuis al lettering, come accaduto per il numero scorso, ci regalano alcuni divertenti scambi di battute che non solo hanno il compito di stemperare la tensione tra una scena d'azione e l'altra ma servono anche per far comprendere al lettore, specialmente se si tratta di un lettore non proprio veterano della Frontiera di carta, che Aquila della Notte e Capelli d'Argento non sono tipi da farsi intimorire da alcun avversario: il loro atteggiamento è il semplice risultato di anni e anni di esperienza nel combattere tagliagole e delinquenti di ogni risma per cui quando si trovano davanti un nemico che per noi rappresenterebbe un serio problema per la nostra salute, magari armato di un coltellaccio che il summenzionato nemico vedrebbe bene infilato tra le nostre costole, per loro si tratta solamente di “un altro giorno di lavoro” e forti della velocità nell'uso delle sputafuoco come dell'abilità nel combattimento riescono a risolvere la situazione senza neanche sudare troppo, anzi noi che assistiamo al sempre coinvolgente spettacolo di raddrizzatorti ormai non possiamo che meravigliarci di come un certo genere di furfanti sia costituito da scampa-forche genuinamente convinti di poter avere la meglio andando però inevitabilmente incontro ad un brutto mal di testa, quando sono fortunati, oppure finendo per "sbattere il grugno con il fondo di una cassa da morto”.

 

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I due pards si sono trovati in situazioni ben più pericolose di questa nella loro lunga carriera e hanno affrontato vittoriosamente avversari di ben altra pasta rispetto agli scannagatti lanciati loro addosso dal malvagio capo della Triade. Bisogna comunque ammettere che i Rangers, anche se lo sembrano, non sono fatti d'acciaio ed in un paio di occasioni si troveranno in difficoltà, ma dove non bastano la mira precisa ed i cazzotti più duri del granito, arrivano l'arguzia e l'ingegno di una mente acuta, arma non meno temibile di una pistola.

La ben dosata ironia che traspare nei dialoghi inoltre, sottolinea il legame di fraterna amicizia che unisce i due uomini sempre pronti a spalleggiarsi e coprirsi le spalle a vicenda, indissolubile sodalizio che scioglie come neve al sole i meschini ed opportunistici rapporti che solitamente si instaurano tra i membri di una banda o come in questo caso di un'organizzazione di fuorilegge.

I disegni di Cossu ci avvolgono con i netti e definiti chiaro-scuri soprattutto nelle scene notturne, quando è difficile anche nella realtà distinguere dove finisca il mare e dove inizi il cielo, ma in almeno un paio di cambi di scena, veniamo poi travolti da un'inaspettata luce, realizzata semplicemente non disegnando le nubi e riducendo al minimo le ombre, come accade ad esempio quando Tex e Carson, per un motivo strettamente legato alle indagini, fanno un giro a cavallo lungo la spiaggia di una zona di San Diego ben identificabile.

Ed ecco che la fantasia si intreccia nuovamente con la Storia: insieme ai due amici anche noi facciamo un sopralluogo in un magazzino che si trova sulla penisola di Coronado. Vi svelo il nome, è vero, ma solo questo e ritengo che non si tratti di un'anticipazione sconvolgente nè che tolga il piacere della lettura dell'albo, anzi a dirla tutta, per l'economia del racconto non credo di sbagliare troppo se affermo che un posto vale l'altro.

Si tratta di un luogo che esiste realmente e che è unito all'area del porto di San Diego da una sottile striscia di terra. Inutile dire che oggigiorno si è trasformato in una meta turistica piena di attrazioni ed hotel di lusso.

A proposito di alberghi, durante la tranquilla cavalcata che serve a spezzare in un certo qual modo l'intensità della narrazione fungendo apparentemente da intervallo ma nascondendo invece un punto cardine del racconto, passiamo proprio a lato di una strana costruzione che, a detta dello stesso Carson, il quale deve aver raccolto questa informazione chiacchierando con qualche senorita al banco di un saloon, ha tutta l'aria di essere un albergo in costruzione.

Quello che potrebbe apparire un semplice discorso per riempire la vignetta in realtà è un mirato riferimento storico, infatti i precisi disegni di Cossu rimandano direttamente al famoso “Hotel de Coronado” situato sull'omonima penisola ed inaugurato nel 1888, oggi contenente, pensate un po', quasi 700 stanze.

La penisola di Coronado, che in tutto non è più estesa di una ventina di chilometri, negli anni è diventata anche location di film molto noti come ad esempio “A qualcuno piace caldo” con Marilyn Monroe, Jack Lemmon e Tony Curtis.

Adesso esiste anche un lungo e modernissimo ponte, il “Coronado Bridge”, che collega questa residenza per vip e ricconi direttamente al cuore di San Diego.

Non vi basta il riferimento temporale per inquadrare il posto? Vi servo subito: l'indirizzo di questo enorme complesso turistico è 1500 Orange Avenue, Coronado, California.

Se visiterete la baia di San Diego non dovrete meravigliarvi se incontrerete anche parecchi Marines poichè proprio in una zona di Coronado ovviamente non aperta al pubblico si trova una base di addestramento dei Navy Seals.

Tornando alla nostra storia, Tex e Carson non sono interessati a farsi una vacanza ma si dirigono in quel luogo perché in seguito ad una soffiata, ottenuta in una circostanza abbastanza peculiare dopo un'irruzione in un edificio per così dire molto insolito dal punto di vista di un occidentale, sospettano che sia proprio a Coronado che si trovi il covo del nemico.

Fate scorta di munizioni e tenetevi pronti ad una piccola gita notturna in barca perché non possiamo correre il rischio di mettere sull'avviso quella torma di coyotes dagli occhi a mandorla.

E badate a non muovervi troppo su quel dannato guscio di noce: basta un niente per finire fuori bordo ed io, maledizione, non so nuotare!

Avremo modo di constatare che anche i migliori piani possono venire disattesi e che non sono solo i Navajos ad essere abili a scagliare frecce. Avevamo già fatto la conoscenza di un arciere tanto silenzioso quanto letale e sembra che il buontempone ci abbia preso gusto a tentare di trasformarci in puntaspilli.

 

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A questo punto bisogna nuovamente spezzare una lancia a favore di Cossu: anche se talvolta alcuni lettori hanno espresso qualche critica, a mio parere senza alcun fondato motivo, nei confronti del suo stile, personalmente ritengo che l'artista si trovi perfettamente a proprio agio nel rappresentare una drammatica scena, la stessa ripresa dall'angosciosa e splendida copertina ad opera del sempre impeccabile Villa… e dal punto di vista di chi vi parla, vale a dire di uno che in acqua ha meno grazia di un capodoglio, l'uniforme ed omogeneo nero che fa da sfondo alle vignette sottomarine rende benissimo l'idea di mancanza di ossigeno oltre che di luce, incentivando ogni texiano a voltare più rapidamente le pagine come se così facendo aiutassimo i Rangers a togliersi più in fretta dai pasticci e riaffiorare nelle acque della baia.

Ormai non possiamo più contare sull'effetto sorpresa e quindi non è il caso di camminare in punta di piedi per non farci sentire. Anzi, gli adepti della setta che spunteranno davanti a Tex armi in pugno scopriranno sulla loro pelle quanto faccia male un “semplice” cazzotto, anche se non si tratta di una mossa di arti marziali.

Nervi saldi ed occhi aperti, compadres: avendo le Colt bagnate dovremo conquistare le armi agli avversari messi in condizioni di non nuocere, come fecero i difensori di Alamo, al fine di rispondere colpo su colpo dal momento che cercheranno di farci il contropelo anche a suon di piombo e non “solamente” con qualche sibilante pezzetto di legno.

So cosa state pensando: vi state chiedendo se sia una leggenda metropolitana il fatto che le sei-colpi dopo essere state in acqua non possono sparare.

La questione è un annoso problema che talvolta ha diviso anche gli esperti. Lo stesso Ruju ha detto la sua in una conversazione con un lettore che chiedeva dopo quanto una Colt bagnata possa tornare in azione. E senza dubbio la risposta dello sceneggiatore è come sempre precisa e gentile: egli infatti sostiene che la pistola in sé torna a fare il suo dovere anche subito, il problema consiste nelle cartucce, le quali se ben fabbricate possono funzionare anche dopo essere state in acqua.

In effetti, dopo aver fatto come al solito il San Tommaso per non rifilarvi panzane, mi sento di confermare le parole dello scrittore.

Probabilmente il rischio che la Colt, e non solo la Colt, si inceppasse dipendeva innanzitutto dal tempo di persistenza in acqua anch'esso direttamente legato però al tipo di proiettili con cui il tamburo veniva armato e non ai meccanismi di funzionamento del revolver.

Inutile dire che più l'epoca si fa recente più quest'eventualità non sussiste, anzi, anche lo stesso Ruju accenna ad esperimenti riguardo pistole che sparano addirittura sott'acqua.

Le armi moderne vengono testate per essere in grado di fare fuoco anche in condizioni estreme, quali immerse in acqua o sotterrate, infatti per una pistola risulterebbe quasi più difficile tornare perfettamente operativa dopo essere stata riempita di sabbia per esempio.

Comunque sia, alle rivoltelle ad azione singola, quelle dei tempi di Tex e Carson, poteva anche succedere di fare cilecca dopo un prolungato bagno come accade in quest'avventura, per quanto non abbia dubbi sul fatto che i Rangers controllassero la fattura anche delle munizioni oltre che dei loro “clarinetti”, i quali non erano però a tenuta stagna.

Davanti ad un numero soverchiante di avversari è in ogni caso più prudente adottare una strategia alternativa piuttosto che puntare tutto sull'ultimo momento e poi trovarsi tra le mani un'arma che decide di fare sciopero proprio sul più bello.

Ma non preoccupatevi perché prima della fine dell'albo non saranno poche le pallottole che ci fischieranno anche troppo vicine alle orecchie, quando ci ritroveremo fianco a fianco dei Nostri per la resa dei conti. Come avevamo appreso dal consueto ed evocativo "trailer" del mese scorso, avremo a che fare addirittura con uno squalo, anche se a dirla tutta, quando ci si mettono i Pards, perfino un pescecane diventa un innocuo pesciolino ed in effetti l'animale non costituirà un grosso ostacolo, rispetto ad altri incontri ravvicinati che siamo stati costretti a fare con bestiole del genere, basti pensare al volume “Catena di omicidi”.

Prima di concludere la faccenda scopriremo anche se le strane capacità curative di Sun sono vere e se la sua “cavia” che sembrava al di là di ogni possibile aiuto tornerà in salute. Infatti non era per mire “romantiche” che la giovane era stata rapita ma nei piani dello Zio Wu la cugina di Charlie Xu avrebbe dovuto fungere da periodico e magico “check up” al fine di rimandare il suo incontro con messer Satanasso. Pia illusione...

 

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Il finale ha fatto storcere il naso ad alcuni lettori ed un paio di "trapassi" sono stati giudicati quasi ridicoli.

Secondo me questa sentenza così severa non rende giustizia all'albo che non esito a definire di pregevole fattura.

Ad onor del vero vi devo confessare che stavolta non mi aspettavo neanch'io che le cose andassero a finire in un certo modo, ma francamente non ho percepito quella sorta di conclusione più rapida di altre, “problema” che in più di un'occasione è saltato all'occhio di qualche texiano e che accomuna i pareri di molti.

Se devo essere sincero, ad esempio, l'albo di Aprile che ho comprato in anteprima a Cartoomics nella versione "variant" vale a dire con la spettacolare copertina realizzata per l'occasione da Piccinelli, mi ha lasciato maggiormente perplesso specialmente nei confronti dei disegni ad opera di Prisco, i quali in diversi punti lasciano obbiettivamente attoniti e non in senso del tutto positivo.

Ma ne parleremo a tempo debito.

Ciò che va sottolineato è invece il modo con cui si avanzano le critiche: quando serve o per meglio dire quando sentiamo di voler dire la nostra nessuno può nè deve impedircelo ma allo stesso tempo bisogna sempre tenere da conto e considerare non solamente le altre persone, cosa che non si dovrebbe nemmeno sottolineare, ma anche e soprattutto il gran lavoro che c'è dietro alle pagine che noi ogni mese sfogliamo, specialmente se come capita spesso nel caso di chi punta il dito abbaiando, non si è mai presa in mano una matita per disegnare.

Ed a proposito di “critiche” lasciatemi chiarire una questione che mi sta a cuore, esprimendo una considerazione a titolo puramente personale.

Di solito, salvo rare eccezioni, non mi curo di ciò che scrivono elementi, chiamiamoli bonariamente “concorrenti”, nelle loro schede, rubriche, giornali o quant'altro.

Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma questo non significa che si possa sentirsi legittimati a dire qualunque cosa tanto per sgranchire la lingua o, in questo caso, le dita sulla tastiera.

Ed il fatto che non legga altre rubriche non è per superbia o perché mi consideri migliore di altri, anzi, “Osservatorio Tex” nonostante abbia accumulato un notevole bottino per quanto riguarda le soddisfazioni, anche proprio all'ultimo Cartoomics (ve ne parlerò nel resoconto relativo alle mie ultime avventure texiane e western), è una realtà relativamente giovane rispetto ad altre con ben più esperienza. Semplicemente ritengo che ci sia spazio per tutti e salvo coinvolgimenti diretti non nutro alcuna aspirazione a superare o gareggiare con altri né tanto meno covo sentimenti negativi verso persone che neanche conosco.

Ma quando per pura curiosità mi è capitato di imbattermi in una sorta di disamina, molto sui generis comprendendo una sinossi della storia con tanto di nomi di tutti i personaggi svelati così “a sangue freddo”, sull'episodio del mese scorso, “Il messaggero cinese”, nella quale i lettori di Tex venivano bellamente considerati razzisti (esatto, era chiaramente espresso questo odioso giudizio verso gli aficionados della Leggenda) la cosa mi è rimasta decisamente di traverso: non avete capito male, chi scriveva accusava proprio i lettori quindi me, voi, tutti noi di godersela un mondo quando vengono maltrattati dai Rangers cinesi o uomini di colore.

Beh, inutile dirvi che mi sono sentito veramente preso in giro ed insultato.

Io sono un texiano fino al midollo, mi vanto di esserlo, come molti altri orgogliosi, in quanto tali, collezionisti delle avventure dell'eroe dalla camicia gialla e non mi sono mai neanche sognato di pensare una cosa simile.

Anzi, tutto il contrario. Forse sarebbe il caso di ricordare al simpaticone che scriveva quella bestialità buttando parole a caso nel suo blog (per altro talvolta in un italiano non sempre corretto) che i Texiani, quelli veri e non presunti tali, forse come lui, non distinguono un uomo dal colore della pelle ma dalle proprie azioni.

Non c'è mai stata traccia di razzismo in Tex se non come comportamento da condannare ed eliminare. Se si prende a pugni o si impiomba "un beccaccione" non lo si fa perché è nero, giallo, rosso, verde o a pallini blu ma perché ti sta sparando addosso. La sola distinzione effettuata è tra galantuomini e criminali.

Come ogni lettore sa. O dovrebbe sapere.

Così come conoscere la “materia” di cui si parla prima di farlo è fondamentale, credo.

Sarebbe inoltre quantomeno carino invece di atteggiarsi ad infallibile divulgatore di non so quale verbo, avere un certo rispetto per chi legge oltre che per l'argomento che si tratta.

Mi sento di consigliare all'amico dalle idee confuse che ha fatto questo immenso capitombolo di procurarsi lo speciale “Il ponte della battaglia”, tra l'altro realizzato graficamente proprio da Cossu su soggetto e sceneggiatura di Ruju, coppia che ritroviamo in questo inedito di Marzo: forse avrà modo di capire davvero di quanto è andato fuori strada. Dovrebbe anche ricordare, o nello specifico effettivamente è più calzante affermare che dovrebbe imparare, che Tex ha sposato Lilyth (nome che forse il nostro mattacchione ha sentito nominare solamente riferito ad una certa macchina nera, dal momento che è così che viene chiamata l'intelligenza artificiale di "Monolith", ma che in realtà ha radici ben più nobili e dignitose), la figlia del saggio e valoroso Freccia Rossa ed in seguito, con il nome di Aquila della Notte è divenuto il sakem, cioè il capo, la guida di tutte le genti Navajos e che viene considerato un fratello da ogni appartenente a moltissime tribù pellerossa, di cui spesso si erge a protettore e difensore senza pensare ai pericoli ed alle difficoltà.

Se qualcuno va punito non è in base al fatto che sia bianco, indiano, afro-americano, cinese o quant'altro: va punito perchè ha sbagliato. Tex, e quindi tutti i Texiani, saranno sempre dalla parte della vittima, dalla parte della ragione e della giustizia, dalla parte degli uomini che hanno "il cuore al posto giusto".

Inoltre, dal mio punto di vista, ci vuole una certa dose di fegato o dovremmo dire di confusione ed arroganza per criticare in modo per altro abbastanza dozzinale qualcuno del calibro di Gianluigi Bonelli o Galep, additando la loro opera con termini tutt'altro che lusinghieri e mi permetto di aggiungere, forse ma forse anche un tantino fuoriluogo, trattandosi di gente che ha fatto la storia del Fumetto italiano e non solo. Ecco, questo è indiscutibilmente oggettivo.

Nell'uno e nell'altro caso si dimostra soltanto di non aver capito granchè in merito a ciò di cui si vuole parlare o, come direbbe Tiger Jack, di avere la testa piena di vento.

Quando si avanza una critica bisogna sempre e sottolineo sempre avere in mano prove ed argomentazioni, fatemelo ripetere, oggettive per avvalorare la propria tesi altrimenti si rimane nel campo dei pareri che per definizione sono opinabili e variano da persona a persona.

Gli errori come le sviste grammaticali possono sfuggire a chiunque, per quanto stonino se ci si proclama “novello Dante”, ma gli insulti invece sarebbero sempre da evitare, poiché è solamente chi li usa a qualificare se stesso nonché a fare una pessima figura.

Riguardo al termine “recensione” invece, mentre date fondo al bicchiere (state tranquilli, ho quasi finito la mia sparata e questo giro lo offre la casa) mi sento di sottolineare un concetto già accennato: non basta dire “è bello, è brutto” come se fosse oro colato o una verità di fede.

Tanto più se ciò che si afferma fa comparire un grosso punto interrogativo sulla zucca di chi dedica parte del suo tempo alla lettura dell'articolo oppure, volendo tornare per un attimo ai nostri tempi moderni, ci fa guardare in giro per cercare le telecamere visto che una tale presa per i fondelli sarebbe giustificabile solamente se ci trovassimo in una candid camera.

Non parliamo di come andrebbe a finire se fossimo davvero in un villaggio dell'Ovest americano di metà Ottocento. Come minimo il tutto culminerebbe con un trattamento a base di pece e piume, nella migliore delle ipotesi…

Eppure il vocabolario parla chiaro: recensire significa “esaminare a fondo e valutare criticamente un'opera” e recensione sta per “esame critico in forma di articolo di un'opera, comprendente un breve commento”.

Chi mi conosce sa ormai molto bene che secondo me la presenza di un riassunto in una recensione per lo meno dimezza il piacere di una lettura, un po' come se un trailer di un film ci raccontasse per filo e per segno cosa succede fino ai titoli di coda, e che non dovrebbe quindi apparire, salvo in caso di necessità ma comunque avvertendo il lettore del “pericolo”.

Un conto è se a fornire queste anticipazioni, solitamente ben mirate ed al solo scopo di aumentare la nostra salivazione, è la Casa Editrice, un altro se a farlo è un pellegrino qualunque, incluso chi vi parla.

Si chiamano “spoiler” e vanno solitamente segnalati prima, anche se l'articolo in questione viene pubblicato diversi giorni, mesi o anni dopo l'uscita nelle edicole dell'albo analizzato. (Vado a memoria ma spero e penso di averlo sempre fatto nei rari casi in cui, per poter presentare la storia, ho dovuto ricorrere anch'io a questo espediente.)

Come ho detto prima è una pura e semplice questione di rispetto.

Se un finale sembra sotto tono si ha tutto il diritto di argomentare sui motivi che ce lo fanno apparire non all'altezza delle nostre aspettative ma senza spiattellarlo a chi invece non lo ritiene insoddisfacente o peggio non lo ha proprio ancora neanche visto.

Inoltre a dirla tutta, seriamente, perché fare un lavoro non retribuito, auspicabilmente, né obbligatorio se è chiaro che non si apprezza affatto il mondo western?

Io ci tengo che il Trading Post sia un luogo aperto a tutti (è anche per questo che prendo in consegna i vostri ferri da tiro quando siete qui) e cercherò sempre di mantenere il mio stile schietto e polveroso, da vecchio West, quello sì del tutto personale, adducendo laddove lo ritenga doveroso, per completezza, elementi verificabili e documentati, evitando anticipazioni gratuite e fastidiose.

Che diavolo, a me piace parlare chiaro e quando trovo qualcosa che mi incuriosisce mi sembra naturale approfondire con una rapida ricerca e farmi un'opinione per poi condividerla con voi, in modo mi auguro corretto ma amichevole, semplice ma preciso, da cowboy tra altri cowboys, da lettore tra altri lettori.

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Tornando a San Diego, la faccenda non è finita: abbiamo ancora un paio di questioni in sospeso, a parte l'urgenza di saldare il conto al vecchio Zio Wu che verrà ripagato con la sua stessa moneta, per così dire.

Non vi dirò come o quando quello spaventapasseri vestito di seta saluta la compagnia, ma vi basti sapere che a ben pochi di voi non uscirà di bocca, se non lo avete ancora letto, o non deve essere uscito, se invece sapete già di cosa parlo, e nel caso facciate parte di questa categoria - avanti, amigos, ammettetelo che è andata proprio così - un “che mi venga un colpo!” alla vista di una certa tavola, dopo la quale a tutti è spuntato un ghigno sardonico e beffardo proprio come quello che il malvagio cinese, ma malvagio perché cattivo e non perché cinese, era solito sfoggiare per sottolineare le sue malefatte.

Una delle “morti non approvate” da alcuni è quella che attende un altro personaggio, anch'egli già comparso nell'albo precedente. Allora se l'era cavata fin troppo a buon mercato, ed avrebbe dovuto fare tesoro dell'esperienza, ma la sete di vendetta, la presunzione, l'avidità ed una notevole stupidità lo hanno spinto a rientrare nella partita, convinto di avere tutti gli assi in mano.

Non avrà neanche il tempo di pentirsi della scelta, scoprendo troppo tardi che l'unica ad avere le carte vincenti è sempre e solo la sorte, la quale spesso ha anche un pessimo senso dell'umorismo.

Quindi, per farla breve, sì, a me è piaciuto come quell'abbietto individuo viene punito ed il modo scelto di toglierlo di mezzo calza perfettamente con l'opinione che mi ero fatto di quel lurido verme: uno di quello stampo non merita neanche un'uscita di scena degna di nota.

Sfido chiunque anche stavolta a non lasciarsi andare ad un seppur piccolo ma soddisfatto sarcastico sorriso una volta arrivati al momento che vede il sipario calare su di lui.

Esplosioni, sparatorie, scazzottate, tremende legnate, sibilanti frecce, ironia ed un pizzico di mistero sono gli ingredienti di questa storia che si legge anzi che si fa leggere piacevolmente strappandoci in almeno un paio di occasioni una risata, catturandoci per i disegni o per un colpo di scena non del tutto prevedibile, prima di occupare il suo posto nella nostra raccolta degli albi di Tex.

Per non tralasciare niente, va menzionata la prefazione, dove campeggia il riconoscibile simbolo del settantennale: questo mese è inevitabilmente tutta dedicata allo splendido cartonato a colori “Giustizia a Corpus Christi”. Graziano Frediani fornisce un breve ma esaustivo punto della situazione su ciò che era accaduto al giovane ed irruento ragazzo della Nueces Valley prima delle vicende narrate nello speciale, lasciando trasparire, dopo un paio di traballanti articoli nei mesi passati, un rinnovato spirito puramente western.

Bueno, siamo giunti alla fine della nostra odierna chiacchierata.

Anche stavolta è stato un onore ed un piacere poter dire due parole (e voi direte, meno male che erano solo due) sul nostro argomento preferito mentre vi zavorravate lo stomaco o vi bagnavate il becco.

La cosa importante è che tra appassionati di West, autentici, veraci, basta uno sguardo per riconoscersi, non importa che si indossi un poncho, si abbia appuntata sul petto una stella o si nasconda il volto al sole del deserto con uno Stetson a tesa larga.

Noi siamo Texiani.

E questo non è sinonimo di fanatismo, ma piuttosto di passione ed entusiasmo, non di divisione ma al contrario di unione ed amicizia.

Per ogni lettore poi quella parola si associa a ricordi prettamente individuali, momenti della propria vita che si custodiscono come i volumi della serie.

Racchiusi tra le pagine, non ci sono solo i valori secondo cui tutti gli esseri umani dovrebbero vivere, cioè onore, coraggio ed uguaglianza ma anche un valore speciale, diverso a seconda delle singole memorie. Non tutti lo possono comprendere o condividere ma chi ci riesce sa che le prese per i fondelli malcelate o meno e le parole sputacchiate a vanvera sono solo rumore destinato a disperdersi come polvere nella brezza del mattino.

Ad ultimo, lasciatemi specificare che la mia "arringa" sulle recensioni non vuole certo essere la miccia che fa scoppiare una santa barbara nè tantomeno era mia intenzione dare il via ad una guerra a colpi di articoli. Tutto ciò toglierebbe significato a quello che in fin dei conti è e deve restare un gran bel passatempo, un hobby da cui trarre sollievo e non sensazioni opprimenti. Niente caccia alle streghe, nessuna gara per andare a trovare ogni singolo errore od ogni piccolo spoiler, i quali possono sempre sfuggire, senza fini nascosti. Nessuno è perfetto, men che meno il vostro interlocutore e può anche darsi che dopo tanto predicare sia proprio io a cadere su una buccia di banana. La differenza penso stia tra la svista "una tantum" e l'utilizzare il "palese spifferamento" di colpi di scena e di finali come usuale modus operandi.

Per dare un colpo di spugna alle polemiche o ad eventuali dissapori vi saluto con una domanda: ci avete mai fatto caso che “Bonelli” fa rima con “fratelli”?

Ed in effetti con in mano un “giornalino”, a maggior ragione se si tratta di Tex, a mio parere lo diventiamo un po' tutti, indipendentemente da età, sesso, colore o altre etichette.

E fino a prova contraria qui al Trading Post per me è questo che siete e come tali verrete sempre accolti.

Hasta luego, hermanos!

 

 

Soggetto e sceneggiatura: Pasquale Ruju

Disegni: Ugolino Cossu

Copertina: Claudio Villa

Lettering: Renata Tuis

114 pagine

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