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L'Editoriale » Fumetto: parliamone

editoriale-fuoriorariodi Alessandro Bottero

Polemiche da cortile, gossip da riviste di serie Z, lamentazioni che nemmeno Geremia nei suoi momenti migliori, recensioni che sono copia e incolla dei comunicati delle case editrici. Devo continuare? È davvero questo il livello a cui la Rete e i vari Social hanno portato la riflessione sul Fumetto? Forse Nanni Moretti aveva ragione col suo fulminate motto “Ve lo meritate Alberto Sordi”, dove Sordi era inteso come la summa della fuffa. Se la fuffa domina è perché le si da potere, rinunciando all’esercizio delle capacità critiche da parte dei singoli. Davvero il valore di un autore, di un’opera, di una forma d’arte è determinata dalla quantità di Mi Piace o dalle condivisioni su facebuch? Triste il mondo che ha bisogno di Eroi, diceva Brecth. Triste il Fumetto che ha bisogno dei Mi Piace, dico io. È tempo di tornare alla sostanza. Alla radice di tutto, radice che è il Fumetto in quanto tale. E allora forse è necessaria una nuova alfabetizzazione. Ripensare alle cose davvero serie, quelle che definiscono il Fumetto per quel che è, e non per quel che l’intossicazione social ci fa credere sia.

Il Fumetto è prima di tutto una Forma Artistica, non un lavoro o un mezzo per avere un reddito fisso mensile. È Arte, non stipendio. E l’Arte ha la sua giustificazione in se stessa, e in quanto TRASMETTE contenuti. L’Arte, e quindi in questo caso il Fumetto, che non trasmette contenuti, che è illeggibile, che è inconcludente, che non si fa capire è sbagliato in sé stesso. Anche se per paradosso vendesse milioni di copie. Il Fumetto davvero riuscito è il fumetto che si capisce. Magari con sforzo, con un lavoro duro e impegnativo da parte del lettore, ma che alla fine del lavoro di decodifica da parte del lettore, trasmette al lettore stesso contenuti nuovi e arricchisce la vita di chi lo sperimenta con conoscenze nuove o stimoli alla riflessione mai pensati prima.

Questo può avvenire in innumerevoli modi. Prendiamo il caso della Musica. Musica classica e musica popolare sono valide allo stesso modo se trasmettono contenuti. Se dopo l’ascolto si è diversi da prima, non migliori o peggiori, ma diversi nel senso di aver sperimentato un percorso nuovo. Idem nel Fumetto. Tex o Watchmen, Geppo o l’opera più concettuale ed ermetica mai concepita da mente umana sono validi allo stesso modo se alla fine del percorso narrativo eseguito dal lettore ci si ritrova con un qualcosa in più rispetto all’inizio del cammino.

L’Arte, qualsiasi arte, ha come scopo primario comunicare. L’Arte Incomunicabile è una contraddizione in termini. Se non comunica non è Arte, e la responsabilità è dell’Autore che ha seguito una strada sbagliata.

L’Autore infatti è colui che plasma gli elementi da lui scelti secondo la grammatica della Forma Artistica che ha deciso di utilizzare. Quando Brancusi, sculture rumeno, usava le forme pure per trasmettere a chi osservava le sue opere concetti precisi riusciva nell’intento perché aveva chiaro cosa voleva dire e sapeva usare la grammatica della Scultura in modo tale che il contenuto celato nella sua opera poteva essere decodificato e compreso da chi si poneva davanti all’opera usando lo stesso codice del’autore. Autore e fruitore devono poter condivider elo stesso codice. È come un messaggio cifrato. Se chi lo riceve non possiede la chiave per decodificarlo, il messaggio resta ignoto, e chi ha creato il codice ha fallito.

A questo punto però occorre fare un passo ulteriore. Se il primo è che l’autore deve dare vita e forma ad un’opera leggibile e che comunichi dei contenuti, il passo successivo spetta al lettore. Secondo quello che ci dice la narratologia (vedi ad esempio il libro di Umberto Eco Lector in Fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi Bompiani 1979) il lettore non è passivo di fronte a un’opera, ma il suo ruolo presuppone il lavoro dell’interpretazione testuale. Il punto centrale di questa teoria è, come ci dice che "un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare" (p. 52), Per funzionare, un testo, o in questo caso un Fumetto, ha bisogno di un lettore che lavori su di esso, applicandosi in modo più o meno impegnativo, ma comunque sempre compiendo uno sforzo interpretativo. È per questo che il didascalismo o l’eccessiva chiarezza e meccanicità del svolgimento dell’opera è un errore tanto quanto l’incomprensibilità. Perché in entrambi i casi di annulla lo sforzo del lettore. Nell’incomprensibilità perché il lavoro è inutile in quanto non approda a nulla. Nel didascalismo o nelle cosiddette “storie telefonate”, perché il lavoro risulta in utile in quanto tutto è già svelato dall’autore. Ecco quindi dove riposa, ad esempio, la critica vera nei confronti del fumetto semplice o per meglio dire semplicistico. Non è vero che il lettore non deve pensare e tutto deve essere immediatamente chiaro. Il lettore deve per sua stessa natura lavorare sull’opera che gli si presenta per farla sua e completare il lavoro dell’autore. La Fruizione di un’opera è un lavoro attivo, non passivo.

Il Fumetto quindi, quello vero, quello che può definirsi tale è ciò che usa la grammatica della forma artistica fumetto, per trasmettere contenuti, arricchire il bagaglio di conoscenze ed esperienze del lettore chiamando il lettore stesso a un lavoro di interpretazione del testo narrativo fornito che porti il lettore ad assumere il suo ruolo all’interno del processo narrativo. Un’opera che non fa questo è, per usare un’espressione cara ad altri, puro e semplice oppio dei popoli.

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